Le sue mani. Le sue mani mi fanno impazzire. Le sue mani che percorrono il mio corpo, la mia pelle. Solo le sue mani. E io ascolto quella carezza. E tutto vibra al passaggio delle sue dita. Sembra sapere dove va. Cosa cerca. Cosa fa. Lo sa. E’ tutto così forte. Così incredibile. Non è mai stato così. Così violento. Non ho mai provato una sensazione tanto intensa. Le sue mani sanno toccarmi; padrone. Lui mi sfiora il seno e rabbrividisco. Lui mi sfiora il ventre e mi strappa un gemito. «Vieni. Portami a letto».
«Spegni per favore. Non voglio che i tuoi occhi vedano. Spegni e immaginami come vuoi. Com’ero bella e come lo sono per te. Spegni per favore. Oggi la luce offende. Ed è tutto troppo bello. Non deve essere offeso da nulla. Spegni quella luce. E stringimi tra le braccia. Baciami. No! Accendi quella luce. Scusa. Devi vedermi per quello che sono. Devi amarmi oggi, come sono. Non posso più nascondermi. Non posso più fuggire».
E lui entra da quella porta. E lui ascolta il mio silenzio. Non posso nascondergli nulla. Sono nuda. Lo so anch’io. L’ho saputo subito. Lo so da sempre. Che quelle mani mi avrebbero rubato l’anima. E improvvisamente lo so: mi può uccidere. E improvvisamente lo so: mi può far nascere. Non sono mai stata così viva. Mai. Tranne che tra le sue mani. Cos’ero? E le sue mani mi frugano. Cosa sono? Mi toglie il mio nome. Me ne da un altro. Mi toglie la maschera. Mi strappa ogni maschera.
Non è più il mio tempo. Ogni tempo è scaduto. Sono una donna, io. Conosco la vita. Conosco le cose. Chiudo gli occhi e sogno. Non so nulla. Non è lui, sono io. Voglio che mi frughino. Voglio provare quello che provo. E’ solo un ragazzo. E’ di nuovo un ragazzo. Potrebbe essere mio figlio. O io la sua. Non sa quello che fa. Non lo sanno le sue mani. E mi strappa un lamento. Ma io so. E voglio. E voglio sentire. Io voglio sentire quello che sento.
E ascolto le sue mani che mi raccontano quest’altra storia. E ascolto solo le sue mani che mi raccontano quest’altra me. E lo imploro, come non ho pregato mai: «Tienimi con te»!
P.S. Non cercavo una canzone per una storia, ma una storia in una canzone. Poi mi sono accorto che non cercavo niente. Niente fuori. Solo cose dentro. Emozioni. E allora… Una canzone. Una canzone che amo. Una canzone che parla di un altro amore. Di un amore diverso. Ma forse no. In amore tutto è fatto di molte cose. E di molte diversità. Una canzone che comunque mi racconta.
Le tue mani su di me
è difficile chiamarti amore
quando basta aprire la finestra per capire
un’altra verità
le tue mani su di me
è difficile chiamarti amore
quando il mondo sta vivendo sul tuo corpo innamorato
la sua vanità
una foglia stupida
cade a caso sull’asfalto e se ne va
una fabbrica occupata sulle nuvole
e un fucile che rimpiange Waterloo
un bambino che domanda come è nato
si risponde sorridendo che lo sa
il bicchiere di cristallo sta cadendo
non amarmi, non amarti non ti riuscirà.
Le tue mani su di me
è difficile chiamarmi amore
quando basta aprire la finestra per capire
un’altra verità
le tue mani su di me
è difficile chiamarti amore
quando il mondo sta vivendo sul tuo corpo innamorato
la sua vanità
una foglia stupida
cade a caso sull’asfalto e se ne va
una fabbrica occupata sulle nuvole
e un fucile che rimpiange Waterloo
un bambino che domanda come è nato
si risponde sorridendo che lo sa
il bicchiere di cristallo sta cadendo
non amarmi, non amarti non ti riuscirà.
