E’ proprio vero che il mattino ha l’oro in bocca. Chiedetelo a lei. Non potrà che confermarlo: è stata proprio lei stessa, ridendo, a ricordarmi il proverbio. Sentirglielo raccontare mi mette ancora quel brivido. Perché a lei fa piacere dirle le cose. Naturalmente nel modo e nel momento opportuno. Io nemmeno avevo fatto caso a che tempo faceva fuori. Le imposte erano ancora chiuse. Ero ancora sospeso in quel dormiveglia. Non certo di essere uscito dal sonno. Non certo che non fosse più sogno. Impegnato ad ascoltare quel piacere che mi risaliva dalle viscere, liquido e tiepido.
Non me ne sono reso conto all’istante, naturalmente; come potevo? Certo che era incredibile ed era impossibile immaginare che lì ci fosse Luigina. Avrei dovuto riconoscerla, dopo dieci anni. Non era mai stata così… così… delicata. Così appassionata da… Eppure stavo già per sospirare: “Luigina”! Ma quelle non potevano essere le sue di labbra. Solo che al mattino, trascinato così fuori violentemente dalla notte, in quel dolce tepore; non era mai successo. Ancora penso che mia moglie… incredulo. Mentre la mia mano le sfiora i capelli. Sono capelli lunghi e sottili. Molto sottili. Guardo giù e non ci credo: sono biondi. E la testa è la testa di Egle. Questa è Egle.
Sta da noi da dieci giorni. A dire il vero neanche le tette sono quelle di Luigina. E’ ospite. Niente è di Luigina e tutto è di Egle. E’ carina. Luigina mi aveva avvertito “Non ho potuto dirle di no. Non aveva ancora visto Pisa. E poi vedrai che non darà fastidio. Voglio che la conosci”. E aveva ragione lei. E’ una donna solare. Spiritosa. S’è fatto subito amicizia. E’ stato facile stabilire quella confidenza. E lei a raccontare le sue cose senza parsimonia; con naturalezza. Già avevo avuto modo di chiedermi come aveva fatto quel Fantasma. C’è proprio gente che della vita non è mai contenta. Che qualsiasi fortuna gli capiti non la sa riconoscere. Ma è più la sua curiosità di conoscere me. Svegliarsi tra le labbra di Egle è un’esperienza indescrivibile. Sicuramente degna di essere vissuta e ripetuta.
Amiche da sempre. La credevo gentile per l’amica. Niente di più. Non posso che esserne enormemente sorpreso. Niente che potesse farlo anche solo lontanamente sospettare. Le dico “Ma?…” e fatico a dire anche quello. Avrò tempo per imparare che lei, Egle, sa leggere nel pensiero. Capisce al volo. Si libera di me solo per quel tempo e già rimpiango di aver avuto quella curiosità; ma ero allibito. Sa la mia domanda e mi spiega: “Le ho detto che volevo farti uno scherzo, spero non ti dispiaccia”. Il suo sorriso è furbo, ma non ho nemmeno il tempo di vederlo. Torno a accarezzarle il capo. Il contatto della mano sui capelli è leggero ma deciso. E’ come sfiorare seta. Nella carezza voglio spiegarle la mia gratitudine, e impedirle di fermarsi ovvero interrompersi. C’è la preghiera disperata di continuare. Credo non ce ne fosse bisogno; che non avesse nessuna intenzione lasciarsi distrarre. Egle è paziente e ostinata.
Per raccontare certe cose basterebbero due parole. E non ne basterebbero mille. Se ci fosse. La luce entra senza pudore. Mi va di guardarla. Cantami la tua canzone d’amore. A lei non crea nessun imbarazzo. Alza anzi gli occhi per interrogarmi. Credo che i miei si perdano ad ascoltare le parole che la sua bocca mi sussurra. Dettagliatamente. Credo che sia completamente soddisfatta della mia risposta. Almeno lo spero. Cerca di mettersi comoda e io tengo le coperte sollevate. Non ha bisogno di altre conferme. Sono completamente estasiato, abbagliato da quello che vedo. Come a guardare un altro ed essere io quell’altro. E lei è l’altra e questo fa tutto ancora più bello. Torno a convincermi che è solo tutto un sogno. Mi lascio sognare, sognante.
