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Posts Tagged ‘satira’

fulmine«Quando il profeta parlerà’ per nome del Signore e la cosa non accadrà, quella parola non l’ha detta il Signore, l’ha detta il profeta per presunzione: di lui non devi avere paura.»[1]

Ovvero “Meglio viver 100 giorni da leone e mangiarsi le pecore”.
Questa indagine cognitiva, che ficca le sue radici sul terreno che nutre il grande Credo, fin troppo si è soffermata su fatti di relativa importanza, spandendo un piccolo borgo ad universo. Chiedendo ragione al nulla. Elencando liste di perlopiù anonimi contadini e allevatori, elevandoli a condottieri e guide, quando non ad interi popoli. Anche laddove il popolo altro non era che uno sparuto gruppetto famigliare o di goduriosi bisbocciatori. Dove tutti tradiscono tutti e le donne non sono che un mero mezzo passivo della procreazione, più che oggetti solo cose. Dove il sospetto è di la da venire e il dubbio non ha mai fatto la sua omicida comparsa. A questo mondo ancora senza luce, acqua, gas e televisione. Questa indagine chiede che alla Storia siano dati i tempi della storia. Chiede fatti. E ricorda che il mondo, il creato, è molto più grande. Molto più vasto.
 25. Come abbiamo già avuto modo di dire Abramo, vecchia lenza e gran tempra di filibustiere, nonché avventuriero, a differenza del figlio, visse centosettantacinque anni e, sistemato Isacco, pensò bene di sposare «Keturà. 2Ella gli partorì Zimran, Ioksan, Medan, Madian, Isbak e Suach. 3Ioksan generò Saba e Dedan, e i figli di Dedan furono gli Assurìm, i Letusìm e i Leummìm. 4I figli di Madian furono Efa, Efer, Enoc, Abidà ed Eldaà. Tutti questi sono i figli di Keturà». Tutti gli altri ventri invece che fecondò erano di concubine e i dintorni furono presto colmi di voci di bimbi, più o meno contenti. Gli illegittimi meno. Allora un po’ per la confusione, un po’ perché non voleva sentire lagnanze e un po’ perché non amava vederli bighellonare senza costrutto, questi li mandò 5«»verso il levante, nella regione orientale». Ma dopo tanta fatica il povero vecchio giunse stanco ma soddisfatto alla fine dei suoi giorni.
9«Lo seppellirono i suoi figli, Isacco e Ismaele, nella caverna di Macpela, nel campo di Efron, figlio di Socar, l’Ittita, di fronte a Mamre. 10E’ appunto il campo che Abramo aveva comprato dagli Ittiti: ivi furono sepolti Abramo e sua moglie Sara». Di dove fosse sbucato tale Ismaele nessuno fa menzione. Forse imboscato al banchetto di nozze ed in amicizia con quello che chiamava fratello. Forse un illegittimo che furbescamente s’era guadagnato la simpatia di quel padre. Forse semplicemente un viandante. Si fanno ipotesi ma non di più. Certo è che Isacco non era tipo da badarsi da solo e perciò allora 11«dopo la morte di Abramo, Dio benedisse il figlio di lui Isacco e Isacco abitò presso il pozzo di Lacai-Roì»; dove il servo aveva incontrato sua moglie Rebecca, prima ancora che lui la conoscesse, e dove abitava il padre di lei, nonché suo zio.
Solo in seguito si venne a sapere che Ismaele era figlio di 12«Agar l’Egiziana, schiava di Sara» e concubina del vecchio. Quello stesso figlio che era stato dal padre cacciato e costretto prima nel deserto e poi in Egitto. Spero il lettore non me ne voglia se ci risparmieremo l’elenco dei figli generati da quel figlio di illegittima di Ismaele. Quel figlio che si sospetta accelerò la dipartita di quello stinco di santo del padre. Ai fini della comprensione dei fatti vi è la nuova credenza che quella lista sia un’inutile perdita di tempo e una sfida alla pazienza. Basti sapere che vennero elencati 16«secondo i loro recinti e accampamenti»; e che «Sono i dodici prìncipi delle rispettive tribù». Perché dodici figli mise al mondo anche quella lenza di Ismaele che pare avesse preso dal padre, dal padre in età avanzata. Altrettanta poca rilevanza ha che 17«La durata della vita di Ismaele fu di centotrentasette anni», infatti lui morì giovane. Tali meticolosità possono essere utili solo agli storici che di meticolosità sono già adusi da sé e per disciplina. E possono esser sopportate solo dagli stoici.
Per una sorta di destino anche Rebecca era sterile, come prima Sara, e anche Isacco chiese aiuto al Signore; anche perché erano passati ormai vent’anni e lui non ne poteva più di sentirsi dar la colpa. Ancora una volta Quello si spazientì ma ancora una volta decise di aiutare il giovane. Però questa volta preferì non mandare né viandanti né angeli, non per sfiducia, ma per sospetti. E dopo l’intervento del Signore 21«Rebecca divenne incinta» per un parto gemellare; non di due figli ma di due popoli. Difatti 25ancor prima che il rossiccio Esaù, tutto pelo ed esuberanza, 26trascinasse alla vita il fratello Giacobbe afferrato al suo il calcagno, era chiaro che tra i due non ci sarebbe stata che discordia. Infatti Dio, o chi per Lui, aveva detto alla mamma: «Due nazioni sono nel tuo seno, e due popoli dal tuo grembo si divideranno; un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo». Il primo fu cacciatore e prediletto dal padre –più che quel figlio il padre in verità adorava la fettina– il secondo fannullone scioperato, sempre sotto la tenda, e perciò prediletto dalla madre. Mai che i due andassero d’accordo; come in ogni famiglia che si rispetti. Ma Giacobbe era un furbo di tre cotte e 29buon cuoco, mentre Esaù era tipo da vendersi anche l’anima 30.34per una minestra di lenticchie. Non c’era pace tra gli ulivi, cioè non era destinata quella terra, e quelle genti, a trovare pace.

