Ho una cultura. E lo spazio per sistemarla. Cerco di portarla sempre con me. E la tengo lì, nell’altra stanza. Beh! non proprio una cultura. Più che altro è una ipotesi; se così si può dire. L’ho raccattata qua e là. Un frammento in un angolo; era stato buttato. Un altro in un altro giorno. Trovato in mezzo ad avanzi e robaccia. Lasciato al vento come inutile. Uno in un sogno d’estate. Uno sul sedile d’un treno. Tra una noia e l’altra. Un altro… beh! non ricordo dove. Non posso ricordare tutto. Forse i primi indizi, i primi frammenti, me li aveva lasciati papà. Meglio e di più: un vecchio zio? Pezzetti strani. E confusi. Ricordo un diario. Ragazzi in una via ungherese. Mi resta ancora la tristezza finale di quella lettura. Poi cronache per massacri con grida a voce e orchestrina. Liriche disperdentesi. Insomma ricordo come e quello che posso. Perché a volte la memoria inganna.
All’inizio mi davo da solo del pazzo. Perché conservare quelle cose. Intanto, quasi senza accorgermene, stavo diventando uomo. E poi ho cominciato a unire le tessere. A ricomporre quello strano puzzle. Ma non si incastravano. Solo qualcuna. Mancavano parti. Ritagli. Certe le cerco ancora e so che continuerò a cercarle sempre. Sono anche il frutto di quell’albero strano che da la curiosità. Quella, la curiosità, non è una strana malattia. Nemmeno un vizio. E così cercavo qua e là distrattamente, in silenzio, come ne provassi vergogna. Ci vuole tempo per capire. E così, e poi, ancora tempo. E così mi riempivo di ricordi. E di piacere. Non sempre piacevole. Lisciando le pagine con gesto religioso. Come si accarezza il capo di un figlio cucciolo. E poi un uomo senza più le gambe. E un minatore che scopriva la luna. La pesca con una testa di cavallo. E bambini che ricordavano orrori che l’uomo non aveva il coraggio di guardare. E gelo con latrati di lupi. La prima volta che sono entrato in un cinema. Molto prima del cinema militante. E le lunghe strade americane. Meravigliosa invenzione il Bebop. E avanti, avanti, avanti. E una carta d’identità. Perché anche in arabo si può fare poesia. Grande poesia. Tessere di un mosaico pieno di colori. Nella meraviglia per gli occhi siamo tutti fratelli. E ancora rime distratte. Da ogni parte del mondo. Di quel mondo di cui vorrei conoscere tutte le lingue. E invece so solo le mie. Quelle di mia madre. E quelle, forse, di mia figlia. Le altre altro non sono che suono. Temo d’averlo già detto. Peccato.
Sono di ritorno da un viaggio. La prossima volta vorrei andare a Barcellona. E anch’io vorrei avere le ali. La mia ignoranza è la massima offesa. Sì! un peccato responsabile. Ci convivo a fatica. Me la rimprovero. Ma… Chissà cosa scoprirò domani? Ne sto scartando una proprio ora. Col fiato sospeso pronto alla meraviglia. Datemi del pazzo. Ne godo già. E allora ne parlo. Ne parlo perché anche le semplici parole possono essere vita. Pure quelle di un amico. Soprattutto quando ti arrivano con un abbraccio. Perché se una sera sono solo, se sono triste, ma anche se sono allegro, e in compagnia, c’è sempre un libro da sognare. Di cui parlare. E sono ricco anche di quello che non so. Non preoccupatevi per me: è solo un piccolo ed inutile racconto, questo. Se si cerca un perché si rischia di imbattersi in più di una risposta. Perché l’unica verità e l’unica libertà da tutte le schiavitù è nel sapere. Perché nel non sempre lieve cammino della vita è certamente meglio circondarsi di bello. Perché è in quel bello che prende vita la vita stessa. Perché è meraviglioso dar vita all’amore cantando l’amore. Perché la poesia si chiama poesia proprio perché è essenza e poesia. Perché c’è sempre una canzone per ogni momento della vita. Perché ancora cantano i poeti andalusi di allora; mentre allora tacevano le arpe sui rami dei salici. Quale orrore, quel silenzio. Perché le parole più belle le ho trovate scritte con lo spray su un muro; e