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Archive for luglio 2016

cid_68ada393-3947-42a8-9b5e-c69cb97704bcmultiplayer-1440x580Forse il suo era una sorta di sorriso. Aveva alzato le mani con le dita aperte per schermarsi gl’occhi dal sole. Lui le aveva alzate in segno di resa.
“Cosa c’è”?
“Così”!
“Puoi spostarti”?
“Scusa”!
“Mi stai facendo ombra”.
“So io”…
“Non essere cretino”.
“Che ne sai”?
“Hai intenzione di startene lì”?
“Perché”?
“Non so. Mi rendi nervosa”.
“Se ne sono andati”.
“Allora”?
“Così”.

“Mi porteresti una bibita, per piacere”?
“Preferisco restare”.
“Guarda pure”.
“So che ti piace”.
“Quanto sei stupido”.
“Quanta sei”.
“Stronzo”.
“Ma allora non vuoi capire”.
“Anche troppo”…
“Dicevo”…
“Ma allora sei proprio cretino”.
“Quanto saresti”…
“Smettila. Subito”.
“Fai la brava”.
“Potrei dirlo a Milena”.
“E’ una minaccia”?
“Un consiglio”.
“Non vale dire e non fare”.
“Smettila”.
“Certo che… ti mangerei tutta. Sei come… tutta da gustare, Irina”.
“Non hai i denti per”…
“Non servono per”…
“Sarebbe”.
“Lascia stare”.
“Abbi il coraggio”.
“Leccare”.
“Sai dove puoi andare”?
“Sei una vera signora”.
“Me la porti o no? Cretino”.
“Birra o aranciata amara”?
“Aranciata, grazie”.

“Sentì com’è fredda”.
“Cazzo”!
“Potevi dirlo subito”.
“Ma allora sei proprio stronzo”!
“E tu”…
“Io cosa? Dillo”!
“Non vorrei dire”.
“E’ gelata”.

“Con questo caldo”.

“Ridi pure”.

“E’ un brivido… Bellissimo”.
“Nove settimane e mezzo”.
“Nove secondi e un decimo”.
“Forse ho qualche consiglio da dare al grande Omero”.
“Ora dammela”.
“E tu me la dai”?
“Dai. Cretino”.
“Vuoi bere dalla lattina”?
“Sono troppo… grande, per bere dalla cannuccia”.
“Un cazzo”!
“Ecco, bravo”.
“Sai che potrei?”…
“Il bagno è a destra. Subito dopo la stanza degli ospiti”.
“Com’è”?
“Amara”.
“Me ne lasci un sorso”?
“Vattene a prendere una”.
“Come sei generosa”.
“Anche troppo”.
“Grazie”.
“Non c’è di che”.
“Fammela almeno assaggiare”.
“Ma allora sei proprio un porco”.
“Vuoi vedere”?
“Tienilo a cuccia”.
“E tu… non svegliare il can che dorme”.
“Io?”…
“No! Irina”.
“Che ore sono”?
“Le undici”.
“E?”…
“Andati”.
“Sicuro”?
“Occhio non vede”…

“Mi passi la crema”?
“Vuoi che ti aiuto”?
“Meglio di”…
“Tranquilla”.
“Oggi proprio”…
“Mica mi dispiace”.
“E’ fredda”.
“Poi ti scaldo”.
“Cretino”.
“Stai un po’ ferma”.
“Attento alle mani”.
“Sgancialo”.
“Faccio da me”.
“Bene… Padrona”.
“Falla assorbire”.
“Come vuoi”.
“Che fai”?
“Ti spalmo la crema”.
“Non lì”.
“Bel culo… sodo”.
“Stronzo”.
“Bugiarda”.
“Togli le mani”.
“Sapevo che sapevi cosa volevi”.
“Smettila subito”.
“Non vale”.
“Che fai”?
“Ti spalmo la crema”.
“Cretino. Smettila Carlo. Vorrei tenerli gli slip”.
“Ti lasciano i segni bianchi”.
“Bella scusa”.
“Hai di meglio”?
“Boh! Non so”!
“Ecco”.
“Ti prego”…
“Sollevalo un po’”.
“Perché”?
“Dopo ti spiego”!
“Ora”!
“Intanto… girati”.
“Non ne ho voglia”.
“Bugiarda”.
“Stronzo”.
“Lo sapevo: tu ne hai sempre voglia”.
“Gli altri”?
“Te l’ho detto. Sai che sono andati a prenotare per stasera”.
“E se?”…
“Dovrebbero averne almeno per un’altra ora”.
“Milena?”…
“Si sta facendo il colore. E’ persa. Vuoi sapere altro”?
“Non sono tranquilla”…
“Però sei tutta”…
“E allora, che aspetti? Cretino”.
“Così mi piaci”.
“Sbrigati”.
“L’hai capito finalmente”.
“Vai a prendere la nutella”.
“Corro”.
“E porta anche le fette biscottate”.

