La violenza a Londra è una violenza diversa. Senza il caldo asfissiante delle storie metropolitane della città degli angeli o di Frisco. Questa è la grande, sostanziale differenza, ma lì nemmeno sembra violenza a parte alcune storie un poco più trucide. Lì si esplica in quelle sere con la nebbia appiccicosa, meglio se accompagnata da quella sottile pioggerellina fitta. Anche a Milano è così o nella bassa padana. Forse è proprio il buio a renderci diversi e poi che importa se a volte è la realtà ad essere diversa? E’ una ben strana città quella che noi viviamo in tempi in cui non si muore più di guerra ma di paci. Anche in quel caso non si erano accontentati dei soldi ma avevano voluto offendere e picchiare lui, offendere e sporcare lei. Ma i morti sono tutti uguali dopo, anche quelli degli assassini. Mentre si accanivano sulle cose, forse credendole simboli, il padrone di casa era riuscito a raggiungere la pistola. I loro occhi non volevano credere a quello che vedevano ed erano rimasti spalancati e increduli. Il sangue rosso aveva inzuppato il prezioso persiano ed era schizzato sui muri. Lui non lo ammise mai, ma ciò che lo aveva più offeso era che gli avessero svaligiato il frigorifero, oltre ad averlo deriso. Il commissario era troppo esperto per lasciarsi ancora incantare dal suo coraggio o affascinare dalla loro meticolosa preparazione come dalla stoltezza o dalla sfortuna. Non poté che ammirare la moglie che restava in silenzio e piangeva e non aveva ancora avuto il tempo per rimettersi completamente in ordine. Forse era proprio solo quello il loro vero sbaglio cioè che nella grande città, e comunque da quelle parti, i crimini vanno consumati nel silenzio scivolando poi nelle nebbie. Anche di occhi è fatto il pianto di chi soffre.
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Le città e la violenza (il delitto non paga)
Posted in Piccoli gialli, Profili, tagged assassini, branco, buio, città, crimini, delitti, diversità, legittima difesa, letteratura, luoghi, marito, moglie, narrativa, occhi, pianto, prosa, racconto breve, scrittura, segreti, Silenzio, stupro, violenza on 19 agosto 2011| 2 Comments »
La notte e i suoi segreti
Posted in Piccoli gialli, Profili, tagged buio, carnefice, condanna, disperazione, Donne, istinto, letteratura, narrativa, prosa, racconto breve, sacrificio, scrittura, strade, vittime on 26 luglio 2011| 4 Comments »
Sceglieva le vittime di notte forse perché la notte, nel buio, tutto perdona e può fingere facilmente di non vedere. Era di notte che scendeva nelle strade ormai vuote e le percorreva famelico. Era di notte che non sapeva resistere al suo istinto e che quella cosa lo spingeva.
Quello che all’inizio gli era sembrato strano era che fossero loro, le vittime, ad accettare anzi a cercare quell’attimo di disperazione in cui abbandonarsi e perdersi. Sembravano quasi chiederlo e invitarlo scoprendo le carni per i suoi denti. Era la cosa più facile del mondo, quasi naturale. E poi erano quelli delitti a cui nessuno ormai prestava abbastanza attenzione; vivere si era fatto troppo difficile e complicato e in fondo tutte le vittime, era vero, un poco se la cercavano la loro condanna. Ma qualcosa di ogni vittima resta sempre anche nel suo carnefice come gli occhi di Marianna o il sapore di mele acerbe di quella che aveva chiamato Gianna. E anche un poco tutte le donne inseguivano quel favore al sacrificio. Solo un poco si dispiaceva anche per non poterlo raccontare poiché il mattino rientrava nei suoi panni e lui era un tipo riservato.
Nemmeno i giornali né parlavano nel loro chiacchiericcio benché li sfogliasse attentamente e testardamente. Fu Elisabetta a spiegarglielo prima di liberarsi di tutto ed abbandonarsi fiduciosa a quella disperata lusinga di morte: “Per una donna è diverso. L’importante sono le cose e lasciarsi a loro ed è per ciò che un attimo vale più di tutta una vita”. Ma anche quelle donne sono sempre più rare perché nemmeno le donne sono tutte uguali.