colavano alla pioggia. Perché quelle di un amico mi fanno compagnia anche se lui è a Bologna e io a Venezia. Per il colore e il vino della notte. Perché quel giorno che aprendo uno di quei fogli ci ho letto che “Il più bello dei mari / è quello che non navigammo” mi son sorpreso a versare lacrime felici. E mi son promesso di continuare a navigare. Avrei voluto essere isola. Sono solo un guscio di piccola barchetta. Perché quelle parole avrei voluto trovarle dentro e poterle masticare e digerire per poi risputarle. E dopo scartato l’ultimo pensiero alzo gli occhi al cielo e sulla laguna c’è un magnifico tramonto. La più bella di tutte le poesie. La più meravigliosa di tutte le meraviglie. E ancora guardo a domani abbracciato a Lei. Ascolta anche tu il rumore pudico si queste onde sulle sue rive. Ascolta e sogna.
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CulturAme
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Una terra senza nome
Posted in Palestina, tagged Assopace Palestina, cinema, cortometraggi, genocidio, Israele, Musica, occupazione, Palestina, Poesia (parole in libertà), Restiamo umani con Vik, sionismo on 25 novembre 2013| Leave a Comment »
venerdì 29 novembre, ore 18.00
Centro Culturale Candiani
Venezia – Mestre: Via Guglielmo Pepe, 10 (dietro Piazza Ferretto)
Schermo d’Autore. Incontri con i registi
Una terra senza nome:
giornata internazionale di solidarietà con la Palestina
Spettacolo di parole, suoni e musica sulla realtà della Palestina e sulla sua lotta per la libertà. Ci accompagnerà nel percorso l’amico attore Fiorenzo Fiorito.
in collaborazione con Associazione Culturale Restiamo Umani con Vik – Venezia, AssoPace Palestina – Venezia, AssoPace Palestina – Bologna
Performance dell’attore Fiorenzo Fiorito e proiezioni di video sulla realtà della Palestinaa a 65 anni dall’occupazione
L’incontro, dedicato alla Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, si compone di un percorso di poesie, racconti e parole che accompagnano video sulla realtà della Palestina a 65 anni dall’occupazione.
Si propone di mettere in luce le condizioni di vita del popolo palestinese che difficilmente vengono trattate dai media: l’ingiustizia dell’occupazione della propria terra e delle proprie case, il negato diritto al ritorno e alla possibilità di dare un nome al proprio territorio, e un futuro di giustizia e libertà ai propri figli.
La performance di Fiorenzo Fiorito mira a far conoscere, non solo la situazione palestinese, ma anche la cultura di questa terra e la testimonianza di chi ha vissuto e vive una condizione di mancanza di diritti.
Fiorenzo Fiorito, attore, poeta, autore, regista. Inizia la sua attività nel teatro di ricerca fra la Sicilia e Roma. Nel 1989 inaugura insieme a Valentina Fortunato, con lo spettacolo Conversazione in Sicilia, il Piccolo Teatro di Catania di Gianni Salvo col quale comincia una proficua collaborazione che ancora continua. Nel 1995 fonda l’Ass. Culturale “Cratere Centrale: centro mediterraneo di ricerca e di antropologia teatrale”, con la quale pubblica un libro di poesie Il cielo è diviso in quartieri; conduce diversi laboratori di teatro-danza e produce spettacoli, vincendo anche premi nazionali. Nell’ambito del teatro-danza prende parte, come attore-danzatore allo spettacolo Hautnah a Amburgo e in altri paesi europei. Come autore, scrive e dirige se stesso nelle opere Angelo Dell’Angelo e Evoluzioni dell’Angelo per la rassegna interdisciplinare e multimediale “Cultania” del Comune di Catania. Prende parte a diverse produzioni del Teatro Stabile di Catania col quale ancora oggi collabora. Svolge attività in vari circuiti regionali e nazionali nel corso degli anni a seguire trattando autori quali: Vittorini, Verga, Pirandello, Euripide, Pasolini, Eduardo, Majakovskij, Beckett. Ha lavorato con vari autori e registi a teatro, al cinema e in produzioni televisive.