Fa un sospiro che sembra dover finire dopo il giudizio universale e mi fa scorrere la mano sul petto, senza distrarsi minimamente. Le lunghe unghie curate mi graffiano e mi solleticano. Poi mi arruffa il pelo. Per un attimo percepisco la presenza dei denti. Piccoli morsi appena udibili. Decido che è questa la vita che voglio, per sempre. Ho voglia di vederla; tutta. Ho voglia di tutto. E’ comunque diverso. E’ facile distrarsi, in un momento simile. Scordarsi di tutto. Improvvisamente mi viene in mente. Non è più curiosità ma un leggero timore. Conosco le cose: “E se torna”?
Non ho pronunciato un suono ma ancora una volta lei ha capito. Sembra quasi rimproverarmi. “Ha detto che doveva scendere per prendere il latte”.
La sentiamo aprire la porta. Grida appena entrata: “Ti sei svegliato”?
Sospetto che creda di essere spiritosa quando ci invita a ricomporci che è tornata. Egle l’ha già fatto con una velocità incredibile. Io mi limito a rintanarmi sotto le coperte. Desolatamente sconsolato. Fortuna perché Luigina, naturalmente, non vedendo nessuno, ci raggiunge in camera e si ferma sulla porta, la borsa ancora in mano, senza aspettare risposta. In fondo è casa sua. Guarda me e guarda Egle in piedi: “Me lo dovete proprio raccontare, il vostro scherzo”.
Meglio di no. L’ospite ride sotto i baffi, ma non mi toglie dall’impaccio. Se ne sta buona a godersi la scena. E’ pur vero che tra moglie e marito… Ammicca e si strofina gli occhi in uno sbadiglio. Sa fingere come una professionista. Forse il suo pigiama era già stropicciato della notte prima che entrasse. E’ delizioso; di un grigio perla che trasluce proprio come una perla. Più bella non potrebbe essere. Si sistema un ciuffo e torna a ridere.
Vedo la tazza sul comodino. “Egle è stata molto carina. Mi ha portato il caffè. Fingendo di essere te. Per poco non mi trovavo a dovermi vergognare. L’ho anche chiamata Luigina”.
“Le avevo detto che tu dormi così”.
“Ti ho detto che gli portavo il caffè. Che avrei finto di essere te per svegliarlo. E’ stato buffo. Tienitelo stretto. Non era ancora sveglio e già chiamava il suo amore: Luigina”.
Lei aveva appoggiato a terra le borse che dovevano essere pesanti. Si è vestita di un sorriso benevolo e si sfila le scarpe per infilarsi le ciabatte: “Ho detto che avrei fatto presto. Che mi sarei sbrigata subito. Per quelle quattro cose… E tu ora vestiti. Aspetta che usciamo. Vieni”.
Stavo per sospirare: “Fin troppo presto”. Invece le spiego che il caffè s’è freddato pregando Egle se me ne può portare cortesemente un altro.
Luigina riprende le borse decisa a raggiungere la cucina: “Non fare il pigro. Vieni a prendertelo in cucina. E non essere egoista. Egle deve uscire altrimenti, se se ne sta sempre in casa, non vedrà mai Pisa. Non credi? Che il caffè te lo aveva già portato. E’ stata gentile. Anche troppo. Rischiando uno spettacolo non proprio edificante. Di rimanere scandalizzata di te che hai sempre caldo e ora ti vergogni e ti rintani lì sotto le coperte come stessi per morire. Per fortuna. Tutto sudato”.
Egle impertinente sorride e mi strizza d’occhio: “Non ci sarebbe stato nessun problema. Non sarebbe stato il primo che vedo; non credi? Meglio così. Ma era buffo con quegli occhi. Scusa se ho riso. Ma s’è accorto subito che io non ero te. Prima ancora che aprissi la porta. Peccato. Non ti preoccupare, non te lo tocco il tuo bello. Poi mi sono fermata a parlare mentre ti aspettavamo. Ti spiace? Stavamo giusto parlando di te. Poi lui è stato gentile. Tienitelo stretto. Mi ha chiesto com’era finita. Gli stavo giusto spiegando cosa faceva quello stronzo e lui è rimasto senza fiato. S’è pure scordato del caffè, ma mi aveva già ringraziata”.