Per l’immagine ringraziamo Enrico Mazzucato dal cui profilo Facebook l’abbiamo rubata. Come possiamo vedere tutta questa storia, e gli eventi narrati, e la terra promessa (da chi a chi?), e il popolo eletto stanno sotto il dito mignolo della mano destra del mondo.


[1] Da Wu Ming : Altai – © 2009 by Giulio Einaudi Editore s.p.a., Torino. Pag. 265

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Fortuna vuole che non solo di guerra e morte si parli in questa Storia; nella Storia. Qualche volta c’è anche qualche bella notizia. Come quella di Isacco e Rebecca. Come sappiamo il deserto è un grande mare ma di sabbia, senza acqua. Come il mare è pieno di onde. Per quella sabbia scorrono fiumi di sangue. Per una donna ne potrebbero scorrere altrettanti, come raccontano bene quelli che credono agli dei. Noi, che non ci crediamo, per ora parliamo solo dell’amore e della gioia degli sposi. E fortuna che son finiti i tempi in cui anche a parlarne era pronto il patibolo.

fulmine24. Qui le cose vengono raccontate così come si sono state tramandate, per filo e per segno. Parola del Signore, cioè parole al posto di quelle del Signore: 61«Il servo prese con sé Rebecca e partì. 62Intanto Isacco rientrava dal pozzo di Lacai-Roì; abitava infatti nella regione del Negheb». Non c’è verso di scoprire un minimo di arte della sintesi. Va ben bene la precisione ma Isacco non s’era mai mosso ed era sempre lì. Lì dove ancora tutto è deserto. Bighellonando senza costrutto 63«Isacco uscì sul far della sera per svagarsi in campagna e, alzando gli occhi, vide venire i cammelli». Proprio in quel mentre, manco farlo apposta, 64«Alzò gli occhi anche Rebecca, vide Isacco e scese subito dal cammello». 65«E disse al servo: «Chi è quell’uomo che viene attraverso la campagna incontro a noi?». E alzarono gli occhi anche i cammelli volgendoli al cielo. «Il servo rispose: «È il mio padrone». Allora ella prese il velo e si coprì. 66Il servo raccontò a Isacco tutte le cose che aveva fatto. 67Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l’amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre».
Ora perché tra tanta compagnia il Servo avesse preso con sé Rebecca è argomento di lungo contendere. E di maldicenze. Ai quali noi non daremo seguito. E perché non avesse preso con sé altri, ad esempio le ancelle, o quella vecchia arpia della nutrice, non è certo. Ciò che successe durante quel viaggio non è mai stato preso in considerazione dalla grande cronachistica della voce delle indiscrezioni. Ciò che conta è che la fortuna arrise loro e arrivarono tutti sani e salvi. Isacco vide quella donna dal volto coperto, ma tanta era la sua brama che non aspettò nemmeno se lo togliesse. Più che portarla la trascinò nella sua tenda, ed è comprensibile visto che il giovane aveva ormai raggiunto l’età di quarant’anni e anche la sua curiosità sulle donne aveva avuto modo di diventare matura. Lui recava in fondo al cuore ancora la perdita della mamma; povero cocco. E non si venga qui a paragonarlo a quella leggenda di Edipo. Quello era greco e si sa com’erano i greci; dei gran sporcaccioni. E poi quella era leggenda e questa è Storia, e per di più Sacra Storia. Così Isacco prese in moglie Rebecca e solo dopo i piccioncini pensarono al matrimonio. Non si sa se Rebecca avesse conservato quel Dono di Dio: la verginità. Maligni sostengono che ci troveremmo davanti ad un altro dei tanti misteri. Il primo ma non l’ultimo del genere.
Soprattutto con questi narratori, meticolosi, puntigliosi, minuziosi, pignoli, pedanti, parolai, sarebbe inutile parlare delle nozze. Le nozze sono nozze. Vista una viste tutte. Non ci sono nozze sacre e nozze profane. Anzi c’è il rischio che anche la prima notte si divertano più gli altri degli sposi. Si sperpera un capitale per dar da mangiare ad una ciurma di affamati. Si soppesano i regali e si accatastano in attesa di farne l’inventario e di trovar loro un posto. Si corre su e giù ad accogliere gli ospiti, che solo all’ora ci si rende conto: paiono un mare. In burrasca. Con le famiglie numerose e feconde è sempre così. Sai quanti parenti hai solo quando te li vedi piombare in casa, cioè in tenda, tutti assieme. Quando devi dar loro da mangiare. Allora si gira intorno a vigilare per evitare il più possibile gli infiltrati. Gli uomini ridono e le donne piangono; chi dei due sia più realista è il più grande e inviolato degli enigmi. Qualcuno fa sulla sposa pensieri immondi. Qualcuna e qualcuno li fa sullo sposo, ma pare pochi e con poca fortuna. Tutti la baciano, la sposa, e qualcuno prova a baciarla di più. Qualcuno si prova a cantare, ed allora si capisce che sarebbe l’ora di dar fine alla festa. Il solito stupido cialtrone grida “Bacio! bacio!” incitando al coro. Chi finisce sotto il tavolo in preda all’effetto vigliacco dell’uva fermentata. Gli sposi allora scappano giusto in tempo per la loro ora di gloria. Stanchi da far pietà. Al lumicino delle loro forze. E le testimonianze del dopo sono sempre soggette all’ombra del dubbio. Inoltre Dio non ne vuole sapere di quelle cose.

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fulmineIn questa ricostruzione puntigliosa, seppur parziale, personale ed ironica, della Storia delle storie, della Storia con la “S” maiuscola, della Bibbia, sembra di trovarsi ad affrontare una iperbole assurda. Pare che il libro più letto sia anche il libro meno letto. Ad un certo punto anche Dio, nella sua infinita saggezza, ebbe un attimo di smarrimento; di dubbio: temette che con l’uomo non ci fosse proprio niente da fare. Qualcosa non era andato che sarebbe dovuto. Qualcosa non funzionava. Il resto del creato era una meraviglia divina. L’uomo era la belva, anzi la bestia, che non trovava pace; che stonava come un forestiero. L’uomo uccideva per il gusto di uccidere, per i motivi più banali. E aveva trasformato gli istinti in vizi, in degradazione.

