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Archive for settembre 2008

Ho dimenticato il compleanno del nostro amato premier (già psiconano). A dire il vero non me lo sono mai segnato sul calendario. Avrei anche una piccola giustificazione: le notizie non danno di che essere tranquilli. Dirlo è altra cosa che trovarcisi davanti. Poi dovremmo anche perdere questo brutta abitudine di tutte queste feste. E ci avevo anche un impegno mio che non mi permetteva di partecipare: Dovevo vedere Martino.
Per colpa della mia ex ora ho un mutuo da pagare. Grazie al gentile buonsenso della mia ex ho un piccolo mutuo pari a metà di un affitto. Non ho mai avuto molto simpatia per la mia nuova casa ma ora comincia a piacermi; mi ci sto affezionando. Anche la mia immaginazione ha un limite. Spero che questa non sia solo la prima puntata o almeno di avere il tempo di adattarmi. Non riesco proprio ad immaginare questo paese intraprendere il viaggio verso il terzo mondo; gli italiani a fare veramente i poveri. Intanto, vedi mai, cerco grandi scatolini di cartone e raccolgo giornali: credete a me: la strada è brutta.
Dimmi, se ci tornerà la voglia di fare due chiacchiere al riparo dalla pioggia, dove andremo se mi tolgono anche questa minicasa da sotto il culo e mi lasciano in mutande?

Per tirarvi su il morale andate a laggerla.

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Voci attendibili confermano che si è già provveduto a intervenire sulla nuova finanziaria rimpinguando il capitolo apposito “spese di rappresentanza“. Con fare deciso il microboministro è riuscito ad ottenere lo stanziamento di ulteriori fondi per un nuovo naso rosso e una frusta. E’ determinato a esibirsi anche come domatore di cavalli a dondolo.
Lui vorrebbe fare il duro ma è un morbidoso. Basta fare come fanno a Bari con i polipi: pestarlo ripetutamente e con tenacia contro ad uno scoglio.

