“Padre santissimo”.
“Dimmi cara figliola”.
“Cara figliola un cazzo. Avete avuto la soddisfazione e ora mi trovo incinta”.
Il religioso si esprime in un sussurro per invitare la donna ad abbassare il tono della voce: “Non vorrete fare schiamazzi? A tutto c’è rimedio”.
“Voi pensate alle vostre anime che io penso alla mia carne. Rimedio, un cazzo. Avevate detto che era per la santissima vergine Maria madre del suo figlioletto Gesù. E che Diego avrebbe trovato lavoro”.
“Bisogna aver pazienza. Pazienza e fede”.
“Pazienza un cazzo. Io v’ho creduto. Lui è ancora a casa. E adesso che gli racconto”?
“Da quanto ne avete la certezza? Potete sempre confonderlo ch’è suo”.
“Suo, un cazzo. Son quattro mesi che sta ubriaco per il dolore e la mortificazione, povero uomo. Son quattro mesi che non mi tocca”.
“Meglio, molto meglio. Vedete che il signore vi aiuta”?
“Cosa mi vorrebbe dire questa ciarlataneria”?
“Non agitatevi Teodora, in quanto non serve a nulla. Siete una donna scaltra, non avrei di che ingegnarvi. Aiutatelo e fatelo bere. Poi, dopo averlo coricato a letto, siate gentile con lui. Fategli qualche lusinga, qualche lusinga. Non vi chiedo grande sacrificio. Basta cosa leggera. In fondo è pur sempre vostro marito. Siete uniti dal santissimo sacramento del matrimonio. L’indomani non sarà in grado di ricordare e sarà pronto a credere a qualsiasi fola”.
“Dite”?
“Ho detto. Non vi sembra sensato”?
“E… per quel lavoro”?
“Il Signore vede e provvede. Che vi metta una mano in testa. Ci vuole penitenza, figliola. Tanta penitenza”.
Poco distante dal confessionale una pia donna è intenta nel suo pregare e nel chiedere grazia in un bisbiglio, gli occhi bassi in segno di penitenza che solo di tanto in tanto, e fugacemente, hanno l’adire di correre fino alla pala dell’altare che rappresenta il dolore e il sacrificio massimo: una crocifissione. La pia donna muove le labbra quasi in silenzio con un ritmo di cantilena ma questo non le distrae gli altri sensi. Riesce a dialogare con la madre veneratissima ed il frutto del suo ventre e, contemporaneamente, dall’inginocchiatoio tende l’udito per rubare frammenti della confessione. Con quei frammenti lei ricostruisce una storia che è un’altra storia da quella in cui sono coinvolti gli altri due presenti, cioè La donna Teodora e il confessore Fra Caigo. Non corre nessun sangue tra le due devote, né buono, né cattivo, semplicemente la differenza d’età crea un solco che le fa appartenere a mondi diversi. Non hanno in comune nessuna frequentazione. Nessun’altra ragione apparente e ragionevole motiva la forte antipatia che anima Rachele nei confronti dell’altra. Certo Teodora porta la svergogna entrando nel luogo sacro senza coprirsi il capo, ma non è solo questo. Sono gli abiti di cui si veste, è il tono della voce, quel modo di camminare, eretta, il modo in cui dice le cose, il trucco che mette e i trucchi che usa, come la guardano gli uomini; insomma tutto.
La poveretta, e quel poveretta è aggettivo che accettava commiserazione ma non comprensione, è l’antonimo di un complimento, della solidarietà, con quel marito che si era ritrovata, che non lavorava e passava tutto il suo tempo e sperperava quei pochi soldi all’osteria, non poteva certo sottrarsi al suo destino. Certo che una donna deve esserci portata a certe cose, una ci nasce, non ci diventa; e non era nemmeno bella. Era chiaro che anche con l’oste era costretta per fargli perdonare i debiti del marito. L’aveva vista, mentre aspettava, impallidire e sentirsi venir meno. Era chiaro che la meschina aspettava un bambino, tanto chiaro da essere evidente fino all’esagerazione, Solo il becco poteva non accorgersene, è sempre così, e certamente non era suo. Quella donna civettava con tutti e se le cercava, se apri la porta al male non ti puoi fare poi meraviglia se quello entra.