Ogni controversia lasciava un’unica scelta: “fuggi o combatti”. Fin dall’inizio se nasceva una discussione su dove far pascolare le pecore la risposta era: “fuggi o combatti. Una lite su un paio d’acri di terreno: “fuggi o combatti. Una polemica su cioè che è giusto e su ciò ch’è etico, sul come dire le cose, sul sapere e capire: “fuggi o combatti. Una disputa sui gusti e sulle abitudini: “fuggi o combatti. Per un uomo o per una donna: “fuggi o combatti. E sarebbe continuato sempre così: “fuggi o combatti”. La dicotomia tra ingegno e politica si è sempre sviluppata in modo conflittuale.
A noi, lettori di oggi, sembra, forse sbagliando, che la guerra non porti nulla di buono. Che nella guerra ci siano solo vittime. Che non vinca veramente mai nessuno. A quei noi sembra che la guerra più che inutile sia estremamente dannosa. Già uccidere gli altri e uno sterile spreco di tempo, di energie e di risorse. Il problema è che, magari casualmente o di morte amica, a morire possono essere anche i “nostri”. E i morti pesano. Soprattutto quando tornano giovani a casa, dai loro famigliari, vestiti di una bara e una bandiera. Sarebbe forse illuminante chiederci perché Dio dovrebbe spendere quattro righe per distruggere cinque città e pagine intere per trovare una moglie ad Isacco; ma così sono i destini dell’uomo. E poi bisogna avere eternamente fede. Ed è qui che sorgono dubbi sull’attendibilità di quegli uomini che si facevano chiamare profeti. Magari mentre parlavano, più o meno a vanvera, anche un po’ così: tanto per ciarlare, erano inconsapevoli che qualcuno li stava ascoltando. E che poi avrebbe deciso che sarebbero stati loro e non altri i profeti. E che erano loro e non altri a parlare per conto Di. E nel frattempo, in ansia, Abramo, e ancor più Isacco, continuavano ad aspettare.
Rebecca, ma ancora Servo non ne conosceva il nome e la chiamò solo giovinetta o donna, a parte il nome da film americano, era 24figlia di Betuèl, uno dei figli che la prolifica Milca aveva partorito a Nacor. E’ Bene ricordare che Nacor era fratello di Abramo e che fin troppo spesso gli affari d’amore si risolvevano in famiglia. La cosa sembrava non essere di nessun nocumento anche perché la ragazza era di bell’aspetto e, soprattutto, vergine. Dio aveva creato le donne vergini e aveva chiamo anche loro donne. Si sarebbero poi distinte per l’uso che avrebbero fatto di quel dono di Dio. Lei, Rebecca, era vergine poiché 16nessun uomo si era unito a lei. Dissetato prima lui e poi i cammelli Servo si inginocchiò con quelli, i cammelli, 22prese un pendente d’oro del peso di mezzo siclo e glielo mise alle narici, e alle sue braccia mise due braccialetti del peso di dieci sicli d’oro 23e chiese il nome della giovinetta. Sentito quel nome ebbe solo un secondo di esitazione, ma Rebecca era corsa subito a dare la notizia a casa.
Rebecca aveva un 28fratello chiamato Làbano e Làbano che come vide il pendente al naso della sorella gli saltò una mosca al naso, ma poi pensò che era felice che finalmente avrebbero sistemato quella sorella a cui nessun uomo aveva voluto unirsi. E pensò anche che doveva aver accalappiato un buon partito; quando ancora non sapeva dei dieci cammelli. Ancora si chiedeva come avesse fatto. E ancor più se lo chiese quando Servo, senza aver toccato cibo, si presentò annunciandogli: 35«Il Signore ha benedetto molto il mio padrone, che è diventato potente: gli ha concesso greggi e armenti, argento e oro, schiavi e schiave, cammelli e asini»; precisando che a quel figlio aveva 36«dato tutti i suoi beni». Magari anche esagerò un po’ al fine di vender meglio l’inetto, ma la cosa, il grano, fece la sua impressione. Così padre e fratello sentenziarono: 51«prendila, va e sia la moglie del figlio del tuo padrone» sfregandosi l’un l’altra le mani. Per una forma di cortesia chiesero anche alla stessa Rebecca cosa ne pensasse e anche lei ne era contenta pur di scappare da quella famiglia. Così finalmente, mentre l’attesa dall’altra parte era ormai spasmodica da rasentare la rassegnazione, lo sparuto gruppo partì con 59Rebecca con la nutrice, insieme con il servo di Abramo e i suoi uomini; ma anche con le ancelle e riportandosi i cammelli. Non si soffermarono ad aspettare l’angelo, non avevano idea di dove si fosse cacciato. E la giovane donna fu salutata dalla benedizione dei famigliari: 60«Tu, sorella nostra, diventa migliaia di miriadi e la tua stirpe conquisti le città dei suoi nemici!». Nel cielo, finalmente tutti concordi pensarono che almeno questa se la sarebbero potuta risparmiare; sarebbe bastato un: “Auguri e figli maschi”. E la parola di Dio rimase in silenzio.

