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Archive for luglio 2008

Vecchia storia di una Grecia che è solo stata e non è più stata e che da allora troppo tempo è passato. Invece c’è sempre un tempo. Ci sono i miti, le storie, il sangue e il sudore e anche il dolore. C’è soprattutto, non lo si scordi, l’orgoglio della terra in ogni terra. Nessun silenzio, per quanto forte, lo potrà tacere. E allora, qui, oggi parlo di uno dei miei poeti più amati; appunto un greco:

Ghiannis Ritsos (Monemvassià 1 maggio 1909 – Atene 1990) poeta militante, corifeo della tragedia greca (secondo Aragon che non esita a proclamarlo il più grande poeta del nostro tempo) dalla produzione smisurata.
Per nove volte candidato al premio Nobel, il grande poeta, amate della musica e della pittura (che continuerà a coltivare), consuma una vita a combattere in un paese prima occupato dai nazisti. Dopo la liberazione del 45 conosce l’onta della “occupazione” inglese. Per comprendere bisognerebbe ricordare quella Grecia di allora. Una Grecia che vede morire i suoi figli migliori, molti nomi ignoti e altri molto noti come Beloyannis (1952) fino a Lambrakis (1963) e così via via, dalla dittatura di Metakàs (1936) fino all’avvento della dittatura dei colonnelli nella notte del 21 aprile del 1967 e oltre fino ai fatti di Cipro. Una Grecia che costringe all’esilio i suoi poeti, i suoi artisti. Una Grecia a due passi da noi, ignorata, che sembra senza futuro.
Una vita, la sua, spesa tra Makronisson, Limmos, Ai-Stratis e poi ancora Ghiaros, Limasol etc. isole tristemente famose, baluardi di inciviltà, dove venivano esiliati coloro che erano privati della libertà per reati d’opinione. A scrivere grande poesia e a combattere contro una salute malferma. Nell’agosto del 1974, durante un memorabile concerto di Theodorakis, 120.000 lo acclameranno come il simbolo della coscienza nazionale.
Ma il momento che credo abbia formato maggiormente l’uomo penso sia databile proprio maggio 1936: durante uno sciopero generale a Salonicco la polizia spara sulla folla. A terra restano trenta morti e trecento feriti. Quegli avvenimenti lo condurranno a scrivere in due soli giorni Epitaffio, lungo monologo di una madre sul corpo del figlio ucciso.
Lo vorrei ricordare attraverso un frammento della raccolta, scritta tra il 45 e il 47, ma che verrà edita, per la prima volta, solo sette anni dopo La signora delle vigne:

XV
Perché, signora, ti dai alla macchia e le nuvole fuggono?
Oggi le pecore entrano nell’ovile della sera e tingono di nero la loro lana
oggi l’aquila tinge di rosso i suoi artigli,
ché si sono avventati gli infedeli e hanno calpestato le nostre vigne
staccano il fico dalla pianta e il neonato dalla mammella
staccano il braccio alla Madonna per venderlo al mercato –
nuvole di locuste spianano i campi seminati,
pugnalate alla schiena e vipere agghindate con lingue biforcute.

Ormai chi se ne sta, Signora, a vegliare con lo zufolo il gregge delle ombre
chi a governare gli abeti nelle acque della via lattea?

Collere millenarie di avi e bisavi tuonano dentro le botti vuote
Migliaia d’estati gemono nei barili di vino
Il pellicciotto della nonna nel baule medita Boubouline
E nel cannocchiale del comandante si sono ridestati brulotti e Kanaris e scirocchi.

Signora, Signora, indossa ancora gli abiti cleftici del valore in cima alle montagne
Cingiti il seno di tre file di stelle per giberne
Metti nella bisaccia l’icona della Madonna insieme alle cartucce –
Apostoli pastorecci suonano le campane di Santa Sofia,
le montanare di Macedonia – pinte d’ulivo si danno alla macchia
e i morti sui gradini della chiesa lubrificano i fucili con l’olio della lucerna.