Settembre
Posted in Poesia (parole in libertà), tagged addio, amicizia, amore, bambini, buio, chiaro scuri, dolore, fuga, giornali, lampi, Lettere, luna, migrazione, nostalgia, notte, partenza, paure, pioggia, preghiera, prigione, prigioniero, pubblicità, ricordi, rumori, scritte, silenzi, solitario, temporale, titoli, treno, tuoni, universo, vagabondo, vento, viaggio, visioni on 15 agosto 2010| Leave a Comment »
QUASI D’AMORE
Sussurra pressoché muta la
sigaretta King Size filter
evade l’idea, adagio srotola
di fumo sottili filamenti lo
sguardo scruta più oltre
–la strada costeggiata di
cipressi– dondolano nell’aria
frementi frasche vola un uccello
attraverso il divieto metallico
(grida soffuse l’aria che spettina
le frasche) luce diviene colore
in tutto un che d’impaccio nel
l’attesa schiaccia il resto della cicca
Si acquieta il camminare: sei barra
to sfregare di ruvide catene, ferro
vecchio, catenaccio:
Tu ti ricordi Anna – obliterare
il piatto destino – i foglietti.
Leggero dondolio come borbottare
richiude la porta frantumare di
immagini: Tu ti ricordi Anna.
Di questo mattino finestre sono
immagini veloci la strada
ci corre incontro. –Un me
dico uccide mogli
e figlio, poi ri
volge l’arma (lucida; s
oggetto il freddo meccanismo
perfetto del
la folli
a) su se stesso – tu ti ricordi,
ripetuto ossessivo suono
ritrovato il mattino, –Tu ti ricordi
Anna i foglietti che ti passavo
in classe sotto
il banco (note di notte
quel quotidiano rintracciare
una storia diversa, un
verbo lontano: quotidiano) –Ti
disegnavo un fiore… la folla s’af
folla di chiaro
scuro vestita cinta e bagli
ori di luce brucia
no e stracci
ano contorti spazi
e ti respira d
osso senza sincronia (uni
verso circonciso di rosso) suoni
e immagini per esserci,
monotono paesaggio ossessionato, uguali:
un ridere dispettoso, una
parola con l’erre che striscia di
vocaboli di saliva atomizzata,
un filo di ciuffo le graffia la guancia
e parla con piacere
che sembra un gioco
Luisa ama Maria –la
scritta A–cerchiata tira su
con il naso poi
passa il dorso della mano
sopra il labbro
(il polsino
è logoro) lo sguardo è
spento paesaggio in frantumi
è made in italy,
reggersi agli appositi sostegni.
Grande edificio incasellato
il minimarket gazzetta: auto
nomi a sos
pendere lo sciopero
vessillo bandi
era occupata l’
ambasciata: sei gio
vani non voglio
no
:in car
cere il mare
crolla impalcatura
secolare albero
inquinato lungo la
costa muore il
mare sul lavoro
cadendo (bagliori di
segatura e schegge) lievi scosse sismiche
(non si sa il numero delle
vittime: incidenti al con
certo: note
voli danni materiali (nascosti
e muti pesci) finché
la violenza (natura o qualità
coazione fisica o morale,
indurre) dello stato si chiamerà giusti
zia (
o) la giustizia del proletaria
to si chiamerà (ripensando
ad un film di Bunuel)
violenza. Firmato
Una Falcemartello.
Tutto morso qua
e là a piccoli sorsi, in piccoli
furti (armonia molecolare) e
parentesi fugaci il cibo tedesco gli
odori i volti:
ha gl’occhi acquosi
di palude tranquilla
un nero sottile baffo
che gli piove sul labbro
capelli ritti che si diradano
unti un tic sottile quasi
disinvolto l’ultimo uomo,
ha uno sguardo di
malizia e di malizia
seni lovable impertinente sul
capo riflessi di corteccia e
negl’occhi (gazzella leggera
) per sorridere rag
grinza tutto il viso
torno il naso,
fragile e lunga come
un giunco, ha
occhi neri e nei capelli,
ha jeans stinti, ha
occhi e capelli, ha occhi
ali con montatura dorata.