Ringraziamo Enrico Mazzucato per la foto rubata dal suo profilo FB

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Tutto ciò che prima non era mai stato detto [dagli altri profeti. n.d.a.] è che nel creare il creato Dio all’improvviso si sentì solo. Non bastavano gli uomini, né i giganti, né gli angeli a lenire quella immensa solitudine. Fu per quello che creò delle creature in tutto è per tutto più simili a lui; più simili delle altre, e tutte si chiamarono Dio. Tranne per quella di sesso femminile che non gli assomigliava punto e che si chiamò da sola: Lei. Poi gli avvenimenti si susseguirono. Nessuno più parlò dei grandi erbivori. Anche quello è uno dei tanti misteri della fede.

fulmineSi ha qui l’impressione che ci si soffermi troppo in piccoli e irrilevanti particolari? Ci si ricordi che si sta parlando, in un qualche modo, di… come dire? due universi paralleli. Il tempo sulla terra scorre lento, si conta a minuti. Ma abbiamo parlato anche dell’infinito, del luogo dov’è cominciato tutto, dove si è dato inizio al creato. Lì tutto è diverso. E’ meno caotico. C’è meno affollamento. E soprattutto il tempo passa in modo diverso. Abbiamo visto scorrere i secoli in un baleno. Alcuni sono passati prima ancora che noi ce n’è accorgessimo. Si deve inoltre considerare che c’era un certo fermento, stava nascendo l’umanità, tutto ribolliva come nella tazza di un vulcano. Almeno alcuni degli eventi narrati avrebbero dato lavoro per anni e anni.
Ai più quei sei giorni sarebbero potuti sembrare secoli. Non a lui. Certo non si potevano ascoltare solo gli… storici e gli antropologhi; che poi ancora non erano stati creati. Era vero che c’era stato un periodo che l’aria s’era fatta un po’ più frizzantina, ma da questo parlare addirittura di glaciazione. Qualcuno aveva bisbigliato lontano da orecchie indiscrete che sarebbe stato per tenere fresca la birra. Ma se la birra non era stata ancora creata? E poi, fosse vero, si sarebbe completamente ghiacciata. La verità è molto più banale, ma nemmeno vale la pena parlarne. Non era troppo chiaro chi si doveva occupare di cosa. E nella confusione… non ti puoi mai fidare. C’erano stati alcuni mal funzionamenti nella distribuzione di energia. Piccoli disguidi. Già risolti. Non si sarebbe verificato più. Parola di Dio.
Nemmeno se ne sarebbe più parlato se… Il problema era che tutto era già successo all’inizio dell’inizio. Adamo amava fare due passi prima della frutta; e anche dopo per farsi una sigaretta. A quei tempi erano due sposini soli; senza figli tra i piedi. In quel suo curioso girovagare senza meta aveva trovato alcuni oggetti, siano essi di selce o di ossidiana, non era mica un geologo, che anche una mente semplice come la sua se ne sarebbe accorta. Si sarebbe interrogata. Decisamente erano reperti che la mano di qualcuno aveva levigato. Si era anche imbattuto in certe strane pitture. Ma di questo non ne aveva mai parlato. Perché si era spinto più lontano E li aveva visti in una grotta. E in quella grotta non era solo. Certo non era proibito, era solo una capra. Ma Eva era così gelosa. In seguito si era anche imbattuto in un enorme… sembrava proprio un osso. Era proprio un osso. Pensò potesse appartenere a qualche gigante scomparso. Troppo grande. Pensò al mammut ma il mammut, come sappiamo, non era ancora esistito e comunque era estinto. Poi era una bestia di altre latitudini. Quell’uomo di fede, e non troppo acuto, trovò nuovamente risposta nei misteri della fede.