sala seminariale primo piano
ingresso libero
E ho visto anche giovani felici
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Chi ha troppa fretta. Chi è figlio di un’epoca che corre. Dove va, mica si sa? Chi ha lasciato sull’attaccapanni la pazienza. Per tutti questi è altri… allora, andate subito alla fine. Io resto qua. Io che posseggo tutto il tempo. Che non ho altri appuntamenti. Che di lavoro faccio il fare niente. Io. Non fosse per Lei sarei rimasto a riminarlo in testa. O ancora lì a sognare. Ma la sua è una provocazione, e io alle provocazioni non so resistere. Le amo e ne vengo ricambiato. Come una bella donna. Come la mia donna. Lei sempre al mio fianco. Ma cosa ci è successo dentro? Tra i tanti; come sopravvissuti. Sopravvissuti spaventati guerrieri. Reduci da Piazza Grande. Noi, colpevoli solo di essere contemporanei a quella storia. A quelle storie. Di averla vissuta, patita, pagata; o solo di esserne stati sfiorati. Contaminati. Di non esserci spostati. A ritrovarci lì, ma anche no, in un posto mai visto prima: Monterotondo. Provincia ai confini di tutto. E di un passato ormai remoto. Quarant’anni dopo. E quarant’anni sono una vita intera. Non siamo più gli stessi. Siamo rimasti uguali.
Tutto è come un concerto. Il palco le luci, l’attesa. Il bisbiglio della gente. I primi Flash. Il pubblico ancora distratto. Siamo in tanti. Siamo da soli. Inizia un giovane amico. Le prime note e si fa silenzio. Musica buona. Piena di rabbia e di amore. Ci sa fare; anzi ci sanno fare. Si sta bene. Si sta bene e si aspetta. La verità è che lo aspettiamo, Godot. Ancora. Mai come oggi. Molto più di allora. E queste canzoni di rabbia e di anarchia sono le nostre; e non sono le nostre. Il tempo è una macchina che non entra mai in riserva. Che non si ferma a rifare il pieno. Che macina chilometri e ti macina l’anima. Ma quel viaggio in fondo l’abbiamo fatto sempre da soli. E noi che non ci abbiamo mai veramente creduto. Creduto che una poesia potesse cambiare il mondo. O forse sì? Noi che balbettiamo sillabe cancellate. Noi che nei versi mettevamo il cuore: «Oh Baudelaire, vecchio pazzo ubriacone. Quale dei tuoi vermi, mi ha sbranato il cuore?» Noi. Noi che per un attimo ci siamo sentiti tutti poeti. E l’attimo dopo li abbiamo maledetti. Ci siamo dannati. Come facciamo a dire quello che è stato? E come facciamo a raccontare ciò che non è stato? Frenate la vostra giovane curiosità: cuccioli dell’oggi. Figli di una madre mai ingravidata. Frenate la domanda incauta. Non abbiamo risposte. Abbiamo solo occhi. La voglia di scordare. La condanna a ricordare. Il desiderio di tornare ragazzi. Di riprovarci ancora. E il deserto di Piazza Grande.