Suono il clacson stridore
di freni le gomme graffiano
(inchiodano) l’asfalto brusco
frenare scompiglia
sentimenti incompiuti: hai
visto quel modello di Courlan
de, di–sgraziato anche ieri
guarda quel figlio
di puttana guarda la strada
carino mi ha detto
Ti prego non farti Luigi
di silenzio si infrange il suono
frenare: farsi più vicini
ancora di più, ancora
il gomito sulle costole
lo stesso respiro la
borsa sul ginocchio la
tesa del cappello che
acceca.
Poi…
lenta
mente…
il corpo sudato
si bagna
di sudore, sudore
mescola
(perle bianche
come
denti di cane)
sulle mani
si intrecciano
le dita,
anche il
ferro
freddo e decoroso
trasuda
leggera convessità del ventre
allusione di mussolina
sfiora e morbido il seno
seno ri
gonfio l’estate
veste sottile
quasi come gusto di
cipria e i merletti
polvere di già stato
colmo il ventre
la coscia soda lancia
lungo la coscia trapela
il dialogo e soffice il
seno eppure elastico
eppure
preme lungo il braccio
forma distinta quasi precisa ri
gonfia e i sottili tentacoli
del sottile formichio lenta
mentre percorre il percorso
quasi un percorso intero
delle tepidità senza voce
un’espressione quasi distratta
mentre corre la strada e s
corre sul seno pieno, sul sole, sui
tratti, su quei piccoli indici turgidi
espressi, sulle grafie murali, a
tratti lungo il fianco, sulle cinque
cento, sul ventre con un dolce
foro in centro, pallottola di Cristo, sulle
grafie morali, sul ventre che s’affonda
sulla mano che suda e sul ventre
(e tutto riconosce e tutto ignora)
e sul ventre che si discosta lenta
mente
Tu ti ricordi Anna
L’estate (se vuoi)
era un cornetto dolce col cuore di panna¹
1] 16 agosto 1978
Con questa finisce la raccolta di poesie di allora composta sotto il titolo Settembre
Settembre
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PAESAGGIO E LUCE
Come sirene ossessionate
–suono compiuto; materia– le grida del mattino
i gabbiani (squittio, volo di cera)
che si conficcano nelle nubi,
che di nubi si bagnano le ali,
suicidi. Al vento giacciono
come leggeri segreti, presaghi; tempo assoluto
–terra, mesi, ansie–
batte fulvo ai polsi in saracinesche si sole
batte sull’incudine dura dei segni
i rintocchi suoi gravi, disfa
la tepida matassa: i bimbi
anelli incastonati portano
di fantasia e catene d’oro.
Colmi di se negl’occhi
(credenza onirica e laica l’infanzia)
umidi di sorrisi –curvi di giochi–
consumano risa di mattino
raccogliendo rugiada nel vento, muta
passa: il paesaggio
i suoi contorni confonde e fonde.¹
Fateli tacere.
Quasi fastidio è
il loro gioco.
1] 21 agosto 1972 (?)
Settembre
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IL MURO
Queste pareti
queste mura che luce
soffrono, angoscia racchiudono.
Apre miopi finestre.
Segna il tempo
i coricarsi amari
stanchi ed esuli di gesti.
Consuete ombre
le ore ritraggono
in consuete pose
o si confondono
in ciò che solo riesci ad immaginare.¹
1] 21 agosto 1973
Settembre
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BUIO
Mai tanto buio
mai quanto adesso
nemmeno un chiarore
muta intorno la luna
un chiarore, nulla
nient’altro che buio a essere.
Dove essere?
Come?
