Introduzione all’ambiente
di L’amore che uccide
Quando il vice-commissario Zanin Tomat era giunto a Venezia da Rigolato aveva avuto subito la percezione che la sua vita sarebbe cambiata. Nessuno lo aspettava quando era arrivato. Nell’aria c’era qualcosa di magico, come se lì tutto potesse succedere. Era rimasto a bocca aperta per la meraviglia, poi lui e la città si erano guardati per un po’ con una certa diffidenza. Erano rimasti a studiarsi per alcuni lunghissimi attimi. Nessuno lo aspettava? Fu allora che si accorse di essersi perso la valigia.
Era passato un po’ di tempo da allora e aveva fatto qualche progresso. Non aveva legato con molti in quei mesi, tranne che con qualche collega. Con non poche difficoltà aveva imparato a fidarsi di quella poliziotta, di Paola Rubinato. Poteva dive di aver conosciuto la famiglia Canal, Sabaudo e Roberta, il figlio della coppia Gilberto e la sorella della moglie Teresa Vio; e pochi altri. Da quest’ultima donna, da Teresa, era stato particolarmente colpito, niente di drammatico, niente da arginare. Ma anche con loro, con i Canal, aveva come la sensazione che la cortesia si fermasse sulla porta della cordialità.
Poi il povero vice-commissario impreparato si era visto riversare addosso, come un vero tornado, i segreti di quella città a seguito di alcuni piccoli episodi e di due gravi fatti di sangue. Quest’ultima indagine non era di sua competenza e avrebbe voluto saper governare la propria curiosità. Invece si era lasciato coinvolgere molto più del dovuto. Prima ancora di rendersene conto c’era dentro fino al collo. Ma tutto era cominciato molto prima, forse venti anni o anche più.
Erano gli anni del liceo e loro erano un gruppetto di amiche molto legate tra loro. Tra quelle ragazze bene alcune spiccavano per intelligenza e per grazia, tutte per quella splendida età; qualcuna era decisamente bella. Cristina Boscolo non risaltava tanto per l’aspetto quanto per la sua impertinenza. Era una ragazza che avrebbe dato del tu anche al papa. Diversamente Roberta Vio, che comunque era molto carina, era anche di carattere più riservata. Ma lei, Roberta, aveva già un fidanzatino che non le levava gli occhi da dosso, Sabaudo Canal. Erano tutte figlie di buone famiglie e in compagnia c’era spesso anche Luana Boldù, la quale risaltava non solo per bellezza, ma perché aveva un corpo già completamente sviluppato, con forme da donna. Alla giovane Dana piacevano i complimenti e da subito s’era istaurato con Antonia Soranzo uno strano rapporto di amicizia e conflitto: le due vivevano di una rivalità continua quasi senza esclusione di colpi.
Subito Tonia s’era sentita costretta a riempire di lusinghe e attenzioni i fidanzatini della rivale e chiunque le ronzasse intorno. Spesso a loro si univano altre ragazze con le quali il legame e la frequentazione erano meno stretti. Più di tutte si poteva notare la presenza di Eugenia Chinellato, una ragazza non meno carina delle altre, ma meno intraprendente e un po’ più taciturna. Spesso si ritrovavano tutte a delle feste con quei coetanei, gli amici di Sabaudo, allora di simpatie socialiste, che odiava quel nome e preferiva che lo chiamassero con il cognome, come fosse il suo vero nome, semplicemente Canal.
Lo stesso Canal organizzava quelle feste, pur di poter stare con Roberta, ora a casa di un amico, ora a casa di un altro. Il luogo che era più spesso disponibile era la casa dei genitori di Marietto Zanon. Poi Marietto aveva smesso di parteciparvi, dopo che si era appena iscritto a giurisprudenza e aveva saputo che la sua compagna aspettava un bambino. L’età cambia le persone e non si può restare ragazzi per sempre. Erano solo giovani spensierati allora, ma da quei giorni alcuni legami si rafforzarono e altri si persero, come sempre avviene. Non solo i nominati, in vari modi, rimasero in serrato contatto tra loro. Si era creato uno stretto sodalizio che in qualche modo replicava il rapporto delle famiglie.
In quegli stessi indimenticabili giorni Giuseppina Sansovino usciva dalla delusione di un amore finito male; quasi in tragedia. Pareva che Pina fosse incapace di lasciarsi tutto dietro le spalle. Ne soffriva molto e si confidava con Roberta. Il tempo guarisce tutti i mali, o quasi, ma nel suo caso gli amori difficili e complicati avrebbero continuato a lusingarla e perseguitarla; come fossero una eredità naturale scritta nel suo destino. Quando le cose le andavano bene Roberta era la migliore delle confidenti. Quando le cose andavano meno bene era troppa la pazienza che Pina pretendeva da quell’amicizia e le due temporaneamente si allontanavano. Tutti vorrebbero essere consolati ma nessuno vorrebbe essere contrariato. Era anche il caso delle due amiche: Roberta era destinata a stancarsi di dare consigli di buonsenso quando l’altra era decisa a continuare testardamente a mettersi nei guai, con un compagno sbagliato.