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Naturalmente chiamarla Bambola non è una grande alzata d’ingegno. E’ venuto da sé. M’è bastato guardarla; la prima occhiata. Ora non mi verrebbe altro modo col quale appellarLa. Per quanto Lei se ne potrebbe rammaricare, l’immagine è del tutto simile a quella di una Barbie, in grandezza naturale, cioè delle dimensioni della famosa bambola, prodotta dalla famosa ditta di cui tutti sanno il nome ma che qui non è possibile nominare perché sarebbe pubblicità. Gentile e graziosa ma con un caratterino che non sarebbe mai possibile immaginare in un tipino simile; ne ho imparato qualcosa. Qualcuno mi chiede di Lei: “E’ tanto che non la vedi; la ragazzetta“. Un po’ è la difficoltà di Qualcuno a memorizzare il nome. Un po’ a La sua figura che è fuori dal tempo. Che La fa sembrare sempre giovane. Allo stesso tempo un progetto. Qualcosa a divenire. E tutto questo lo posso dire perché anche Lei, a volte, si lascia indulgere da brevi momenti di vanità. So che almeno questo me lo può perdonare. E poi vorrei vedere voi avere l’impulso di abbracciarla e la paura che si posso ridurre in mille frammenti tra le braccia.
Non è che noi ci si veda solo per mangiare. Non vorrei che ci si potesse essere fatta questa opinione. Oltretutto Lei mangia, cioè si nutre, quanto Giovanni, il canarino che teneva in gabbia mia figlia quando era ancora bambina. Poi è cresciuta, lei, mia figlia. Non lo so se è stata una gran fortuna. Quel caratterino taciturno se l’è trovato addosso; subito. Ma torniamo a Lei cioè a noi. Infondo per entrambi mangiare è un pretesto. A volte utile a sfruttare le sue meravigliose capacità davanti ai fornelli. Utile per una buona cena che un tipo solitario come me si permette raramente per pigrizia. Una buona cena magari dopo tanti pasti spartani preparati in fretta e altrettanto in fretta consumati, e in silenzio. Ho già spiegato che cucina come una favola? Temo di si. Non è che la memoria sia più la stessa. E poi Lei è tutta una favola. Anzi, stare con Lei sembra di stare dentro la favola. Tutto intorno perde qualcosa della realtà e anche il tempo sembra poter rimanere sospeso.
Spesso ci troviamo semplicemente per parlare o almeno Lei parla e io, in quei casi, di sovente, me ne resto ad ascoltare. Questo avviene solo perché è bello starla ad ascoltare nonostante una vocina del tutto coerente a tutto il resto; almeno un ottava più alta di un controllato acuto. Capita persino che mi accorga di ascoltare solo il suono della sua voce. Magari Lei non la racconterebbe proprio così. Forse qualche volta parlo, e persino straparlo. Fortuna che non mi può smentire. E’ questo il bello di qui e nemmeno si spreca carta a scrivere corbellerie. Più spesso ci vediamo solo per vederci. Per amicizia. Nego vi sia qualcosa di più umano di una grande amicizia. E quando parlo di amicizia dico tutto e forse troppo poco. Non che nemmeno in questi casi si stia zitti, ma vederci non ha bisogno di un pretesto, è solo il piacere dello stare assieme, si giustifica in se e si conclude in quella compagnia. Magari si fanno due passi, e siamo veramente una strana coppia molto disassortita. L’altra volta sembrava perfettamente a suo agio su due tacchi alti una spanna. Io cercavo di star giù dal marciapiede.
Una delle ultime occasioni, è passato fin troppo tempo per i miei gusti, non era tranquilla, Bambola. Non lo poteva essere. Aveva pensieri e timori che le velavano luce negli occhi. Non lo diceva, naturalmente, ma lo si poteva notare anche da come stringeva le mani quasi volesse stritolare, a suo modo, il mondo in un pugno. Questo era visibile solo ad un tipo attento e che la conosce come me. Come sempre di qualcosa mi ha parlato e qualcosa ha taciuto. Sono i suoi silenzi quelli che io temo. E’ quel suo pensare, forse comune ad altri, che io possa sentire anche quei silenzi. Per non deluderla, per non mostrarmi troppo invasivo, spesso fingo che sia vero, di poterli ascoltare e capire. Temo di aver detto fin troppe volte delle enormi baggianerie fingendo ciò. Insomma uscivano dallo studio di un amico cercando di uscire da una situazione che la infastidiva. Le cose degli umani hanno poca confidenza con Lei e quando se la prendono è più probabile che creino quella sorta di fastidio. Nel caso potrei dire di averla vista delusa e proprio arrabbiata, anzi incazzata. Come non l’avevo mai vista. Solitamente i suoi occhi accarezzano il mondo con un gesto lieve e mite che sembra poterlo comprendere, assolvere e armonizzare. Insomma quel giorno l’ho accompagnata a ritirare un abito.

La cosa potrebbe anche sembrare banale; del resto preferisco non parlare. Le tenevo una mano leggera sulla spalla perché non potesse scappare. L’abito era bianco e forse è stato allora che ho compreso la sua natura di angelo. O forse l’ho sempre saputo. Anche in questo caso m’è bastato guardarla. Pareva che niente la potesse sporcare nonostante quel bianco. Con le donne, quasi tutte, almeno quelle che son solo donne, perché, se gli angeli sono donne, non si deve pensare che tutte le donne siano angeli, questo funziona. Andare, come dico io, a spesare, a far compere, aiuta a scordare le contrarietà. Lei era meravigliosa in quel leggero bianco. Le tenevo la mano sulla spalla e ancora non potevo sapere che Lei, come tutti gli angeli, potesse d’improvviso volare via. O forse era già una inconsapevole forma di precauzione. Qualcuno mi ha chiesto: “ma tu ci capisci qualcosa“? Mi sono risposto che capire non servirebbe a molto. Il fatto è che ho la testa sempre troppo piena di umanissimi come? e perché? che mi balbettano il cervello. Se qualcuno avesse l’occasione di vederLa (non vi preoccupate che in questo caso La riconoscereste subito) vi prego di darmene notizie perché ne ho perso le tracce¹.