Fra cose distratte
dieta di quotidiano
oggetti che tentano identità mentre
l’illusione tace i suoi neon:
Misero silenzio – silenzio
neanche rumori lontani porta
né lo sferragliare del treno.
Immobile immenso globo,
sibilo tremendo,
sfera senza coda,
increduli spalanca occhi d’acciaio.
Cerca il posto…
il posto dell’appuntamento
ma lei è andata, fuggita…
e con quei sussurri di voilà
difficili equilibri
acquieta la notte,
rincorrersi diVersi
mescolarsi di vuoti e ombre
quasi giustificazione
del tempo
…
scorre lento come lenta
la corrente spegne il rancore.
E chi non ha nulla
sceglie un dio
in cui credere.
E chi non crede in se
di se stesso i canti canta
…
mentre al suo corpo
usa violenza
e i suoi oggetti violenta
oppure
avvinghiato
a loro s’accoppia.
Ma chi si teme
d’altri parla
e balbetta.
Settembre
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VIII. dal tempo in cui
di tempo in tempo
giaceva ai suoi respiri
con folle di trucidi ciclopi
nel tempo esauriva se stesso.
Unica follia, unico rancore
e schegge infisse nelle pupille vuote:
per riflettere
e solo per riflettere
cantò alla luna quel quinto verso d’Europa,
levigati chiaroscuri battevano alle porte
e batté girando le case
sui cieli in se a mutarsi;
battere e suonare squilli brevi
e narrare la diagnosi
vendendo nel plico
la consumata ricetta dell’immortalità.
Ma
come non credere al tempo
se
e cuore
di te mi chiamano poeta.
NB oppure è impazzito, allora
per non ritrovarsi più
Settembre
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VII. Lettere, lettere ed altre lettere
mio caro amico. Verrà mai domani?
“Infelice vagabondo”
attenta scorre la mano
(pietosa)
armonie consumate
e
AMORE: CAVO
(Ricchezza d’ebri incensi
similitudini
o vocazioni perse), quieta
ascoltavi di lontano.
Ed è nudo e muto
vagabondo senza tempo
in quartieri-residenza.
Lingua teneva in sé
colma di parole
che di parole languiva;
lingua tradita, non lingua
trafitta
in partecipe (estranea) al (del) vicino.
Aguzza accusa e cura
atto rovente rivolto al cuore
o cronometro
a misurarsi il sole;
lingua tradotta
giace, favella e in sé si piace
e dietro / Rifacimenti
e sei piccioni, da messaggi,
6; con ali di voilà
rapide che scostano i soffi dell’immagine
(passiva dolcezza) per ricomporre
un senso d’infinito
di sé negato
e la sua ombra,
lunga proiezione del caldo afoso,
nella quiete affoga e dello stagno
insegue il sasso: clinch
cerchi su cerchi s’ingoiano
come un eco lontana
Settembre
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VI. Ora il treno ti passa in testa
grida in silenzio il dolore,
(di lieve gioia il dolore)
sferragliando ti passa in testa
quel treno senza stazione,
un merci, grigio pur’esso;
salta, salta se non vuoi
se non vuoi trovarti sempre
qui seduto a parlare d’altro
mentre il rumore ti impazzisce
e nemmeno ti odi, anche se non serve
salta, salta giù.
Settembre
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V. Spazi bianchi quando
il narrato è interrotto
da squarci di parete
dopo i confini delle
ombre sull’intonaco
l’uomo è quasi a confronto
tagliato netto eppure infisso
è una macchia violenta
si tortura le mani
è una macchia persino violenta
sfigura nell’immagine e
le parole lo dibattono
“sono stato in prigione trent’anni
e prigioniero di me stesso
e quale illusione
bevevo la luce del mattino
di lei mi bagnavo, quasi un ricordo
e frugavo in me, frugavo
bevevo la luce del mattino,
troppa luce la luce del mattino,
e i ragni sul muro giocavo
e le ombre allungavo
e non erano ombre come queste
e non erano…”