A proposito, viene colta l’occasione per una riflessione filosofica che poco ha a che fare con i fatti. Contiamo ancora una volta nella pazienza e nella clemenza dei pochissimi che leggono; se non si sono già annoiati nelle poche righe precedenti. All’amico che continua a sostenere la teoria secondo la quale l’uomo è stato creato vegetariano vorrei chiedere se le punte di freccia o lancia, trovate tra quei reperti, indicano che l’uomo di allora, il primo se non il primissimo, ha lavorato quelle pietre per cacciare delle rape. Sicuramente l’uomo ha dovuto assaggiare tutte le schifezze che trovava, in natura. Erbe e sterpi, pietre e radici, tuberi, magari resti di animali e financo i loro escrementi, fino alla frutta. Ma qui torniamo ad andare fuori dal seminato. Comunque la fame era tanta e l’ignoranza era di più. Ma se i disegni dimostrano che cacciava gli animali già prima di essere creato, non possiamo che concludere che era un animale vegetariano con una dieta varia ed alcune eccezioni, tra cui la carne e il pesce. Ma ora è bene che torniamo ad interessarci puramente ai fatti. E a interrogarci solo su di essi.
Lei, nella sua a volte anche inopportuna petulanza, insisteva nel dire che non poteva continuare all’infinito a chiedere all’uomo di liberarsi di ogni curiosità. Che la curiosità sarebbe sopravvissuta a tutto. Che l’uomo aveva bisogno anche di risposte. Soprattutto le donne. Ma lui la trovava una questione di lana caprina. Caprina? boh! Lui amava le cose spicce. Se credi non hai bisogno d’altro. Ci vuole fiducia nelle cose. Lui amava quelli che erano sempre pronti. Amava i sì; mica i forse. S’era convinto che il mondo sarebbe andato meglio, molto meglio, se tutti avessero fatto il loro dovere senza star lì, ogni momento, a rompere… le uova nel paniere. C’era bisogno di ordine in quell’Ordine infinito. Se uno si mette a dubitare di ogni piccola cosa, anche sulla forma della terra, finisce che si trova a dubitare anche di Dio. E chi avrebbe fatto tutta quella grande cosa, il creato, se non Dio? Questa era l’unica domanda che gli sembrava saggia. E per quella la risposta era là, davanti agli occhi di tutti. Era una sola. Nemmeno serviva tanto ripeterla. Una risposta di tre sillabe. Il suo divino Nome.
Magari non subito ma col tempo Lui riusciva a trovare una risposta a tutto; non per nulla era Dio. Giustificò queste divagazioni col fatto che i giorni dell’uomo e quelli di Dio non hanno le stesse dimensioni. E che l’uomo e la sua discendenza non sono l’uomo ma quello tra loro che lui aveva scelto. Che a suo dire quelli altri gli erano riusciti anche peggio. Cioè che la Storia era quella di quel piccolo territorio che potremmo chiamare Galilea. Non perché il resto avesse meno importanza. Anzi. Solo perché chi ne aveva parlato era nato in quella piccolissima fetta di terra. Non conosceva altro. E non era colpa sua se gli uomini cosiddetti d’oltreconfine non sapevano leggere, scrivere e far di conto. Magari sapevano costruirsi gli attrezzi, ma solo rudimentali. Magari avevano provato con l’arte, con la pittura. Potevano definirsi pitture quelle? E a che pro? Al massimo erano scarabocchi, e rupestri. Persino loro li nascondevano agli occhi dentro delle caverne. Non erano che prove. Restavano degli ignoranti buzzurri; se gli era permesso esprimersi così.