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Un politico che non è Erberto Guidi¹, nonostante la zeppa, di in un paese che non è Spinola², chiede ad un impiegato comunale³ (che naturalmente non sono io) di fare la situazione delle abitazioni di proprietà comunale (una mezza dozzina, non di più). Il ligio dipendente comunale individua le proprietà e, quasi di sua iniziativa, fa una relazione sui locatari e sulla situazione degli arretrati nei fitti. Risultava che ben poco era stato pagato, anche di quegli affitti agevolati, e che molto era insoluto. Risultava a fronte una corrispondeva estremamente lacunosa e spesso infedele. Dire le cose così è disegnare una situazione rosea perché stava tutto in un abbandono ben peggiore. Quell’impiegato, che, ripeto, non sono io, ha presentato una dettagliata relazione accompagnata da un foglio Excel riassuntivo. Con modestia ha proposto una soluzione che sembrava fatta del più banale buon-senso: tutti debbono pagare al Patrimonio, nei rari casi di vera necessità verificata devono intervenire i Servizi Sociali in una partita di giro. Tale soluzione è stata prospettata anche al Segretario Generale. Il lavoro è rimasto sul tavolo dell’impiegato e del politico sei mesi. Passato circa quel termine è stato chiesto allo stesso impiegato, che non sono io, di aggiornare i dati. I dati aggiornati stavolta hanno riposato sopra gli stessi tavoli qualcosa più di sei mesi. Da quanto risulta gli inquilini continuano a non pagare e il comune a non fare nulla per riscuotere, ma non possiamo esserne sicuri perché, naturalmente, si è ritenuto opportuno avvalersi delle sue grandi capacità e competenze (devono aver preso quell’impiegato, che non sono io, per una sorta di Pico della Mirandola, buono e capace per ogni cosa; proprio come i nostri ministri), dicevo hanno ritenuto opportuno spostarlo in altro ufficio e preferibilmente in una sede staccata dal Municipio, anche in quanto trattavasi di un soggetto sinistrorso e barbosamente scrupoloso.

A volte i fannulloni si riposano faticando.


1] Nome di pura fantasia

2] Nome di pura fantasia

3] Di pura fantasia; nessun riferimento è reale ma, al massimo, realistico.

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I post di questi giorni sono troppo personali, non metterei a nudo solo me, sono troppo privati per trovare posto in un blog. Meglio tacere anche se tutto è solo parole o vita o sentimenti (per quanto anche questi ultimi possano essere violenti). Sono post che richiedono silenzio; solo di essere taciuti.

Ho delle domande a cui nessuno potrà mai rispondere, io meno di qualsiasi altro. E’ spesso così. Ci sono domande che non hanno bisogno di risposte, e altre che le risposte proprio non le hanno. Io oggi ho domande che resteranno, lo so, ossessionanti dubbi. Col senso di quello che non riesci a prendere anche se è la ad un palmo. Certo ne avrei potuto fare un piccolo racconto, ma so che avrei tradito non solo me. E poi a che pro? E poi chi l’ha detto che il tempo può sanare ogni cicatrice?

Scrivere mi è difficile ma proverò, per il possibile, a farlo. Nel chiedermi se tutto questo ha un senso, e nell’interrogarmi se ha un senso anche continuare ad apparire in uno spazio blog, dedico solo a me una canzone di Fabrizio De Andrè da Tutti morimmo a stento dell’anno di grazia 1968: III° intermezzo. Perché l’ottimo Fabrizio mi parli, per dialogare con lui, per tacere ed ascoltare e intanto darmi altro tempo per riflettere e altro ancora. Nell’assurdo tentativo di ritrovare qualche pezzo di me.

Fabrizio de Andrè: III° Intermezzo.mp3

[Audio “http://se.mario2.googlepages.com/III-Intermezzo.mp3”%5D

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Interrompiamo il gioco, proviamo a parlare sul serio, visto che a rifletterci, a volte, si può anche scoprire che la seconda risposta ha più buonsenso della prima. Fin troppo facile sparare sui fannulloni nel pubblico impiego ed è quando le cose sono troppo facili che divento sospettoso. In tutti si è costruita, nel tempo, questa immagine di una “burocrazia¹” che non funziona e dedita all’ozio, costruita in due lustri di governi che avevano usato l’impiego pubblico per “sistemare” il loro elettorato (è passato l’entrarci attraverso l’iscrizione ad un partito, persino ad un sindacato?). Era, allora, il posto sicuro, quello che nessuno ti avrebbe potuto togliere per tutta la vita. Pagato poco ma, appunto, sicuro. Persino gli stessi lavoratori denigrano l’ambiente e sono pronti a sparare contro: “nessuno lavora; naturalmente escludendo il sottoscritto“.