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Stava ascoltando quel vecchio cd di successi degli anni sessanta. C’era la magia del ricordo, ma non per chi era troppo giovane allora. La sua attenzione fu accalappiata da quella strofa e improvvisamente capì tutto. Si ricordò che stava suonando quando era arrivato davanti alla sua porta e subito la musica era stata spenta. Aveva indossato una tranquillità quasi credibile e pochi abiti addosso. E poi gli occhi erano ancora arrossati. Aveva finto bene e lui c’era quasi cascato; solo quasi. Finalmente sapeva anche se non aveva nulla in mano. Doveva contare sulla fortuna.
Ancora quella canzone e subito ancora silenzio. Lei aveva sbirciato dalla finestra e poi era venuta ad aprirgli come la volta precedente: vestita come se per affrontare quel caldo fosse decisa a togliersi anche la pelle. Era leggermente sudata e con i capelli accuratamente in disordine. Negli occhi uno sguardo di sorpresa, di meraviglia e di sfida. Lo fece entrare disposta a confermargli che la sua abbronzatura era totale e omogenea. Probabilmente grazie all’aiuto del ricorso di tante ore pazienti spese sotto la lampada. Lo fece accomodare in salotto e si sistemò comoda davanti a lui.
Lei: “A cosa è dovuta la sua visita? Non che sia sgradita”…
Lui: “Lei non è stata del tutto sincera con me”.
Lei: “Le ho detto quello che sapevo. Ha sempre sognato quel viaggio. E poi ha visto”…
Lui: “Ho visto del fumo. E ne ho sentito l’odore. Lui non sarebbe mai partito”.
Lei: “Cosa glielo fa pensare”?
Lui: “Intuito. Poi ho risentito quella canzone. Era anche la vostra canzone, non è vero”?
Lei: “Quale canzone”?
Lui: “Ormai so tutto. Il vostro era un amore finito. Per lui ormai c’era solo Sonia”.
Lei: “Cosa vuole che le dica? Allora è inutile continuare questa stupida commedia. Le sue promesse erano diventate solo parole. Sì! c’era quella Sonia. E’ vero”.
Lui: “«Se lei non mi aspettasse, so che partirei.» solo che chi l’aspettava non era più Lei. Era l’altra. E’ stata la vostra canzone, quella che continua ad ascoltare, a tradirla. La stava ascoltando anche poco fa”.
Lei l’aveva dipinta come una mitomane, ma un nuovo amore lascia sempre delle tracce. E la rabbia le imporporava il viso.
Lei: “Doveva essere solo la nostra canzone. E doveva essere per sempre. Lei era solo una… una sgualdrina. Lui non poteva amarla. Si era invaghito solo della gioventù. Forse credeva di tornare giovane con quella. Di ritrovare i vecchi tempi. Di ritrovare il suo vecchio fascino. Forse il coraggio. Era patetico. Non doveva farlo. Gli avevo dato tutto quello che un uomo può desiderare. Tutta me stessa. Le sembra poco”?
Aveva creduto che fosse un uomo debole perché aveva ceduto alla avance di quella… di Sonia, quella… svampita che aveva solo il fascino di essere giovane. Si era invece mostrato debole perché, dopo le sue insistenze, aveva accettato di passare quell’ultima notte con lei. Non aveva saputo dirle di no ed era questo che gli era costato la vita.
Lui: “Com’è riuscita a convincerlo a restare”?
Lei: “Ho dovuto insistere un po’, ma non è stato poi così difficile. Doveva essere un addio”.
Lui: “Dica la verità: Non ha mai sopportato sentirsi dire di no. Lui e le sue cose non sono mai arrivati e Cayucos, non è vero? Dove sono”?
Lei: “Lui e le sue assurde fantasie di un giorno da leoni. Dormiva così tranquillo. Pago. Sembrava sorridere. Non è mai andato oltre il giardino. Sotto la siepe di rose”.
Lui: “E quelle cartoline”?
Caterina, sua figlia al cellulare: “Papà, chiamami appena senti questo messaggio. E’ importante”.
Lei: “Le aveva scovate in una bancarella. Sono scritte di suo pugno. Gli sembrava dessero vita al suo sogno. Raccontava e quasi era arrivato a crederci lui stesso. Le teneva in un cassetto come cose preziose”.
Lui: “E come sono partite”?
Lei: “Le ha spedite un amico”.
Lui: “Quale amico”?
Lei: “Questo non posso dirglielo. E poi lui non sa niente. Credeva fosse un piacere bizzarro. E l’ha fatto solo per compiacermi. E’ solo un amico. Gli ho mostrato la mia gratitudine. Tutto il resto non conta”.
Lui sforzandosi di guardarla negli occhi: “Credo che ci siamo detti tutto. Ciò che rimane del racconto potrà continuarlo in commissariato. Non lo dico con piacere ma debbo invitarla a seguirmi. Se vuole mettersi addosso qualcosa di più comodo”.
Lei accavallando le gambe su un sorriso malizioso: “Se dovrò cambiarmi qui, davanti a lei… Mi guardi bene, commissario. In fondo lui avrebbe continuato a sognare. Non sarebbe mai partito. Potremmo dimenticare tutto. E io potrei mostrarle tutta la mia riconoscenza. So essere molto brava”.
Lui: “La ringrazio ma mi spiace. Ho una figlia che ha urgenza di parlare con me e non potrei mai tradire la sua fiducia. Cerco di non mischiare mai il lavoro al divertimento”.
Lei: “E’ sempre l’eccezione a confermare la regola. Peccato, sarebbe stato divertente. E lei sarebbe stato il mio primo poliziotto. Pazienza. Forse non avrò un’altra occasione come questa; vero? Una bibita”?
Lui: “Meglio di no. Non bevo mai in servizio. Però potremmo aspettare la scientifica da buoni amici. Ma loro scaveranno sotto le rose”.
Lei: “A questo punto… perché no? Dica la verità: se il caso non le avesse fatto risentire quella canzone Lui starebbe ancora aspettando la sua grande onda. Posso darti del tu”?