Una sera, in un locale, a un tavolo, era seduto Orio Barozzi. L’uomo aveva fatto un cenno ad una ragazza molto giovane presente in sala, Eugenia, e la ragazzina si era avvicinata a quell’uomo molto più grande. Genia, per gli amici, era stata subito colpita dalla sicurezza dell’uomo maturo, dalla sua autorità. L’uomo invece aveva indicato l’amico che gli sedeva vicino, di cui nessuno ricordava il nome, nemmeno la ragazza, e forse quel nome non ha per i fatti la minima importanza. Orio aveva spiegato a Genia che l’amico l’aveva notata. La ragazza si sentiva confusa come non le era mai capitato, aveva accettato la birra che le era stata offerta e il corteggiamento dell’altro sconosciuto. Quella sera doveva suonare ma al momento di salire sul palco lei non si era presentata.
Continuava a sentire nella testa le parole di quell’uomo, Orio, e continuava a non capirle. Erano solo un rumore. Quando era tornata in quel locale, sperando di rivedere l’uomo maturo che l’aveva colpita, vi si era recata con l’amica Anita Burigana. Vicino a lei Genia si sentiva sicura della propria giovane bellezza, del proprio fascino. Molti ragazzi le giravano torno ma non erano che ragazzi e non riusciva a sentirsene attratta. Invece l’uomo adulto aveva un fascino che la lusingava come non lo era mai stata. Tornò più volte in quel locale finché non riuscì a incontrarlo una nuova volta e quella volta suonò solo per lui.
Quella sera Orio le presentò quello che sarebbe diventato ufficialmente l’amore della sua vita, e suo marito, anche se in cuore era ancora attratta dall’altro. La stessa sera, o in quelle ore, seppe dell’intenzione di Roberta di sposarsi. Sembravano compiersi i destini per molti di loro. Fu sempre in quei giorni che Dana propose una pizza e per la prima volta intervenne nel gruppo anche Orio. Fu davanti a quelle pizze che Genia si accorse di come anche i ragazzi, e non solo loro, restassero affascinati dall’eloquenza sicura di Orio, e di come lo stesso Orio non riuscisse a togliere gli occhi da Dana. Ne rimase ferita e questo le fece decidere del suo futuro.
La storia del gruppo e dei suoi componenti, dei momenti di vicinanza e di quelli di allontanamento, sarebbe molto lunga da spiegare, ma torniamo ai nostri giorni. Fino a che il buon vice-commissario Zanin Tomat non si era trovato, in compagnia della sua sottoposta Paola, in casa Canal per una semplice visita di cortesia, nessuno avrebbe potuto immaginare come questo avrebbe cambiato la sua vita. Due di quelle persone sarebbero state uccise e tutte le altre, e altre ancora, sarebbero entrate nella bocca di tutta la città per finire tra i nomi dei sospettati.
Questo Zanin non lo poteva certo sapere, come non poteva immaginare come gli sarebbe pesato addosso il ruolo di poliziotto. E come ancora non fosse per nulla preparato a trovarsi a fare da confidente di tanti segreti inconfessabili, e come tanta confidenza portasse con sé diffidenza. Lui aveva solo appena cominciato a conoscere quella città. Quella città aveva rischiato di farlo a brandelli e divorarlo. Per quei lunghi giorni sentì la sola vicinanza della collega Paola. Provò emozioni come non aveva mai provato. Si sentì utile e poi vinto. I fatti misero in crisi anche la sua fiducia nella legge e le sue convinzioni sulla veridicità della verità. Restavano due delitti a cui dare un nome per un colpevole. Alla fine capì che nulla era facile e si trovò a chiedersi se voleva veramente conoscere quel nome.
Quando sentì all’altro capo dell’apparecchio la voce di Orsomanno D’Este capì che la città non aveva più speranze, che non c’era futuro per il mondo. Il potere è sempre un mostro, un’idra con molte teste, che tagliate tornano a crescere. Ma questa sarebbe un’altra storia che sarebbe inutile ora affrontare. Lui era solo un poliziotto e doveva far rispettare la legge, anche quando sembrava una beffa. Questa sera tutta quella compagnia si ritroverà per ristabilire una vecchia tradizione lagunare. Tutti assieme per un altro grande banchetto nel quale ricordare gli amici morti, e ridere e gozzovigliare. Nel quale commemorare insieme vittime e non, come a farsi beffa della morte. A lui non restavano che carte da riordinare e archiviare, con la voglia di togliere quella divisa.