Dio [nota a margine] non ricordava di aver creato uomini che poi aveva chiamato profeti. Lui aveva creato l’uomo e poi l’aveva chiamato uomo; più semplice da capire di così. Naturalmente anche Dio disse: “nemmeno Io”; e così via, che non staremo a ripeterci. Naturalmente ci sembra vacuo soffermarci sulla Genesi del nome. Loro parlavano in nome di… e anche questo Dio non ricordava di averlo detto. Ora non capiva perché non potessero avere un idea loro. Fossero sempre lì a pendere dalle sue labbra. Ma per pendere pendevano poco. Ma a chiamarli questo uomo e l’altro uomo e quella donna e quell’altro uomo e anche quella donna non ci si raccapezzava molto. Una volta si voltavano tutti. Un’altra non rispondeva nessuno. In quella che sostituiva l’anagrafe allora ci si era poi impegnati per distinguerli uno dall’altro. Avevano da prima provato con i numeri. Ma ben presto si resero conto che i numeri rischiavano di restare insufficienti. Allora erano ricorsi alla loro fantasia, anche quella piuttosto scarsa. Senza una regola, senza un piano né erano uscite le cose più bizzarre; ridicole. Persino uomini col nome da donna e uomini e soprattutto donne senza nemmeno il nome. Lacune di un esercizio ancora in fase progettuale.
Allora Lui alzò gli occhi al cielo. E ne fu entusiasta. Si sentì orgoglioso. Almeno di quello. Era una notte nera. Proprio nel bel mezzo splendeva un’enorme luna piena. Pensò che forse gli uomini avrebbe dovuto sistemarli lì. Però avrebbero dovuto scavare e scavare per trovare un pozzo dove dissetare i cammelli. E che forse si sarebbero messi in testa anche loro di volare. Già il cielo più in basso era pieno di uccelli, anche di notte c’erano quelli notturni, e di tanto in tanto si incrociavano anche gli angeli. Poi pensò che in poco avrebbero rovinato anche quella. E poi poteva benissimo servire per sognare. E per cantare. Pensò che avrebbero continuato a fantasticare di abitare anche quella. E con quella esplosione demografica tutto era possibile. Che piantata lassù li avrebbe lasciati parlare per anni e anni. Intanto li avrebbe tenuti occupati e non avrebbero fatto tanti altri malanni. Un modo l’avrebbero trovato, ma intanto non era male distrarli. Ma fu costretto a tornare con i piedi per terra.
Come si è provato di accennare, a parte gli improbabili, e spesso ridicoli, nomi propri, i profeti erano pur sempre uomini, e capivano quello che capivano. E associavano. E scordavano. E infiorettavano. Fantasticavano e ciarlavano. Inoltre nel riportare, è umano, si aggiunge o toglie sempre qualcosa. Lui stesso non avrebbe dato Fede a tutto quello che dicevano. Anche se la Fede è necessaria. Due parole qui, quattro di là. Non c’era da stupirsi se poi si generava confusione e i posteri non ci avrebbero capito granché. Che poi ognuno cercava di portare anche l’acqua al suo mulino. Dovevano essere tutti dei mugnai, ma non ne aveva conferma. Certamente erano anche dei gran burloni e un po’ giullari. E non tutti poi si presentavano proprio per bene. Prendi quello… e poi quello con quella voce blesa… beh! lasciamo andare. Era ben anche per quello che aveva creato la Fede. Ce n’erano che amavano le feste e non facevano che raccontare di party e di divertimenti vari, e anche non certo decorosi. E altri che amavano l’avventura e l’azione, spesso truculenta. Non c’era un equilibrio; Divina pazienza, o come diceva Lui: “Divina polenta”.