Cominciamo a chiarire che ci sono comparti dove, nel pubblico impiego, si lavora quasi o come in fabbrica (pensiamo a gran parte della sanità). Di contro, soprattutto scendendo sempre più lungo lo stivale, ci sono comparti dove le assunzioni non sono avvenute perché c’era lavoro ma proprio perché non c’era, cioè per fronteggiare la disoccupazione. Già qui si porrebbe logica una domanda, ad un ministro di provenienza socialista e che rischia di definirsi ancora tale anche dopo una lunga militanza in quello che ora e il PDL: “cosa ne facciamo dopo di un altro esercito di disoccupati che colpirebbe soprattutto il meridione oltre che l’intera nostra stessa economia“? Impossibile che il ministro non si sia posta questa domanda. Sospetto sappia invece bene che sta ragliando al vento. D’altro canto sono gli stessi che si ergono a paladini della sicurezza che poi tagliano gli stanziamenti alle forze dell’ordine o depenalizzano i reati. Una volta si chiamava demagogia; oggi non so.

Abbiamo detto che questo universo è stato creato da una certa politica. Quella stessa politica che ora grida ma che ancora ora continua a nominare per meriti e demeriti politici dei dirigenti incompetenti. Ma dove metti i trombati della politica? Minimo gli troviamo un posto in un consiglio di municipalizzata. Non mi sembra che la politica stia proprio dando segnali di riscatto o di etica. Non è forse vero che in Italia l’unica cosa che continua ad aumentare, oltre l’insicurezza e la disperazione, sono i loro redditi. I dipendenti non solo si trovano a lavorare, spesso con scarsità di mezzi (vedi il ritardo tecnologico), guidati da responsabili incompetenti, ma altrettanti spesso è una scelta prettamente politica e voluta il non raggiungere i risultati; una seria lotta all’evasione, delle tasse e delle imposte, creerebbe un’equità impositiva (ma chi la vuole?), ma allo stesso tempo destabilizzerebbe l’elettorato; naturalmente scontenterebbe qualcuno portatore di voto, perché le tasse si devono pagare ma le deve pagare “il vicino”. Infondo siamo tutti un poco conservatori soprattutto quando si tratta della nostra sedia e dei nostri emolumenti.

Ancora un piccolo punto da chiarire: chi sceglierebbe e con che criteri? Sono certo che in questo momento, io uomo di sinistra che lavoro in una amministrazione di destra, e solo perciò subisco una situazione di mobbing, io che avendo imparato a lavorare in un lungo tirocinio nel privato e che se ho momenti morti mi invento lavoro, io che non ho mai fatto caso ad una declaratoria professionale assumendomi compiti e oneri ben al di là del mio livello e delle responsabilità a cui dovrei rispondere, sempre io con una moglie nella sanità (appunto) che non si è mai risparmiata e ho sempre visto tornare stanca, ebbene io, quell’io, son matematicamente certo che mi troverei nell’elenco dei fannulloni ai primi posti perché non si fa uno sgarbo ad un amico. Perché anche le promozioni si fanno in base a favori (in un dare e avere) e a simpatie; e alcune passano anche in ambienti come le camere da letto o comunque adatti a pratiche non strettamente legate alle mansioni lavorative.

Ripeto che sono convinto che tutto questo il ministro lo sa. Non sarà un drago ma nemmeno così stupido. Sa che le leggi ci sono e che attraverso esse si sta già moralizzando ma si prende la gloria di procedimenti che sono partiti quando lui non aveva ancora nemmeno la speranza di avere un dicastero e si erge a censore e moralizzatore in un ruolo fin troppo facile e portatore di plausi. Una cosa seria invece sarebbe, per esempio, combattere seriamente l’evasione e la corruzione. Questo sarebbe un vero passo avanti ma nessuno lo vuole se non a parole. Poi potremmo cominciare un discorso di efficienza. La creazione degli strumenti di base sui quali sviluppare un lavoro che garantisca servizi, come la creazione di banche dati univoche e attendibili, come si è fatto per i codici fiscali, in alternativa alle quali non restano che le famose sfere di cristallo. Se io non ho un anagrafe seria e attendibile, ma sei o sette o all’infinito, frammentate per uffici (una, quando non due, per l’anagrafe vera e propria, una per ogni tassa o tributo, una per la protocollazione, etc.) e contraddittorie, quale certezza di dare un servizio posso avere? Se mi trovo a inviare ingiunzioni di pagamento ai morti è chiaro che si spreca il tempo lavoro che il fannullone potrebbe dedicare ai vivi. Questo è un paese di pazzi perché, se controlliamo i catasti ci accorgiamo che una infinità di italiani paga o pagava, ad esempio, l’Imposta Comunale sugli Immobili (ora soppressa per la prima casa) senza possedere immobili in quanto i loro non erano mai stati accatastati. Magari scopro che qualcun altro abita a casa mia e preferisco non saperlo per non correre il rischio anche di pensare male. Che ne so? che gli affittuari non pagano l’affitto perché nessuno tanto glielo va a chiedere, su alloggi destinati ai cosiddetti poveri, ma dati agli amici e agli amici degli amici, mentre quei poveri aspettano fuori della porta. Già! se hanno fortuna sono in graduatoria. Che gli appalti non sono affidati al fornitore che garantisce una esecuzione migliore al prezzo più basso. Onestamente non mi interessa a chi fa riferimento la ditta che esegue un intervento, mi infastidisce che l’intervento nasca per affidarlo ad una ditta, cioè che ci sia prima l’affidatario che la necessità dell’opera. E se provassimo, a questi fannulloni, a dargli lavoro e mezzi? Parliamone.