1] Tanto per ricordare di Bambola ne avevo parlato la prima volta con A casa di Bambola, poi ne avevo semplicemente accennato in Il blob dei blog, non un vero e proprio racconto ma confusa tra le varie&eventuali, infine ero tornato a parlarne in La cena di Bambola che per vezzo mi vien da chiamare “L’ultima cena”. Comunque, io che sono ottimista, ho continuato a lasciare aperta quella finestra.

Naturalmente l’ultima cena è l’ultima prima di quella successiva. Tutto il narrato, continuo a ripeterlo, altro non è che prosa e piacere. A chi mi aveva detto la volta precedente che gli era piaciuta la sua storia, quella di Bambola, auguro che anche questa sia stata una lettura divertente.

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Vorrei non amarti per come ti amo
– di questo doloroso amore che non da abbandono –
non soffrire le tue pene
non interrogarmi sulla tua strada
per vederti esposto ai banchetti dell’usato,
toccato da tutti e da tutto, stropicciato
con panni logori e consunti
venduto ad un prezzo di saldo
sicuro solo di non avere alcuna sicurezza
svuotato dalla paura di incontrare un’idea
rifugiarti dentro ad una confortevole solitudine.
Vorrei ritrovarti nell’orgoglio e nel sogno
sgranare tutti i grani dei tuoi giorni
con il coraggio di guardare la faccia negl’occhi
dando credito che domani può succedere
che un altro qualcosa ti aspetta.
Vorrei… ma non posso
e non è giusto desiderare;
bisogna sapersi misurare e accettare
e tacere ogni mia vigliaccheria.

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Il blog è molto, ma non tutto. Il blog è un mondo, non il mondo. Scrivo e molto di quello che scrivo finisce nel blog, ma non tutto.
E’ proprio un casino. Nei post qualche volta cerco, mi sembra malamente, attraverso l’ironia e la satira, di richiamare attenzione su alcuni argomenti e su alcune istituzioni nel vano tentativo di spingere ad una riflessione sulle contraddizioni. Perché dico vano? Come posso sperare dagli altri quello che non so fare? Rileggo alcuni miei post e trovo che veicolino anche delle mie contraddizioni, e mi temo troppo pigro per mettermi in discussione. Forse solo troppo vecchio cioè maturo. Forse cerco anche di analizzare con le cose le mie cose, ma spesso mi rendo conto che quelle contraddizioni arrivano alla mia attenzione solo se e dopo una attenta rilettura. La cosa di per se non sarebbe grave nel momento che riguarda solo me, lo diventa quando riguarda anche gli altri. E’ questo il punto. Ma chi ha detto che per gli altri siano contraddizioni, che le leggano, che vogliano mettersi in discussione? Se tutti i blogger rileggessero i loro post saremmo già a buon punto solo, che rischierebbero di scoprire che spesso le critiche più feroci se le scrivono da soli. Non è lo specchio che mi mente: è proprio vero che sono io quello e che in testa non mi sono rimasti molti capelli.

In coda un piccolo regalo che rubo all’amico Marino. Si fa desiderare un poco, Marino, ma poi sforna di questi gioielli.

Giorgio Gaber: Far finta di essere sani [Audio “http://se.mario2.googlepages.com/Farfinta.mp3”%5D

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L’amico Gians ha postato un pezzo veramente gustoso che vale proprio la pena andarsi a leggere.