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Difficile stabilire, senza dilettantesca approssimazione, l’inizio di quel  incubo anche perché si era svolto quasi in un silenzio colpevole e sottotraccia, con piccoli indizi sottovalutati. Era entrato nel solito caffè e aveva faticato a farsi servire un caffelatte. La cinese dietro il banco aveva mandato a memoria le parole caffè e latte, per una informazione corretta e esauriente anche un’altra decina di parole tra cui persino cappuccino, ma non riusciva a associare un un’unica bevanda le due parole magiche quanto inassociabili, almeno per lei. Dopo vari tentativi aveva dovuto rinunciare e accontentarsi di un pessimo cappuccino, appunto. Dopo all’ora, nella sua, e comune, colpevole distrazione, uno alla volta e pian piano tutti i caffè di Milano avevano cominciato ad essere abitati da cinesi mentre lui si ripeteva che era il mondo che stava cambiando e che questo non faceva differenza, tranne nella qualità della bevanda e del servizio, perché lui non era mai stato razzista né contro il progresso.

Poi la cosa assunse l’aspetto di una vera e propria invasione. La pelletteria, borse e scarpe, le confezioni, abiti e accessori vari, tutto “made in China”. Era strano: i cinesi arrivavano ma non ripartivano mai; e arrivavano armati di grandi fasci di soldi. Più strano ancora sembravano immuni a tutte le nostre malattie, non ricorrevano mai ai nostri dottori, e dovevano essere invulnerabili, non si contava nessun decesso. Cominciavano a circolare strane storie sulla vera natura della carne che servivano nei loro ristoranti. Una sera si era trovato ad assaggiare un pizza fatta da mani gialle. Fu allora che cominciò a sospettare che quella sorta di pacifica invasione da parte del cosiddetto “capitalismo di stato” stesse avvicinandosi e spingendosi oltre ai confini del buon senso e del “buon gusto”; perbacco! Quello gli sembrò veramente troppo. Si doveva lasciare interpretare a ognuno il proprio personaggio e pertanto lasciare fare la pizza ai napoletani; buondio! Ma forse già allora era troppo tardi.

In seguito tutto precipitò rapidamente. Si comprarono le due squadre, e due delle glorie, della “capitale morale” del “Belpaese”: Inter e Milan; ma di soldi non se ne vedevano. Ciurme di ragazzini dagli occhi a mandorla ma soldi nisba. Qualcuno cominciò a scrivere spiegando che i cinesi i soldi mica li buttano. Che non investono. Che li impiegano unicamente per il loro tornaconto, per fare altro danè. E qualche giocatore cominciò a prendere il biglietto per la terra dei mandarini. Il risotto con lo zafferano fu sostituito dal riso cantonese, il parmigiano con il tofu, il suo buon bicchiere di sangiovese fresco con il sakè e non si riusciva a mangiare un’anatra che non fosse laccata. Si mormorava, anche non tanto sottovoce, ci fosse un progetto per la trasformazione del Duomo in una tavola calda take away. Alla faccia degli involtini primavera la Lega continuava a gridare ormai inascoltata eppure aveva ragione. Se mai l’aveva avuta questa volta aveva ragione. Vi erano prove inconfutabili che i cinesi erano extracomunitari nonostante gli yuan, gli renminbi, i dollari, le sterline, gli euro o in qualunque modo si chiamassero quei pezzi di banconota che riempivano quelle loro gonfie e capienti tasche.

Forse era un tipo un po’ abitudinario e non gli piaceva molto il thè, nemmeno quello al gelsomino. Mangiare gli era diventato una tortura da quando avevano ritirato dalla circolazione tutte le forchette per sostituirle con quei lunghi ed esili bastoncini. Per non parlare poi di quegli oggetti di porcellana che avevano l’ardire di considerare alla stregua dei cucchiai. Certo anche loro avevano capito che era un impresa più che ardua sorbire la zuppa dalle bacchette, ma inizialmente li aveva scambiati per strani posacenere, anche se non aveva notizie che ci fossero cinesi che fumavano nulla di diverso dall’oppio. Quando sua moglie gli comunicò che voleva ricorrere al chirurgo estetico per farsi allungare gli occhi, e rimpicciolire il naso e il seno capì che era troppo e che doveva fare qualcosa. Fu allora che si svegliò in un lago di sudore.

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