P.S. se lungo tutto il post (grazie della troppa attenzione) Vi siete chiesti dov’è la biondina? Beh! non potete vederla perché sta accovacciata sotto il tavolo.

Elio e le storie tese: La terra dei cachi

[Audio “http://se.mario2.googlepages.com/Laterradeicachi.mp3”%5D


1] Burocrazia e pubblico impiego non sono sinonimi

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Io faccio una politica di sinistra

Che altro dire?

Ferrero (il mezzo segretario), Uoltere (la mezza sega), persino Di Pietro (che proprio di sinistra non sarebbe) erano preoccupati per la mancanza di alternativa a questa politica. Finalmente il governo avrà una opposizione e stanco di aspettare se la farà da solo.

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Precari, Pd attacca “Ritirate quella norma”

Eppure è una norma basilare del calcio: “Se non si tira in porta è un po’ difficile fare gol“.

Se ci fosse una miliardaria disponibile, purché belloccia, mi offro a darle volentieri una mano a spenderli.

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Se non l’avesse visto con i suoi occhi non ci avrebbe creduto. Era entrata in quella chiesa e nel silenzio era come se il suo santo (Sant’Antonio; NB) pregasse per lei. Si tolse la collana dal collo e la appese a quello della figura lignea. Non ebbe nemmeno il tempo che le rimaneva per tornare a casa che il Signore le fece la grazia di metterla alla prova. Prima di uscire era stata distratta e aveva lasciato l’acqua aperta. Al ritorno l’appartamento era completamente allagato. Filtrando sotto la porta ogni gradino delle scale s’era trasformato in una piccola cascata, e dietro quella porta il tappeto galleggiava, zuppo, in corridoio, come una zattera alla deriva. Lei era solo una semplice donna e non seppe trattenersi: si rimboccò le maniche non senza lasciarsi sfuggire qualche madonna. Quando ebbe occasione di rimproverarlo al santo ebbe la sensazione che in quel volto apparisse un sorriso che aveva anche un che di scaltrezza e di derisione – “Porco Pinco Palla“.

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Lucio Dalla da Il giorno aveva cinque teste del 1973: Il coyote

[Audio “http://se.mario2.googlepages.com/Ilcoyote.mp3”%5D

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L’attesa

E’ una vita che aspetto. Passa diritto e mi accorgo che stavo aspettando alla fermata sbagliata. Uno gentile mi indica: “Guardi che di qua si va da nessuna parte“. Sono impaziente, temo di non aver altrettanto tempo per aspettare che torni a passare. Eppure ero sicuro. Forse mi sbaglio. Non mi muovo. Maledetta la miseria comincia anche a piovere.

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L’estate è così. Ci sono momenti in cui anche la cronaca sembra essersi presa un periodo di vacanza. C’è meno voglia di uscire, vuoi per l’afa, vuoi perché al bar non sai di che parlare; anche il campionato è sospeso. Anche la politica langue (forse l’esempio non è calzante perché forse quello è coma irreversibile). I miracoli passano sotto silenzio perché la gente è distratta a cercare refrigerio. I morti sul lavoro, sulle strade, sulle spiagge e in montagna, sono meno morti. L’attenzione sembra distratta. In realtà resta il romanzo da spiaggia e crogiolarsi al sole.
Ci sono dei momenti in cui ogni parola che vorrebbe uscire sembra la parola sbagliata. Che tutte le parole faticano ad uscire. Che ogni silenzio è una impresa ciclopica da scalare. E quando questi momenti avvengono d’estate è solo una grande confusione. Hanno un senso spaventoso di vuoto e solitudine. Hai solo voglia di lasciare tutto e staccare la spina.
In quei momenti qualcuno s’illude di tornare a sentirsi vivo tornando a spiare il vicino o litigando per il volume della tele.

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