Il sax si scalda la gola. In un angolo. Ma quando sale sul palco, a fatica, già il suo silenzio è magia. Prima ancora della prima parola. Della prima nota. Lui si appoggia ad un amplificatore. Tutto pare costargli fatica. E prende il libro per trovare le parole. Quelle per noi. Quelle da scegliere. Quelle per il viaggio. Ed è un uomo vecchio, Claudio. Siamo uomini vecchi. O vecchi uomini? Magari non invecchiati allo stesso modo. Non nello stesso tempo. Non davanti allo stesso specchio. Sicuramente per le stesse canzoni. E Lui parla più che cantare. Canta per non morire. La stessa rabbia; sembra mescolarsi alla rassegnazione. Siamo quegli “Zombie di tutto il mondo uniti”. Ancora portatori di un sogno. Un vecchio sogno in disuso. Siamo nel grido e nella rabbia. Siamo in una pagina di diario. E Lui ci attraversa dolorosamente il cuore. Parlando di sé; e parlando di noi. Ma chi sono quei noi? Nell’afa di un agosto che è rimasto ogni agosto. Attraversati da quel sordo boato. Mentre cadiamo da quel quarto piano. Esistiamo ancora? O respiriamo solo in quei ricordi? Di quel vino? Di quelle notti? Di quelle botti? Di sogni agitati? Di ansie? In un Italia che non c’è. In un’Italia che non è diventata.
Io, vecchio sessantottino. Quarant’anni son troppi. Vorrei non ricordare. E allora perché quei nuovi “Perché”? Ho due anni di più E persino quei due anni sono troppi. Sono un’eternità. Claudio, potrei farti da padre. Strana e crudele è la vita. E noi credevamo. Il sogno era là. La città degli uomini. Il mondo degli uomini. Ma il nemico non è mai un vecchio cretino. Non si ubriaca inneggiando alla luna. E lo stato ha messo in campo il suo apparato militare. Bombe e tritolo. La grande inquisizione. La menzogna contro l’illusione. Bombe e tritolo e noi eravamo solo zingari e felici. Tutti uguali e tutti diversi. La grande illusione. Il mondo là. Quel mondo da divenire. In divenire. A portata di mano. Bastava allungarla, quella mano. Quale illusione. E allora abbiamo gridato, come il cucciolo bastardo lasciato alla porta. Quanto abbiamo gridato. Noi, cavalieri senza armatura. Noi cadaveri in decomposizione. Noi assassinati dalla nostra stessa follia. Noi alle porte dell’illusione. Lì a bussare. A bussare ancora; sempre più forte. Eppure ancora si muore di bombe, si muore di stragi; più o meno di stato. E allora. E allora i bulloni a Lama. E quell’immensa delusione. Per un’altra storia. Dopo quella storia. Per un’altra storia che sarebbe morta nel baule di una macchina. Dopo tanto, troppo; perché? E tu, Claudio, a ricordarmi tutto. A farlo rivivere. A ridarmi quel grido che debbo soffocare. A riempirmi di lacrime gli occhi e il cuore. No! non ho nessuna risposta. Nemmeno per Lei. Oppure ho troppe risposte perché almeno una sia quella giusta. Quella vera. Perché non siano solo confusione.