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Lettera a Lei: a tutte le Lei e a nessuna (per un solo momento di impazienza o di impazzimento).
Come in una canzone:
A Lei che ha mille storie negli occhi e a Lei che ha occhi che non parlano; grandi ed enormi occhi o piccoli occhi da volpe o fessure. A lei che ha spogliato per me tutto il suo corpo e a Lei che solo involontariamente mi ha concesso la vista del suo seno. A Lei che ho tenuto tra le braccia e a Lei che non ho mai sentito mia e a Lei che il rossore ha sempre imporporato il viso.
A Lei che tutta una vita non gli è bastata e a Lei che un solo momento gli è stato anche troppo e a Lei con non ha saputo mai andare oltre al primo perché. A Lei che mi ha mandato una cartolina e a Lei che ha scordato il mio indirizzo e a Lei che mi ha cercato ieri sera e per una sola sera. A Lei che ha vissuto troppo, a Lei che ha vissuto troppo poco e a Lei con cui ho vissuto una vita intera e ancora non sarebbe bastata.
A lei dal seno stretto e a Lei dal sorriso largo e a Lei che non si da pena di coprire le sue lunge gambe, fossi solo io il sogno nel tuo sogno. A Lei a cui ho lasciato un fiore, a Lei a cui ho donato una parola, ho allungato una mano, semplicemente, e a Lei a cui ho lasciato tutto di me tranne ogni mia tristezza. A Lei che è tanto vicina che potrei allungare una mano, correndo in rischio che si infranga in mille briciole di cristallo, e Lei che è andata troppo lontano e senza nemmeno una valigia e a Lei che era solo distratta o troppo attenta a sé. A Lei che era carina solo per me e a Lei che lo era per tutti e poi nessuno tornava e a Lei che era amata per quello che era e a Lei che lo era per quello che pensava e anche a Lei che era sfacciata solo perché era nata senza un vestito addosso.
A Lei con cui ho girato il mondo e a Lei che mi guardava attonita sempre seduta sulla stessa seggiola e a Lei che mi ha costretto a partire per ritrovarla e anche a Lei che era la meta di quei viaggi. Lei che è il quello che dice ma molto di più in quello che tace. Lei che dice bene ed in modo raffinato (e non mi dilungo in complimenti che Le sarebbero dovuti ma sarebbero troppi per uno spazio limitato). Lei che ne sa una più del diavolo, come succede in alcune, ma il diavolo sa tutte le altre; e fa pure i coperchi. E deve essere pur vero se a me sono rimaste le pentole.
A Lei per la quale ho corso il rischio di un , ma non avevo saputo valutare la drammaticità di un no. A Lei per ridere e a Lei per piangere. A tutte le Lei troppo orgogliose per dire un mi spiace a alle poche altre e a quelle che hanno pagato e pianto (quelle lacrime sono diventate le collane di perle di ogni vergogna). A Lei che non sa tacere anche quando quel parlare la fa morire. A Lei a cui non ho mai dedicato ne una poesia ne una canzone e ancora a Lei a cui ho scritto mille lettere di parole piccole come formiche immobili.
A Lei che ho incontrato o non ho mai conosciuto; il conto è semplice e Le potrei quasi ricordare tutte, per nome; e a quelLe passate e a quelLe che (forse) verranno.
A chi lo ha scritto, a chi lo ha sempre pensato e a chi non s’è data pena. A tutte le Lei in ogni Lei. A Te che leggi.
E poi ancora e ancora a tutte le altre di Lei celiando.
(per quell’amore che si brucia in un attimo ma anche per quell’amore che viene col tempo o nel tempo si trova o nel tempo si rinnova)