La donna andò allora ad inginocchiarsi davanti all’edicola della confessione, ma non per confidare i propri peccati, li aveva già riconosciuti solo mezz’ora prima, e nel frattempo li aveva anche emendati, che nemmeno con tutto l’impegno del maligno avrebbe potuto commetterne altri in quel lasso di tempo e in quel luogo sacro –sul luogo le sorse un estremo veloce dubbio– ma solo per chiedere consiglio: “Padre, voi che mi siete confessore, dove ho trovato sempre saggezza e le risposte giuste, una cosa ho da chiedervi: se una donna timorata di Dio viene a conoscenza di un delitto ha il dovere di andarne a parlare alla polizia”?
Fra Caigo ne aveva abbastanza di quella vecchia pettegola che passava la vita china a pregare per poi trovare brevi pause per peccare, fino inventarsi peccati, suoi o indifferentemente di altri, solo per la soddisfazione di andare da lui a raccontarli. In quel momento aveva ben altri grattacapi, possibile che nessuno si distragga un attimo a farsi gli affari suoi? Quella donna lo assediava. Lui aveva sempre cercato di fare della propria vita virtù, un bicchierino ogni tanto, una sigaretta dopo cena, e quasi nient’altro; e soprattutto preghiera. Se aveva peccato quei peccati li aveva sempre spiati. Ora aveva quella seccatura. Perché la carne gli piaceva, soprattutto se giovane; non sapeva che farci. Sì mortificava ma quelle, quelle tra le sue pecorelle, lo tentavano. Naturalmente per quella… quella carne vecchia nulla avrebbe potuto convincerlo; aveva solo repulsione, non avrebbe potuto convincerlo nemmeno con mille pater nostro. Nonostante l’irritazione il fratello non poteva rischiare in peccato del bugiardo e si sentiva costretto a dire quello che pensava veramente; anche se si sarebbe volentieri preso gioco di quella bacchettona. Deliberatamente finse di non riconoscere quella voce, anche per non inasprire la pena e nella speranza di togliersela velocemente dai piedi: “Certamente, buona donna. Ritengo sia dovere del vero credente rispettare anche i doveri della legge e delle regole terrene”.
Teodora era sempre stata persona spiccia, nel parlare e nel fare, ma onesta. Delle tante cose che non sopportava in quell’uomo una delle peggiori era il suo bisogno di santità e la sua necessità di condire il poco di tante parole. Però convenne che quando l’acqua arriva alla gola anche un uomo del genere, un immondo profittatore delle disgrazie degli altri, si faceva scaltro. Tra la certezza e l’incertezza vi avviò resoluta verso l’uscita, con una certa fretta, augurandosi che avesse ragione e che le speranze, oltre le ansie, potessero farsi vere. Uscì dalla tempio sibilando: “Laido vecchiazzo”.
Aveva voglia di piangere; di piangere di rabbia, di incertezze, di rassegnazione, di orrore, di solitudine, di miseria, di nausea, di sporco, di disprezzo. Per una bestemmia. Perché non aveva nessun’altra a cui dirlo se non a se stessa. Aveva voglia di piangere per tutte quelle cose. Non per vergogna. Quel figlio non lo voleva. Non in quel modo. Non da lui. Era stata una volta, una volta sola. Lo aveva fatto per lui. Per bisogno. E le aveva fatto schifo. E rimorso. E quello se l’era portato addosso. Per giorni. Ancora lo provava. Niente era stato lo stesso; dopo. Aveva cercato di convincersi che non era successo; non c’era riuscita. Non c’è mai nessun modo per fuggire i ricordi. E ora ne era marchiata.
Il cappellano si era regalato una breve pausa e aveva osservato attentamente l’uscita della sposina e non aveva potuto non restare affascinato, ancora una volta, della perfezione di quel posteriore che parlava; si era subito chinato e segnato tre volte. Ora andava spegnendo le candele, perché era un uomo che sapeva prevedere ed è sempre meglio risparmiare che trovarsi poi in disgrazia, prima di mettersi ad abbellire l’altare con gli iris e i garofani bianchi per il matrimonio che si sarebbe dovuto celebrare nel pomeriggio, ma si avvicinò proprio al confessionale per la curiosità di rubare qualcosa da quelle parole. Non poté udire nulla della risposta ma era inorridito e si chiedeva di quale misfatto poteva essersi macchiata la vecchia poiché la parola l’aveva sentita bene a chiaramente con le proprie orecchie. Non aveva mai avuto simpatia per quella, così falsa e intrigante che sputava veleno su tutti, anche su quella santa donna della Tea, con le sue maldicenze, calunnie e sentenze. Aveva anche da tempo il sospetto che trattenesse la sacra ostia sotto la lingua per poi portarla a casa per chissà quali usi. Sulle sue mire verso il confessore invece aveva solo certezze, e gongolava del fatto che possedesse solo l’unica attrattiva di una misera pensione. Probabilmente era stata proprio lei a passare a filo di coltello il gatto del Tonio; se non di peggio. Si sarebbe informato un po’ in giro.