Dell’impegno
Posted in Lettere, Politica, Tutti pazzi di Lei, tagged amore, appagamento, associazioni, bellezza, comitati, commento, condivisione, consigli, coppia, dialogo, diario, felicità, Fiorella Mannoia, Franca, ironia, Lei, lui, Musica, passione, Politica, pudorfe, ricette, Rossana, Rossaura Shani, Sally, scrittura, sensibilità, vissuto, viverew on 12 luglio 2011| 2 Comments »
Già mi sembra stuzzicante e gradevole cominciare così una lettera, e dico stuzzicante e gradevole per non usare toni da iperbole. Inoltre mi sembra assolutamente poco frequentato. C’è una gran voglia di vivere nel dettato delle mie parole. Sentimenti forti. E lo faccio seppure l’argomento mi crei sempre, come sai, un certo imbarazzo. Il timore del rischio di usare le parole per farsi bello (belli?). E denuncio la presenza sempre di una componente di ironia nel contesto. Io ripeto che non ho ricette e non posso suggerire la mia che è solo mia e funziona solo alle nostre condizioni. Quello che per noi è sogno potrebbe non esserlo per gli altri. Soprattutto IO come sogno mi sembra una bestemmia. Anche per un comune senso del pudore. Ma perché una lettera? Perché parliamo e parliamo cominciando a farlo presto il mattino, con una gran voglia di “trovarci” e comunicare. Di cosa si parlava stamattina? ah sì! del debito. Ma non abbiamo barzellette migliori da raccontarci? A volte scopriamo spazi che ci sembrano adatti ad essere poi comunicati. Così abbiamo fatto dopo una conversazione, che poteva sembrare faceta, sull’uso che fanno le donne del bikini. Era, lo ribadisco, un pretesto. Così hai fatto nel tuo ultimo post. Forse quel post avrebbe dovuto chiamarsi “Amore e impegno”, oppure “Eros e Titoli di Stato”. E dell’amore, più che altro dell’amore, si è parlato; anzi io ho parlato soprattutto di quello. Non diffusamente, certo confusamente, ed era un po’ voluto, con molti omissis, ma di quello. Ma i termini da te posti erano due ed erano, in quel contesto, indissolubili. Condividere interessi e ideali è certo un grande aiuto all’interno di una coppia, di un rapporto. Non scordando l’influenza e l’ingerenza della fortuna e di una grande spinta di attrazione che trascina l’uno verso l’altro, e tracima, cerco di vedere il territorio infido in cui ci inoltriamo. Dire di amare la lettura non ha un valore qualitativo. Può dire di amare la lettura chi ritiene, come me, Kafka il più grande scrittore del novecento e chi ritiene Faletti, il nome è preso a caso tra gli autori che si potrebbero definire da spiaggia (senza offesa), il più grande romanziere a cavallo del secolo. Possono dire di amare il cinema quelli che cercano in un film un impegno civile, politico, stilistico, narrativo o comunque un impegno e quelli che fanno la coda davanti alle sale quando proiettano i “film panettone” e/o i famosi colossal; etc. Chi ha ragione? I termini non stanno qui. Io non mi sento un “impegnato”. Indulgo spesso vittima della mia pigrizia. Mi distrae questo nostro amore di cui vorrei non perdere un solo attimo. Mi impaccia un momento della “Politica”, e dico Politica con la maiuscola e per intendere quella scienza degli ideali ma del possibile, molto difficile e di crisi. Essere impegnati trova significato nella parola stessa. Non basta essere attenti, non basta essere sensibili a questo e/o a quello, impegnarsi è partecipare. E’ dedicare tempo e fatica e con una certa continuità. E non è facile. I partiti stanno sempre più diventando dei contenitori vuoti atti a distribuire solo privilegi. Creano impacci e difficoltà di movimento quanto di identificazione. Frustrazione. Sai che mi sto interrogando su quali nuovi strumenti possono essere adatti e sul come metterli in atto. E perciò che mi sento di dire che nell’amore metto tutto il mio impegno, ma il mio impegno “civile” mi pare oggi, non solo per mia colpa, alquanto carente. Ancora, ma forse ancora per poco, i partiti restano i soggetti adatti a veicolare le politiche e a farsi portatori di esse. Alla fine il militante del voto si rifugia nella pancia molle dei grandi partiti. Cosa distingue uno dall’altro però è sempre più difficile da individuare. Eppure non possono omologarsi tra loro, non possono appiattire le differenze, sarebbe quella crisi epocale della politica spesso paventata. In una condizione simile definirsi “impegnati” rende il pregiudizio di portare ad una rendita snobistica. Se proprio debbo scegliere rischio di preferire quegli incontri fatti per spettegolare di certe riunioni politiche dove tutti hanno l’aria d’essere portatori di una propria grande verità e solo loro capaci di cambiare le cose e il mondo. Spesso alcuni nostri amici sono distratti per impegni personali gravi ed improrogabili, e “stanchi”. Non so fargliene una colpa. Essere così, noi, a volte ci rende ciechi e ci fa credere che il mondo sia così; non vediamo il disimpegno. Ignoriamo alcuni confini del dolore? Tutti tendono a creare un’immagine del mondo simile alla loro piccola fetta di mondo. Parlare all’alba dell’intimità della nostra cameretta del Debito non aiuta il debito e il mondo non sa nemmeno che ne abbiamo parlato. Non dico che dovremmo parlare meno in quella nostra camera con vista solo su noi. E allora, riprendendo senza polemica un frammento di commento, siamo tutti interisti. Il mondo invece è colà. Allora e spesso siamo stati stupidi. Non lo dico per riportare l’argomento sul tema degli affetti. Lo affermò perché alla fin fine è stata probabilmente l’unica volta in cui ho militato in una maggioranza. Il resto della mia storia è fatto di minoranze. A volte è stato accompagnato dall’impegno. Prima di questo noi, e di quello di allora, da un impegno sordo e non condiviso; vissuto intorno quasi alla stregua di una perdita di tempo. Quasi sempre vissuto e pagato con entusiasmo. Ma non è l’impegno l’asse portante di tutta l’architettura del discorso se è meraviglioso, per esempio, recarsi ad un concerto per provare le stesse emozioni. Ti saluto oggi con due parole d’ordine:
RESTIAMO UMANI.
OGGI E SEMPRE RESISTENZA.
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