Utopia
vecchia zia
di casa a casa mia
Queste parole massimo asprore
A capo chino, le nostre ore passano
come muti prodighi e
di ricordi, o di domani, ci consumiamo
in egual misura
e in medesimo luogo
quale sia
restando estremi, uguali, fusi,
intrisi di noi, giovani amanti.
Battendo la porta, battendo il cancello
gl’occhi sfigurati dai cani alla luna
ecco che eri: solo un giovane amante!
(o forse meno)
di tenebre confuse alcuni panni appena
ma alcuni vicini e altri ancora in te
e la barba, rada, solo un sospetto:
ma volare non era gesto consueto.
E lì, distante, ti sostenevan le mani
e nelle mani vividi guizzi e doloroso scuoiarsi
su dai polpastrelli gl’occhi, e la storia,
che memorizzavi, era un pallido umidore
d’usura; quasi vecchio.
In verità alte, rabbiosamente taciute,
(di quanti silenzi si fa l’uomo?)
tanto quanto amare restano al dubbio
emulienti, probe, genitrici, amanti,
amavi te e il gesto di cercarti
ed era questo a spellarti il palmo
adatto inizio alla nuova danza. E che muove
impudico il gesto che ti spoglia?
Strano e straziato ossario questa notte
e diana ha scelto di sé il rito laico
lanciando i dardi della morte acuta, ottusa,
(sbadatamente) scolpendo sui vivi le menzogne del dolore
e croci nivee sono il tuo paesaggio;
ivi ti cerchi
e in cerchi d’aromi e di silenzi.
Cupo è il rancore sul rimosso,
d’esso ti arrangia le ciglia e amare sugge
una piega sottile sulle labbra;
pazza di te, la mano che ti ama
e ti odia
presiede il gioco, ti tiene in pugno, cerca
fra mille angoli (e altrove) d’un bicchiere
anche il più minuto riflesso d’orzo,
queste parole, massimo asprore.
Feriscono i tuoi luoghi, fumidi umori,
zibaldone d’infanzia e le schegge
come ricchi minareti all’alba, attesi.
Ora che sai, esser distratto forse fu soltanto
strappare l’incerata e ascoltare sommessa
la febbre della pelle e sulle labbra sfiorirne
immagini consunte e sull’incenso.
E noi ci siamo amati, amati solo
come due uomini solo possono amarsi,
senza frivolezze o tenue modo;
guardandoci negl’occhi, ammirandoci, forse,
scavando in fondo, scovando un rancore
e mostrando i denti in quel misurarci. ¹
1] a Maurizio “Logan” Barbisan – Mestre, 29 agosto 1973
Ancora una poesia ritrovata da una raccolta, creduta perduta, di quegli anni (1973)
Beh è stat o un bel ritrovare 🙂 …. massimo asprore….. non l’avrei usata mai questa parola, mi mancava!
Caro Mario, non ti nego che userò questo titolo a mio uso e consumo, più di una volta lo sento mio. 😉 Un abbraccio.
Gians
ne proverei massimo piacere.
😉
[…] dei termini che ricordano violenza, guerra, distruzione, dolore, eccetera. Come dicevo secoli fa: quelle parole massimo asprore, ma erano antichi suoni di ragazzi, quelle, solo imbarazzata poesia: qui, in questa terra che ti […]