In tutto quel suo darsi un grande daffare Lieto non poteva certo accorgersi che due occhi lo scrutavano nella penombra. Erano due occhi rapidi e attenti e quei due occhi erano certi che il piccolo uomo, che non era nemmeno tanto pulito, moltiplicasse i propri guadagni vendendo quei mozziconi di candele e mercanteggiando sulla sua tanto sbandierata parsimonia. Ne erano certi, solo che non erano in possesso delle prove; ma prima o dopo le avrebbero trovate. Velocemente riuscirono a sparire lì, vicino all’acquasantiera, prima che Lieto di girasse.
Il sagrestano, proprio nello stesso medesimo istante, fu sorpreso dal vedere entrare in chiesa Spartaco, e per di più in canottiera, e si segnò di nuovo. Quell’uomo, che di nome intero faceva Spartaco Josef Stalinino, non s’era mai visto in un luogo come quello. Il nuovo venuto percorse tutta la navata e si inginocchiò davanti all’altare maggiore fingendo di pregare. Il buon sacrestano era certo che non potesse riconoscere un inno sacro da una canzonaccia da bettola di infimo ordine. La ragione di quella visita insolita era che da tre mesi il figlio dello stesso Spartaco, Che Karl, che si doveva pronunciate esattamente con C’è Karl, era stato arrestato per possesso di stupefacenti in quasi modica quantità, e così il bracciante si era detto: “Vedi mai”. Solo che, cercando di parlare, la prima e unica cosa che gli venne fu una bestemmia che ingoiò prontamente. Non sapendo che dire accese una candela. Il frate lo vide e restò rintanato nella nicchia che lo nascondeva, non aveva voglia di altri incontri.
Priamo, dopo aver frugato intorno con gli occhi per accertarsi di non essere visto, aveva affidato il suo segreto in un biglietto che aveva nascosto dentro il libro delle preghiere certo che Gabriele Santo l’avrebbe trovato. Beniamino aveva offerto il braccio a Benedetta perché vi si appoggiasse sorreggendosi per scendere i gradini. Solo a quel contatto l’uomo aveva provato quella indicibile emozione, che provava sempre, della prima volta che aveva marinato la scuola, o del contatto del primo bacio quand’era ancora un ragazzino, e le parole gli si erano conficcate in gola come stele di ghiaccio uscendo, a fatica, sillaba dopo sillaba. Il sentimento dell’uomo non era più un segreto per nessuno, nemmeno per la donna, tranne che per lui stesso. Lei aveva alzato il naso all’insù con aria regale gonfiandosi e pavoneggiandosi di fierezza. In fondo nessuno avrebbe potuto dire nulla poiché lei era vedova e anche l’uomo era rimasto solo. Non si era ancora decisa, e non sapeva se l’avrebbe mai fatto, intanto si beava della soddisfazione e dei vantaggi di quelle attenzioni.
Marieta era la più temuta e rinomata pettegola di tutta la regione. Era stata lei la prima a scoprire che al casotto di Vauro era stato lui stesso ad appiccicare il fuoco; altro che un fulmine, i fulmini non si lasciano dietro le taniche di benzina vuote. Era così che lui, come tanti, ora non teneva più animali ma era diventato padrone di una bella palazzina e ora pascolava solo inquilini. Poi era passata ad altro. Era riuscita a convincere presenti e assenti che Aristide aveva una relazione con la capra Elisabetta per la quale aveva letteralmente perso la testa, e che questo amore era follemente ricambiato. Stava raccontando gli ultimi sviluppi alla sua compagna di chiacchiere, che di natura già era una inguaribile credulona, sempre bisognosa di nuove storie come linfa per sentirsi viva, tutto quello che aveva visto con i suoi propri occhi. “Da quando è cominciata questa storia quell’uomo s’è fatto taciturno, evita tutti. Ti dico che l’ho incontrato anche ieri e non mi ha degnata di uno sguardo. E sai, non per dire, io non voglio essere pettegola e odio le malelingue, ma sai come lui mi ronzasse sempre intorno, mi soffocasse di premure. Anche se io non ne ho mai dato motivo né occasione, ma non facevo che averlo tra i piedi. Marieta qua, Marieta là. L’ho persino trovato ad aspettarmi e… indovina un po’? non ci crederai, in mano aveva un mazzo di fiori. –invece l’altra non solo credeva ma quella storia, che non sentiva per la prima volta, era risaputa e aveva avuto persino dei testimoni.– Faceva ridere. Ma io niente. Sai come sono fatta. Nemmeno la soddisfazione di non ridergli in faccia. Dove vai con un tipo simile? –e sapeva, l’altra anche dov’erano andati– Sarei stata la novella di tutti i giorni”? Marieta si era fatta prendere tanto dalla foga del racconto e dall’argomento che senza accorgersene aveva alzato di parecchio la voce. Smettendo i panni del paziente confessore il servo del Signore s’era inchinato verso l’altare mentre si stava allontanando. Sentire quelle voci è stato un tutt’uno con il rimbrotto del buon uomo nel richiamare le fedeli ad un maggior rispetto dovuto a quella sacra dimora.