Gino Paoli: Sassi.mp3 [Audio http://se.mario2.googlepages.com/Sassi.mp3%5D

Sì! parlo a te. No! non a te.
L’unico vero rischio in amore è amare. Incapace ho cercato in ogni preghiera di dirlo al mondo: non dite a Lei che l’amo. Anche se questo sentimento non ha mai sporcato ali a nessuna farfalla. Perché non so il colore della parola, e cerco ancora un termine più preciso ed adatto. Vago, nella realtà, in me e intorno e in questo silenzio. E tenendoLe la mano ho creduto di sognare insieme. O forse lo facevo da solo. O forse lo facevamo in mondi differenti. Lontano dagli occhi. Che importa? Sognare rende questa attesa meno insopportabile. Ed è difficile scrivere quello che non so spiegare nemmeno a me. La vita non è una linea perfetta; tutt’altro. Nulla può essere definitivamente definito.
In ogni rapporto che finisce mi sono trovato a lasciare qualcosa di me. Anche con Lei è stato lo stesso. Credo che non rivedrò più quei dischi. Non ho il gusto della rivincita; nemmeno quello del “l’avevo detto“. Dovrei godere come un maiale e non mi riesce. E’ una gran balla. Non mi sento meglio se stanno male anche gli altri.
Io non ci sto a un mondo in cui la donna è sempre vittima e l’uomo carnefice o viceversa. Siamo tutti schiavi delle nostre debolezze, delle nostre paure, delle nostre arroganze e di mille altre nostre cose. Ma se qualcuno ti guarda le spalle non vuole sempre dire che ti sta guardando il culo.
Non avendo la cognizione precisa del tempo che è richiesto, perché scorra e finisca un per sempre, mi siedo tranquillo e mi preparo ad aspettare, a ricordare le cose belle e un momento magico, il più magico. Ma in realtà non aspetta e non ho mai aspettato. Il domani non appartiene più a quel noi.
Spero che questo non suoni, a Te, come delusione. Non porto con me nessun rimpianto. La porta si è chiusa sulle cose e su tutto. Il tempo è destinato a non tornare più. L’amore ha tanto volti e anche questo.
(Lettera firmata)
P.S. E infine a te:
Ma si è mai amati, si chiedeva mademoiselle de Lespinasse, da chi amiamo“?
Se è una risposta quella che cerchi a questa ultima domanda allora la mia risposta è: credo di sì. Non può succedere spesso, ma credo di aver avuto la fortuna di viverlo anche se per brevi attimi. E parlo di un amore pieno e intenso. Persino consapevolmente in entrambi. Infondo non chiedo di più, la fortuna è già stata generosa.

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Vorrei approfittare di questo spazio per ricordare come l’arte, in particolare la poesia, soprattutto la poesia di impegno civile, ma non solo, abbia come naturale bisogno la libertà per esprimersi compiutamente. Per far questo volevo ricordare due poesie di autori, su cui credo, non ci sia bisogno di soffermarsi molto. Non nego che il tema sia già affiorato, e affiorerà, in altre poesie qui postate. Che dire di più di quanto meravigliosamente dicono questi maestri della poesia? La prima è di uno dei nostri maggiori poeti del novecento cioè dell’ermetico (mai etichetta mi è sembrata meno opportuna) Salvatore Quasimodo¹:

Salvatore QuasimodoAlle fronde dei salici.

E come potevamo noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonate nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre arpe erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.*

Il secondo è un poeta spagnolo, già citato nel post dedicato a Blas de Otero, ovvero Jesus Lopez Pacheco [Madrid 13 luglio 1930 – Londra (Ontario, Canada) 6 aprile 1997] e la sua poesia è tratta dal libro Delitti contro la speranza edito Guanda 1970:

1956
Quella scampanellata sola,
come una frustata.
D’improvviso
la cena diventa amara,
si fermano nell’aria, morti
di paura, i cucchiai.
I miei genitori mi guardavano.
Le mie sorelle
facevano
silenzio.
Rimaneva soltanto la radio,
che non si accorgeva delle cose
e continuava
a parlare senza sosta, ormai per nessuno.


1] Il documento è stato rintracciato in rete senza nessun riferimento all’autore

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L’amico Venises prosegue e conclude, sul sito-amicale fulminiesaette, il suo splendido diario di viaggio, di parole e immagini, in Ghana.