Io che amo. Io che lotto; ancora. Io che sogno, e lo faccio con sempre più fatica. Io che cammino il mondo, col fiato corto. E dolori alle ginocchia. Io che mi riempio troppo di io per essere ancora noi. E questo nuovo noi. Frutto di una vecchia storia d’amore. Che sembrava persa. Una fragile storia d’amore. Una grande storia d’amore durata una sola breve stagione. E poi ancora Noi. Noi che frughiamo tra la spazzatura del passato. E che ci lasciamo da quel passato ferire. Noi che non vogliamo ancora morire. Noi e i nostri sogni. Noi e le nostre rabbie. Noi, anacronistici testimoni, a cui la memoria fa strani scherzi. Noi lì. Lì nel cortile di un palazzo. Nel cortile di palazzo Orsini. A Monterotondo (Rm). Non in piazza Maggiore. Ma a Monterotondo. Lontani mille chilometri e quarant’anni da Piazza Maggiore. Così, per chi c’era e chi non c’era. Per tutti e per nessuno. E quest’estate non chi incontreremo a Rimini. O perché no? Una pazza idea la portavo in tasca, da tempo. E io a chiedermi come finirà il concerto. Con un brano di rabbia: Piazza, bella piazza. O con un pezzo di speranza: Albana per Togliatti. Ma i poeti seguono solo l’ordine dei loro pensieri, non me ne voglia Claudio. Non me ne voglia Claudio per quel poeta. Niente di tutto questo. Anzi le aspetto e loro si fanno ancora aspettare. Né rabbia né speranza. Nemmeno amore. Finisce tutto davanti a un buon piatto e a un bicchiere di vino. Lui, il cantastorie, il colpevole, l’assassino, sbocconcella il niente. Ma ancora si sente quell’odore di brace. Scrivimi Claudio la storia di oggi e di domani. Di quella, di quella di quegli anni, dei nostri vent’anni o poco più, abbiamo versato tutte le lacrime che avevamo. Sì! forse a vent’anni si è stupidi davvero. Eppure lo gridiamo ancora, anche se con voce sempre più roca, ma ancora più forte: che un mondo, quel mondo, un altro mondo è ancora possibile. Anche dopo Genova. Eccola l’unica risposta: abbiate pazienza e ascoltate. E lasciatevi andare a sognare. Anche se ora pare un incubo.
RESTIAMO UMANI Con Vik
Posted in Poesia (parole in libertà), Politica, tagged ebrei, Forte Marghera, Gaza, incontri, Israele, Mahmud Darwish, Mestresiste, Musica, pace, Palestina, Poesia (parole in libertà), Primo Levi, pulizia etnica, Resistenza, sionismo, teatro, Venezia-Mestre, Vittorio Arrigoni on 9 settembre 2011| 2 Comments »
Speravo di trovare un po’ di tranquillità per dedicare un attimo a questo mio piccolo e povero blog trascurato. Magari anche per parlare del recente sciopero del 6. In questi giorni febbrili non è possibile. Non mi resta che postare una piccola cosa sul lavoro che stiamo cercando di fare sperando che vi possa essere gradita. Stiamo cercando di costruire un gruppo locale ispirandoci al pacifismo di Vittorio “Vik” Arrigoni. E’ questo che ci costringe a questa provvisoria leggera latitanza. Ci presenteremo anche attraverso poesie che mettano in risalto che davanti ai grandi temi siamo tutti solo uomini e non ci sono differenze di razza, lingua, religione, sesso o altro. Il resto risulta chiaro da quanto segue qui. Le poche ulteriori informazioni sono reperibili in Facebook. Presenteremo questo nostro progetto sabato e domenica prossima all’interno di:
MestREsiste: Musica, teatro e incontri di Resistenza
Restiamo umani con Vik
SE QUESTO E’ UN UOMO
Voi che vivete sicuri Primo Levi |
Pensa agli altri
Mentre prepari la tua colazione, Mahmud Darwish |
Compleanno
Posted in Poesia (parole in libertà), Tutti pazzi di Lei, tagged 13, 18, amore, felicità, festa, Franca, giorni, passione, Poesia (parole in libertà), Rossana, Rossaura Shani on 18 maggio 2011| 3 Comments »
A dirli tutti sono troppi. A pensarli paiono volati. A pensarli ora. Ma il diciotto è il mio numero fortunato. Ma anche il 13. Ma ogni numero è il mio numero fortunato. Da quando ci sei ogni giorno è il mio giorno fortunato. Da quando sei tornata. Cosa dire? Vorrei dirti tutto. E mi sembra povera ogni parola. Ma questa storia, questa storia meravigliosa, abbiamo cominciato a scriverla allora. E allora torno a raccontarti una poesia di ieri:
Quanto ci siamo amati
e quanto poi ci siamo amati
(barattando i nostri sospiri)?
molto ci siamo amati
e molto poco ci siamo amati
(il pudore è solo una serva gentile);
in fondo ci siamo scordati
– occhi attraverso gl’occhi –
senza per questo vederci
e molte parole abbiamo detto
ma molto poco è stato detto
e molto è stato taciuto
e ancor più è stato ignorato.