Le guardo andarsene. Sospiro. Mattino di merda. Mi infilo il pigiama. Prendo il caffè e lo porto al microonde. In piedi aspetto che si riscaldi. Ci aggiungo due cucchiaini di zucchero, ma di canna. Luigina ingozza il frigo e mi da di spalle. Egle è andata a vestirsi. Allungo una mano. Cerco di ritrovare il sogno. Luigina mi redarguisce immediatamente, spazientita e irritata: “Stai fermo con quelle mani. Non fare il cretino che Egle può tornare da un momento all’altro. Non hai altro per la testa”? Aggiungo un po’ di latte. Intingo un paio di biscotti nella tazza. Mi pulisco le dita sulla tovaglia. Vorrei tornarmene a letto, ma ho paura di svegliarmi. E scoprire che il sogno era tutto un sogno. Egle vestita in modo pratico saluta dalla porta e se ve va a scoprire la maledetta Pisa: “Ci vediamo stasera”.
Faccio un ultimo tentativo: “Vuoi che ti accompagni”?
“Fa niente. Non ti devi disturbare. Grazie lo stesso”.
Ora siamo soli. Torno ad allungare la mano. Non lo farei, non ci penserei, se non fossi stato svegliato in quel modo. Invece: “Non vedi che ho da fare? Possibile che tu non le capisco proprio le cose. E poi non è il momento”.
Ho un ultima residua speranza: “Esco a prendere il giornale”. Mi metto le prime cose che trovo. Imbocco la porta in tutta fretta. Mi precipito già dalle scale. La donna delle pulizie mi da il suo buongiorno. Esco in strada ancora tutto spettinato. Con le scarpe slacciate. Con gli occhi scruto intorno, ma lei naturalmente è già sparita. Non c’è traccia di Egle. Ingoiata da questa città matrigna. Prendo i giornali e me ne torno sui miei passi Mogio. Rassegnato. Pazienza. Meglio pensare che è stato tutto solo uno stupido ma meraviglioso scherzo. E in casa leggo ogni riga cercando di non pensare a lei. E’ un maledetto sabato. La sera non arriva mai aspettando l’anticipo.
E’ ora di cena quando Egle rientra tutta allegra. Ha preso una copia della torre in finto avorio e una borsetta e la mostra a Luigina. La borsa è brutta, ma mia moglie si complimenta dell’acquisto. Ceniamo ma non trovo molto da dire. Guardo l’orologio a muro, non voglio perdere il fischio d’inizio. Egle disinvolta racconta che il centro è un vero labirinto. Che ha rischiato di perdersi. Mangia con appetito. Fisso ogni boccone che porta alle labbra. E quando sorseggia il chianti. Continuo a guardare Egle ma lei non mi degna di uno sguardo. Le lascio da sole a chiacchierare tra donne. Me ne vado in salotto. Nell’intervallo mi rubano il divano e vado a guardare il secondo tempo su quella piccola in cucina. Alla fine ne abbiamo presi tre. Proprio un sabato di merda. Per non farci mancare nulla fuori comincia anche a piovere e tira forte il vento.
Spedisco due mail, mi spoglio e mi infilo a letto. Ripenso al mattino e non resto indifferente. Spengo la luce e cerco di dormire. Dopo un po’ Luigina mi raggiunge. Cerco di essere gentile: “Com’era il film”? “Boh! Non un granché. Niente di eccezionale. Niente da non perdere. Però ce la siamo raccontata. Attento a Egle, credo che tu, almeno un po’, le piaccia. Non ti sembra un po’ sfacciata? Viene e va come fosse proprio di casa”. Lei spegne la luce. Allungo una mano: “Non ora. Sono stanca e ho un gran sonno. Mi si chiudono gli occhi. Fai il bravino”. Non mi resta altro che cercare di prendere sonno anch’io. Lo cerco e non lo trovo. Cerco di distrarmi. Era sbagliata anche la formazione.