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Già! ho anch’io quei miei giorni. Meglio lasciare stare. Lasciarmi in pace. Non mi parlate di Carlo Taragnin. Sì! sono un po’ insolente. Irascibile. Arrogante. E anche un po’ volgare. Mi escono tutti i difetti. Sono leggermente indisposto. Indisposto nei suoi confronti. Non ho niente di particolare verso l’uomo. Non sono uno capace di portare rancori. E poi anche la natura, con lui, è stata matrigna. Anche il troppo è troppo. Un poco come sparare sulla croce rossa. Ma cosa ci posso fare? Se s’è capito: non impazzisco per lui. Solo questo. Non impazzisco per il suo essere autoritario in modo affabile. Il suo lasciare lì le cose per occuparsi di piccole vendette, dei dispetti; di fare le boccacce. Beh! inutile proseguire. Dell’uomo Taragnin non mi va nulla. Peggio ancora dalle storie delle baracche.
Non gli succede spesso di stare ad ascoltare, a quel mezzo di primo cittadino. Gli altri possono anche pensare che stia riflettendo. Quel silenzio. Io lo so. Mica mi frega. L’ho già sgammato. Si sta cantando in testa una vecchia canzone di queste parti: vinasa, vinasa, e fiaschi de vin. Perché infondo ha una sua cultura. Viene dai campi (e si vede), ne ha ancora tutti gli odori, ma ce l’ha. Magari piccola e limitata ma precisa. Di una precisione che sembra cesellata. Tutta piena di etichette. Li conosce tutti. Tutti i tipi di vino. E li conosce per confidenza. E’ l’applicazione a tali studi che gli costa i gomiti delle giacche. Sembra ancora più piccolo vicino alla grande atleta. Ecco un’altra cosa che mi indispone: sale sul palco e noi paghiamo il palco. Persino il caffè lo lascia da pagare. E pensa a come metterci in conto anche la benzina. Parla, parla perché ha paura di dover tornare a lavorare.
Dovrebbe essermene grato, il Taragnin, perché, almeno qui, è un protagonista. Era un giorno di dieci (circa) giorni fa. Si toglie un biglietto dalla tasca. Legge: “Già! era proprio il 94, nel senso dell’anno novantaquattro. E’ stato allora che è finita la politica“. Strano detto da lui. Da lui che gravita in quell’area. Il paladino del centro destra. Dell’anticomunismo. Che i comunisti li vede come il diavolo. Tutti (e si segna). Non proprio tutti. Tranne quelli che hanno saltato come quaglie. Ne ha più lui in giunta di quanti ne siano rimasti per le strade. Ma sono ex. Niente peggio di loro. Non esiste un anticomunista più anticomunista di un ex comunista. Cioè, il Taragnin, è di quelli che lega no, perché non c’è abbastanza acqua santa, ma anche solo a vederla la bandiera della pace gli viene da grattarsi. Gli prende l’allergia; povera stella. E’ che lui è un ex democristo. Anche se adesso sorride agli ex socialisti. Si coccola i forzisti vecchi e quelli dell’ultima ora. Strizza l’occhio ad An. Palperebbe tutti i leghisti. Si deve sistemare. Infondo è finita la politica, mica la storia. E poi basta salvare le opportunità. Chissà gli gliel’ha scritto, il biglietto? Ma l’uomo ha un suo fascino. Di questo non si discute. Non lo colgo ma c’è chi si fa fascinare. E allora qualcosa deve pur esserci. Magari… forse… piò darsi… molto sotto. Forse quell’aria bonaria. Quella che frega i più. Perché poi le carte si perdono sempre se hai quella o l’altra tessera. Con quel sorriso da ho già spento tutte le candele ti spiega chi comanda. A comandare è lui. Fosse per lui lui crede in lui. Si sarebbe presentato anche per missitalia avesse potuto imbrogliare almeno all’anagrafe. Mai che i fannulloni servano a qualcosa. Ma lui non demorde. Magari si presenta, non invitato, al tuo matrimonio. Verrebbe (toccarsi è d’obbligo) al funerale. In quanto a presenza non si può negare che sia presente. Sa che la presenza è quello che conta. Se è sotto l’inquadratura alza la manina. Fa il ciao come lo fanno i cretini durante le dirette. Quando rincaso controllo sempre dove solitamente non cade l’occhio. Non è timore di trovarlo. Mi costa lo stesso evitarmi i fastidi. Pago lo stesso tasso per il mutuo. E’ solo che il mini è già anche troppo mini. E l’aria puzza già di suo che gli scarichi non scaricano bene.
