Non è certo facile usare la poesia come voce civile. Alcuni poeti, anche grandi, anche grandissimi, vi ci sono cimentati e persi.
Pranzavo quel giorno al Ristorante Berlino a Bucarest (o Buçuresti nella loro lingua) con la mia ragazza di allora. La Romania (anni settanta) era simile all’Italia del primo dopoguerra; si muoveva con trent’anni di ritardo rispetto alla storia. Poi la storia si è messa, lì, a scorrere all’incontrario; mi dicono. Quella sera suonava un orchestrina e alcuni clienti ballavano, ma più che un ballo pareva una marcia militare. C’era un vecchio signore, da solo, al tavolo accanto al nostro. Lei, l’amica, mi fece cenno. Non sapevo chi era. Non conoscevo nulla della loro cultura. Solo in seguito, appropriandomi un po’ di più di alcuni rudimenti della loro lingua, avrei scoperto una rivista letteraria da far invidia alle nostre dell’epoca. L’uomo solo, come mi è stato subito spiegato, era il maggiore poeta Romeno vivente: Eugen Jebeleanu.
Perdono Hiroshima
in Il sorriso di Hiroshima e altre poesie.
Perdono, Hiroshima.
Perdono per ogni passo
che tocca una ferita, apre una cicatrice.
Perdono per ogni sguardo,
che duole, anche se carezzevole.
Perdono per ogni parola
che turba il cielo in cui cerchi
i tuoi bambini,
popoli di bambini che perdesti per sempre.
Tomba
inesistente. Vento. vento. vento.
E’ la loro voce che ora piano suona
ogni giorno più spenta,
solo nel ricordo.
Oh, cimiteri
inesistenti. inesistenti. inesistenti.
Voler piangere e non poter stringere fra le braccia
nemmeno un’urna, una tomba almeno.
Dove sono i tuoi bambini, Hiroshima? Forse
nell’oceano
d’argento indifferente.
Forse nel mausoleo infinito
del cielo.
O forse, proprio su questa terra
che io calpesto.
Ogni passo io lo traccio con timore.
Ogni pezzo di terra
nasconde una bara.
Mi sembra che la terra
da me calpestata gridi: – Mamma.
Ahi, aria di smalto, dammi le ali,
che io mi innalzi leggero
per non urtare col passo delle ferite,
che l’ala mia tagli l’aria, come d’angelo.
Ma sfavillando dalle migliaia di lesioni,
si avvicina Hiroshima a me,
si avvicina e si china piano
e mi fa segno:
vieni, amico
e vedi ciò che è stato,
ciò che è.
E narra.
Nico da Kevin Ayers, John Cale, Eno, Nico: June 1, 1974 – The End¹
1] Per accompagnare questa poesia, che amo particolarmente, della canzone dei Doors, che tutti ricordano dalla voce di Jim Morrison, ho preferito scegliere questa versione incisa da Nico poiché mi sembra sottolinei maggiormente la tragicità de La fine. Prova a postarla da Youtube e anche da uno spazio mio dal quale si può eventualmente scaricare o ascoltare attraverso il lettore residente nel proprio pc.
Questa poesia l’ho conosciuta tempo fa proprio tramite il blog.. Bella nella sua particolarità e tristezza.. Mi ha colpito il verso ..”Ogni pezzo di terra
nasconde una bara”..
Non so dirti se mi è piaciuta la versione di Nico.. Certo rende perfettamente l’idea di tragicità della fine..
Ciao e buona giornata
Julia
P.S. Il brano “Cronaca da un mare”… molto particolare.. 🙂
Spero sia il sorriso della sera. Per ora solo un semplice sorriso nella sera. 🙂
Sono la figlia di Eugen Jebeleanu. Mi fa piacere di vedere che c’é ancora gente che si ricorda di sua poesia.
Grazie.
Cara Florica, Eugen jebeleanu rimarrà per sempre nel mio cuore. Ho cercata su web il posto dove è stato sepolto. Mi potresti aiutare, per favore? Tanti saluti e BUONA VITA!
Lei non sa il piacere, e l’emozione, che mi danno le sue parole. Scusi l’ardire ma io non scrivo per mestiere, lo faccio come piccolo divertimento.
Grazie, grazie, grazie 🙂
Mario
qualcuno sà farmi un commento.. una parafrasi cn riflessioni?
odioooooo le poesieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
una poesia triste….e bellissima!
la poesia mi piace perchè mi emoziona. riesce ad esprimere il dolore di un massacro di innocenti.
A volte la poesia mi fa sentire meno solo. Altre mi fa ritrovare il coraggio dell’amore e/o dell’indignazione.
Il 24 aprile ricorre il centenario della nascita del grande poeta Eugen Jebeleanu. Questa è una sua poesia che l’ho letta infinite volte!
“Vorrei dirti delle cose che non conosci
e cose che già conosci,
cose che conosci
come un braccialetto che avvolge la tua mano e la mia mano.
E vorrei
dirti delle cose che non sai,
dai giorni che nasceranno argentei.
Le cose che conosci
sono come i viadotti
coi polpacci ben fissati in terra
e le altre sono come frutta mai vista
con misteriose foglie di vento.
Se rimanessi immobile
saresti una statua dal sorriso divino.
Muovi, ti prego, le saette degli occhi un poco.”
“Perpetuum mobile” Eugen Jebeleanu
GRAZIE. La userà da port per ricordarlo nel suo giorno.
Buonasera,mi piacerebbe sapere come entrare in contatto con la signora Florica poiche’ ci scrivevamo ai tempi delle medie… Sarei curiosa di sapere se si ricorda di me dopo tanto tempo… Qualcuno sa se ha un contatto facebook? Grazie mille, Angela
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Grazie per quello che ha scritto ed anche per la canzone.Questa poesia è la mia preferita per eccellenza, un capolavoro di Jebeleanu