Sento un fruscio e un alito di aria. Vedo un filo di luce. Deve essere pazza. Entra Egle di soppiatto. Dentro lo stesso pigiama. Mi sorride. Guardo a sinistra e Luigina continua a dormire. Faccio per alzarmi ma lei mi spinge giù. Con la mano mi invita a rimanere al mio posto. Incredibile. Cosa vorrà fare? Sembra che il mio imbarazzo e tutto la diverta. Come una ragazzina: “Mi sono ricordata che avevamo un… un discorsetto in sospeso; io e te? Non credi”. Faccio sì con la testa e mi immobilizzo per il panico. Torno a guardare verso mia moglie; tragicamente impacciato. E’ completamente pazza. Prima ancora che glielo chieda mi tranquillizza: “Le ho riempito il vino di valeriana”.
Non sono del tutto tranquillo. Diversamente lei accende anche l’abat-jour: “Non mi dire che non mi volevi vedere proprio tutta. Tanto lo so che non sarebbe vero. Me lo hanno raccontato i tuoi occhi. Non ti ricordi? Sei un gran maiale. Tutti uguali voi… Senza nessuna fantasia. Invece così è”… Certo che lo volevo e lo ricordo bene. E lei mi fa contento. Se ne esce da quel pigiama e mi lascia guardare per un lunghissimo istante, soddisfatta di sé: “Ti piace guardare? Non vorrai solo guardare? Fammi un po’ di posto”. Io eseguo. Mi faccio un po’ più in là. Luigina ha l’abitudine di dormine in bilico sul bordo. E lei non chiede molto spazio. Si allunga vicino a me. Mi sussurra all’orecchio: “Luigina è una cara amica”. “Non vorrai fer”… “Proprio perché è un’amica. Con le vere amiche si deve dividere tutto”. “Vieni qui”. “Lascia che finisca di raccontarti quella storia”. E ricomincia da dove eravamo stati interrotti. E lascia che io la guardi darsi da fare.
Aspetta un istante e mi interroga: “Non vorrai?”… Le accarezzo la testa e i capelli. Quei capelli così sottili e lunghi. Molto sottili e biondi. Che riflettono una luce dorata. Le cerco un seno. E’ gentilmente sodo. Me ne riempio la mano. Lei mi lascia fare. Soddisfatta. Attenta. Poi resto solo a guardare. Estasiato. Lei mi arruffa il pelo sul petto. Lo liscia. Balbetto confuso: “Ver… veram… vorrei”. Troppo tardi per aggiungere altro. Aggiungo solo “Egle!” –in un sospiro. Poi ancora colpevole: “Ma tu?”… Lei si libera le labbra e se le lecca. Ritrova la parola con la stessa tranquillità di sempre: “Io… non fa niente. Non ti preoccupare. Per me. Era solo per conoscerci. E ho ancora un bel po’ di gocce di valeriana”. “Non te ne andrai già martedì”? “Fossi matta. Al martedì fanno la mia serie preferita: Sex in the city. Non me la perderei per niente al mondo. La mia non è così bella grande. Cioè è bella e piccolina. La televisione”. E scoppia a ridere: “Resterei, ma ora devo proprio andare. Sì! è meglio che vada”.
So che ha ragione. La vorrei trattenere, ma non posso. Non sarebbe giusto. E’ stato bello. Fin troppo. Non ne ho le forze. E’ proprio vero che il mattino ha l’oro in bocca, ma anche la notte ha le sue meraviglie e i suoi tesori. E l’amicizia è il bene più prezioso in cui un uomo possa sperare. Se ne va ridendo, ma proprio sulla porta aggiunge a voce bassa: “Sai che anche lei… Non fa niente. Meglio che tu non sappia”. Io di rimando, senza pensarci un attimo, soddisfatto: “Svegliamoci ancora così, bambina”. Spengo la luce e mi addormento all’istante. Invece al mattino trovo un biglietto: “Non penserai mica che dormissi. Mi credi stupida fino a quel punto. Prendi le tue cose e vattene. Accompagno Egle un po’ in giro. Non farti trovare al nostro ritorno”. Dovrò ricredermi e rivedere tutti quegli stupidi e inutili modi di dire. Non so più cosa pensare. So solo che Egle è un vero vampiro. E che certe mattine sono solo un pessimo preludio ad un pessimo giorno.