E’ la Betty Darla che mi parla di lui. Si siede con me al bar e mi dice: “Lo sai“? So già di saperlo. E che vorrei non saperlo. Lo sapevo di doverla lasciare in piedi. Me ne parla come di un santo. Di un politico santo. Infondo cosa gli si può rimproverare? Meglio non cominciare. Mi ci vorrebbe troppo e dell’altro tempo. Oltre al fatto che è un po’ troppo fascista. Non a parole. A fatti. Il suo essere. Ma se “Piace a tutti. Da destra a sinistra“. La guardo stranito. Cos’è, una specie d’influenza? Nemmeno lei ha molto che mi piace. Cerca di nascondere i suoi anni. Si fa bella delle balle. Può ancora far girare la testa. Il merito cioè la colpa è del suo profumo. Un profumo intenso. Profuso. Sprecato. Esagerato. Troppo. Lo so che dopo mi pentirò. Com’è possibile non farsi sgarbato? Com’è possibile essere meno che cialtrone? Nemmeno me la facesse vedere cambierebbe di un pelo. Non fosse che il Taragnin basta! direi che ci sia qualcosa. Non può essere. Sarebbe stata la prima cosa che avrebbe detto. L’avrebbe sputacchiato subito. Con orgoglio. Dev’essere qualcuna di quelle cose del platonico. Quelle che non ho mai capito. Magari anche lei gli ha fatto il servizietto, con la bocca; ma solo nel suo immaginario. Che poi se tanto da tanto…
Lei, la Betty, se le sistema per farmele capire. Ormai le deve sollevare anche per sistemarsi la gonna. Non mi andrebbe comunque. E poi io odio le passionarie. Non è una questioni di pelo. Odio anche i passionari. Di più quelli Che a parole. Di qualsiasi razza. Ancor di più se si spacciano per la mia. Se rompono per convincere tutti che loro sì sono sinistra. Che hanno quell’orgoglio. E intanto sognano in intimo. Si vedono con questo fascistello. Magari (lei) se lo figura col boxer coi cagnolini. A frugarsi dentro per cercare la piccola materia morta. Petto in fuori come i cavalieri (l’uno e l’altro). Valle a capite tu queste persone. Mica posso raccontare tutto quello che le ho detto. Sono impulsivo. Non sarebbe carino. Potrei essere tacciato di turpiloquio. Alla fine le ho spiegato, alla Betty, che se fosse un uomo anche come uomo sarebbe un cesso, che non mi andrebbe il culo neanche con le pinze, ma nemmeno di essere preso per quello. Se lei è di sinistra allora io sono una bagascia.

Vuoi mettere con il Taragnin?

Svelata l’identità del candidato. L’uomo nuovo è una donna, anzi una grande donna. Altro che la Fede, Lei non vince la resistenza dell’acqua, ci cammina sopra. Ed è molto più grande. Chi la conosce veramente sa che è pure molto più alta di un metro e ottanta. Sto parlando della candidata.


P.S. Non esiste nessuna Betty ne una donna dei fatti. Più o meno esiste il fatto. Fosse veramente relativo ad una donna non mi sarei espresso in questo modo. Ho il massimo rispetto per tutte le donne. Beh! non esageriamo, non proprio, non tutte, magari tutte tranne quando si chiamano Betty.

Ho qui, proprio in questo momento, qui davanti al naso, il candidato sindaco di Taragnin cioè il provvisorio candidato sindaco di quel pezzo di centro-destra cioè l’ignoto Trevisan.  Annalisa dice, col suo dialetto diretto: “anca snianfo el xe”. L’impressione è che abbia lo stesso sapore delle zucchine e dell’acqua. Sono tentato di provarne pena.

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