Tonando a casa per la scorciatoia, che era poco frequentata anche durante il giorno, la vecchia venne aggredita, spinta in una corte cieca e riempita di botte. Il marito le aveva detto mille volte di non passare per quei posti che erano posti da ladri, forse questa era la ragione ultima proprio perché la donna decidesse di scegliere quel percorso. La distanza e il tempo erano gli stessi sia andando di qua che di là. L’aggressore, naturalmente a volto coperto, vedendola per terra che vociava, facendo un inferno come se stessero spennando vive un coro di galline, le tappò la bocca, quella belva non voleva starsene ferma, e decise di togliersi anche quell’ultima soddisfazione. Andandosene poi ancora in preda alla furia della collera si trovò a chiedersi se la soddisfazione se l’era presa o l’aveva data. Si fece il segno della croce e la maledì per l’ennesima volta augurandole tutti i mali conosciuti e non.
Venier aveva visto tutto dalla finestra, ma l’unico istinto che aveva avuto era stato quello di scendere e aiutare quell’uomo coraggioso, tenendo ferma quella vecchia matta che continuava a scalciare e protestare proprio come in pazzia, per poi calmarsi e trattenersi finalmente per mantenersi zitta. Se l’era voluta e proprio meritata. Finita quella tempesta era rimasta ferma, per un po’, sul selciato e poi si era alzata a stento, tutta ammaccata, alzando occhi imploranti, allora lui aveva fatto un passo indietro tornando verso l’interno, fuori dalla luce, e lei s’era avviata zoppicando, borbottando e controllando nella borsetta.
Quando il benevolo frate confessore era tornato in sacrestia aveva trovato, con grande sorpresa, un biglietto che naturalmente non recava il nome di chi ne era l’artefice: «Nessuno è al di sopra del giudizio di Iddio. Siamo tutti peccatori, ma il peccato più grande è quello commesso nella sua casa o comunque da chi pratica la sua parola e in sua vece. Il vostro sacrilegio non è più un segreto e sarà punito prima che dalla giustizia divina da quella umana. C’è il tempo della vendetta prima di quello del perdono. La parola del signore dice di non fare agli altri… Rammentate prete». Si guardò intorno senza scorgere nessuno mentre già si chiedeva come e in che modo avesse potuto essere così distratto da tradirsi. Le sue debolezze per la carne, ancor giovane, nonostante le sue cautele, ormai dovevano essere un mistero per nessuno. Nemmeno per quel suo breve incontro con la giovanissima Giuditta, era un bocciolo non ancora colto, anche se aveva dovuto faticare per persuaderla, non si sarebbero scandalizzati che per un attimo, forse tranne proprio i genitori; comunque era convinto che la graziosa ragazzina presto o tardi avrebbe fatto in qualunque caso commercio delle sue grazie. Rileggeva quelle poche righe senza venirne a capo. Cercò di pensare a chi poteva aver vergato quel messaggio, passò in rassegna tutti i suoi fedeli, uno ad uno, per giungere alla conclusione che poteva essere stato ogn’uno di loro, che potevano averla scritta tutti; quella gente non conosceva la riconoscenza. E allora dove poteva essere arrivata ad attenuarsi e venir meno la sua circospezione?
Non ci sono segreti che in una comunità si possano veramente mantenere, né segreti che in quell’interno non si trasformino in leggenda. Quel sacro silenzio fu rotto da un grido, una voce si alzò tra quelle altissime colonne indicando l’immagine dentro la cappella: “Nostra Signora la Madonna santissima sempre vergine Maria piange”. Onestamente quell’immagine era sempre sembrata, a più d’uno, un po’ eretica, anche se non avrebbero saputo dire perché.
N.B. Anche questa foto è stata “rubata” dal profilo Facebook di Enrico Mazzucato.