E dopo ancora a mentirci
perché scordare non serve e
la vita pare un battito di ciglia
quando stai per volare;
panni impacciano le mani
di esili drammi le inanellano,
si rompe il filo sottile d’argento
e il tempo fuggito si cerca
poiché del tempo avuto ben poco rimane.¹
E allora una poesia di oggi:
Queste parole
(povere parole)
aggrappate al mattino
avvinghiate al giorno
inseguite ogni sera
sussurrate ogni notte
queste parole
che divengono suono
che divengono sogno
che divengono respiro
che divengono bisogno
queste semplici parole
che divengono colore
che divengono segno
che divengono carta
che divengono poesia
queste parole sono
il ritmo del mio amore.²
Perché dire ancora? Oggi è il tuo giorno. Ogni giorno è il nostro giorno. MILLE E MILLE DI QUESTI GIORNI.
1] Da AL CHIARO DI LUNA – XII – A MISURA DI…
2] Queste parole
1949
Posted in Poesia (parole in libertà), Tutti pazzi di Lei, tagged 60, amore, compleanno, Franca, Nazin Hikmet, passione, Poesia (parole in libertà), Rossana, Rossaura Shani on 18 maggio 2011| 1 Comment »
E questo è Nazin Hikmet
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.
Eugen Jebeleanu
Posted in Poesia (parole in libertà), tagged amore, impegno, Perdono Hiroshima, Perpetuum mobile, Poesia (parole in libertà), preghiera on 24 aprile 2011| Leave a Comment »
Commento giunto da CRISTINA alla poesia Perdono Hiroshima
Il 24 aprile ricorre il centenario della nascita del grande poeta romeno Eugen Jebeleanu. Questa è una sua poesia che ho letto infinite volte!
“Vorrei dirti delle cose che non conosci
e cose che già conosci,
cose che conosci
come un braccialetto che avvolge la tua mano e la mia mano.
E vorrei
dirti delle cose che non sai,
dai giorni che nasceranno argentei.
Le cose che conosci
sono come i viadotti
coi polpacci ben fissati in terra
e le altre sono come frutta mai vista
con misteriose foglie di vento.
Se rimanessi immobile
saresti una statua dal sorriso divino.
Muovi, ti prego, le saette degli occhi un poco.”
“Perpetuum mobile” Eugen Jebeleanu
Per Lei
Posted in Musica, Tutti pazzi di Lei, tagged 8 marzo, amore, Don Backy, donna, Donne, Franca, Poesia (parole in libertà), Rossana, Rossaura Shani, sempre on 3 aprile 2011| 1 Comment »
Per dirti che è sempre il tuo 8 marzo per quattro domeniche voglio dedicarti quattro canzoni di Don Backy. Senza pudore anche se forse è una musica un po’ mielosa. Tanto vale dirlo senza vergogna: sono un inguaribile romantico. E non è che tu mi aiuti a guarire. Questa è la terza. Magari queste canzoni sono già state dimenticate. Ciò che qui mi interessa è che tutte, e ognuna, dicono cose che avrei voluto dirti. Con una piccola precisazione che sai: oltre ad un problema certamente “politico” la donna è la complessità di un essere umano e anche vive individualmente all’interno di una serie di relazioni, a volte la più importante delle quali è la relazione di coppia.
Non gridate più
Posted in Poesia (parole in libertà), Resistenze, tagged dolore, Giuseppe Ungaretti, morti, Poesia (parole in libertà), ricordi on 25 marzo 2011| 3 Comments »
I grandi amori non si scordano mai, almeno è così per me. Ed è bello ritrovarli. Allora torno a pubblicare grande poesia. La metto qui e da Lei. Qui semplicemente come poesia, da Lei come Materiale Resistente a testimoniare la Sofferenza e appunto la Resistenza; anche nella poesia.
Non gridate più – Giuseppe Ungaretti
Cessate di uccidere i morti
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo.