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Posts Tagged ‘Hänsel’

Due case e mezza è un piccolo paese, come ci si può già immaginare dal nome. Prima di esservi destinato lui ne ignorava persino l’esistenza e si era chiesto se era segnato nelle carte. Segnato doveva essere segnato, e il territorio era anche ampio, solo che gli insediamenti erano sparpagliati. Per lui era stata una promozione inaspettata, la provincia era invece molto estesa e tranquilla. Sarebbe stata una noia, la vita che lui, appuntato scelto della benemerita, aveva sempre sognato, non fosse che avevano cominciato ad arrivare quelle denunce di vecchietti scomparsi. Scomparsi senza un funerale e senza nessun preavviso. Nessuno aveva dato grande importanza ma poi avevano cominciato a trovare quei mucchietti di cenere e frammenti d’ossa sparsi per le campagna. In alcuni di quei frammenti erano evidenti segni di denti. Lo scosse dal suo torpore il risultato che quei segni di denti non appartenevano sempre ad animali, anzi erano presenti in tutti i reperti solchi lasciati da denti umani. Non voleva credere di potersi trovare davanti ed un caso di necrofagia se non addirittura di cannibalismo.
Come si suole dire brancolavano pigramente nel buio, e i mansionari non gli erano di grande aiuto. I nonnetti continuavano a sparire. Non avevano nulla in comune tra loro né si frequentavano o si conoscevano. Invece qualcosa in comune c’era, ma gli ci volle del tempo per scoprirla in mezzo a tutte quelle carte. Vivevano tutti in casupole isolate, vivevano tutti con poco e nessuno aveva dei nipotini. Era poco ma da quel poco poteva cominciare a muovere una certa curiosità. Fu così che, intervistando vicini, seppe che pochi sapevano qualcosa sugli scomparsi, ma che la maggior parte d’essi affermava che erano vecchi scorbutici e che non amavano i bambini. Gli sembrò che fossero pettegolezzi privi di importanza. Nemmeno lui aveva in gran simpatia il trovarsi mocciosi tra i piedi. Quella sera telefonò controvoglia a Livia perché faticava con quell’amore a distanza, e lei curiosa gli chiese di come non procedevano le indagini. Cercò di salutarla con un minimo di ottimismo anche se in cuor suo aveva la certezza che tutto sarebbe finito come una bolla di sapone. Doveva esserci un’altra spiegazione logica. Quella notte sognò il ritorno dei vecchietti arzilli da una gita in qualche posto di fede in cui erano andati a chiedere uno sconto sull’età e sugli acciacchi. Al mattino il suo ottimismo trovò delusione.
Naturalmente fu un vero caso a risolvere il caso. Quel mattino se ne stava andando a funghi quando sentì delle lamentele provenire da un piccolo casolare poco fuori dal sentiero. Si avvicinò e scoprì due ragazzi nell’intento di spingere dentro un forno un’immonda vecchietta che cercava di opporre una testarda e strenua resistenza. Accompagnati al commissariato gli dissero di chiamarsi Carlo e Carla e, dopo qualche resistenza e vari mutismi, gli spiegarono che una vecchiaccia prima di quella vecchiaccia li aveva accolti in casa, chiusi in una gabbia e ingrassati per farne cena. Gli spiegarono anche com’erano riusciti a liberarsi e come la decrepita quasi cieca fosse finita a sua volta nel forno al loro posto a far da pranzo. Si giustificarono perché dopo tanta prigionia non gli era stato più possibile ritrovare i disperati genitori e avevano dovuto in qualche modo arrangiarsi, e in quell’arrangiarsi avevano perseguito la vendetta contro quei vecchi scorbutici ingordi di ricordi e di carni giovani. Restò allibito soprattutto per le rimostranze della vecchia dagli abiti bisunti e dal fiato pestilenziale da aglio, ma volle andare fino in fondo alla cosa. Non trovò un pretesto per trattenere la obsoleta e dovette, a malincuore, invitarla ad andarsene, ma grazie alla sua coscienziosità scoprì il vero nome di quei due fratelli privi di documenti che non si chiamavano Carlo e Carla, ma Hänsel e Gretel, cioè con nomi a dir poco inusuali.
I due ragazzi, ormai diventati quasi adulti, senza perdere i loro “sogni” da ragazzini, erano di quelli che vengono definiti immigrati di seconda generazione. Certo avrebbero avuto le carte in regola essendo scesi verso sud, se solo si fossero potuti rintracciare i genitori. Ma, è comune e noto, che chi viene da una cultura diversa un po’ di quella cultura se la porta sempre dentro. Assieme ad abitudini differenti e insolite, usi e costumi, a strane forme religiose non raramente infarcite di esoterismo, a manie e quant’altro. Ci vogliono generazioni e generazioni per lavarsi di dosso tutto un retaggio culturale, eppure nessuno aveva prima pensato a loro, tradito anche dai nuovi nomi che s’erano dati. Carlo e Carla sono nomi talmente comuni dalle nostre parti da non lasciare spazio al minimo sospetto. Inoltre il loro aspetto era quello di due ragazzi a modo pasciuti e ben nutriti, non certo quello che possono avere due zingarelli abbandonati. Fu subitaneamente fatto un comitato di sostegno in favore degli orfanelli e una raccolta di fondi, e furono presto trovate un paio di famiglie disposte all’adozione. La vecchia fu rifiutata anche dal ricovero, venne sfrattata e fu costretta con tanto di ordinanza comunale ad andare a vivere in città, domiciliata malvolentieri presso il figlio maggiore. Tutto il paese fece una gran festa per la sua nomina a brigadiere. Unica nota di amarezza fu che ricordò di aver dimenticato presso quella stamberga i funghi raccolti e che, tra tante preoccupazioni, la stagione era volata via. Chi l’avrebbe sentita Livia, lei che ne era molto ghiotta? Decise di aprire un fascicolo per appropriazione indebita, ma il tempo è l’unica cosa che non si può mettere in cella.

N.B. le foto sono state “rubate” in Facebook tra leFoto del diario” di Enrico Mazzucato e non hanno alcuna relazione col racconto.

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