Non era quello che a lui interessava o forse non gli interessava più e non interessa qui. Non avrebbe saputo dire perché ma a Simenon piaceva la neve; piaceva il segno di sé che l’uomo lasciava sulla neve; tracce. E non sapeva l’origine di quel pensiero.
Soprattutto, lo scrittore, provava simpatia per i colpevoli. Infondo, nei suoi romanzi, colpevole e vittima appartengono allo stesso paesaggio, alla stessa persona. Ed erano paesaggi duri e difficili quelli dove è la stessa vita a condannare, e il giudizio è come sospeso sopra le teste, al di sopra dell’uomo.
Forse è doveroso spiegare chi è Domenico, anche per la comprensione dei fatti e del racconto dove lo stesso io narrante non sa di essere. Domenico era un cacciatore o almeno si definiva un cacciatore. Anzi, meglio, come sosteneva lui orgogliosamente, un cacciatore di lepri e fagiani. Animali infidi e difficili, soprattutto i fagiani.
Non si ricordava però che fosse mai tornato con una preda. E non se ne vedevano da una vita, almeno fino a Canal San Bovo. Chi lo conosceva da allora aveva sempre sentito questa storia da quando Modugno vinceva con Addio… addio. Erano passati proprio quarant’anni, e, allora, erano ancora più di tremila paesani. L’unica cosa certa al riguardo restava che lui sapeva annusare e riconoscere la merda delle lepri.
Quel giorno, come succedeva spesso, era rincasato in ritardo. Aveva sbuffato, come di solito, deluso, ed era passato a lavarsi, sicuro che un posto a tavola gli spettasse di diritto; sudato come un cacciatore. Certo di quello che era.
Clara lo lasciò interdetto; di stucco: “Credo che sarebbe ora e tempo che cominciassi anche tu ad occuparti del pranzo. Sono ore“?
La guardò esterrefatto. Cercò comprensione intorno; nel silenzio. Non si era nemmeno dato la pena di togliersi le scarpe e si sentiva ancora tutto bagnato. Diede uno sguardo eloquente a Gianluca con gli occhi che parlavano. Ma l’amico lo ricambiò disarmato e alzò le spalle: “Ha ragione anche lei. Dovresti cercare di capirla“.
C’era sempre stata della simpatia tra quei due, e una certa complicità. Infondo erano della stessa pasta. Come aveva potuto non farci caso. Era spesso disposto a giustificarla; bell’amico. Anche Adele prese le parti della madre: “Eri appena partito che è finita anche la bombola del gas. Ci siamo dovute arrangiare da sole. Abbiamo fatto come siamo riuscite”.
Certo, le ragazze, prendono sempre le parti della madre. Cosa ne poteva sapere una stupida ragazzina. Poco importa chi porta i calzoni, e il mangiare. Il mondo stava andando proprio alla rovescia; con i piedi per aria e la testa… meglio non parlare di testa. Che tempi! S’era perso il senso della ragione. L’asino che porta al basto l’uomo.
Sembrava anche averlo fatto apposta. C’erano le salsicce con le verze. E non aveva voglia di fare il grande gesto dell’offeso; aveva proprio appetito, dopo tutta quella strada. C’era astio nella sua voce; palese, e poca stanca pazienza: “C’ero arrivato vicino. Stavolta, son sicuro, ero vicino. Quasi ne sentivo l’odore. Possibile che non riusciate a capire. Credo di essermelo meritato. E anche tu… ho lavorato una vita ed ecco cosa mi resta. Solo rimproveri. Irriconoscenza“.
Abbassò il capo sul piatto e il fumo gli andò agli occhi. Per lui era tutto finito. La rabbia sorda dentro no. Non aveva più voglia di parlare e poi, tanto, a cosa sarebbe servito. Fece per versarsi il vino ma lo fece Gianluca precedendolo. Era infastidito anche la voce calma e il sorriso mite di quello: “Vedi… noi uomini parliamo sempre di grandi cose. Cambiamo il mondo ad ogni passo. Poi son le donne che ci ricordano i piatti da lavare. Tientela stretta. E poi sai come la penso io sulla caccia“.
Il vino, rosso, sembrava anche più aspro. Si passò il dorso della mano sulle labbra e schioccò la lingua. Quello… quello… che faceva fatica anche a balbettare. Avrebbe voluto dirgli la sua; a quello: “Le donne. Le donne. Son buone solo a brontolare“.
Lo disse a sé dentro il piatto. Un vento freddo prese a scendere verso valle. Passando tra il bosco fischiettava con insistente monotonia. I montanari non sono uomini da canzoni. Guardò fuori dalla finestra e s’accorse che non c’erano più nemmeno le impronte del suo passaggio su quella neve. Era solo sporca e molliccia; nient’altro che neve marcia. Qualche fiocco aveva ricominciato a cadere. Mulinava nell’aria come niente potesse avere una importanza maggiore.
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