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fulmineNon si può sempre ritornare a ritroso. Dopo tanti fatti narrati Abramo aveva già imbandito il tavolo per lo sposalizio e tutti gli addobbi e, povero vecchio, si avviava lentamente a finire di vivere i suoi centosettantacinque anni, era in attesa di buone notizie dal suo servo. Isacco, il suo unico figlio, era in attesa forse anche più ansiosa. Nessuno dava ascolto a quel figlio legittimo e lui non molto aveva da dire. Silenzioso era quasi sempre stato silenzioso e nemmeno troppo acuto. A questo proposito è bene, anche se superfluo ricordare, il fatto del monte, quando ignaro si era prostrato per il sacrificio senza capire, fino all’ultimo e oltre, che era destinato a lui e non all’agnello il coltello brandito dalla mano virile del genitore.

Sorge legittimo un dubbio che ci giunge da lontano: ma se l’uomo è discendente diretto della stirpe creata da Dio (e da Adamo), chi ha creato tutti i popoli ostili che quel “popolo eletto” incontrava continuamente nella sua strada? Cioè se discendevano tutti dalla stessa famiglia e dalle stesse donne, su ciò meglio stendere un pietoso velo, ovvero: se erano tutti fratelli, e fratellastri, e anche cugini, chi aveva creato i nemici?
A sentire ancora Lei le storie di quegli uomini che diventavano padri senza nemmeno accorgersene dovevano finire, ma aveva il sospetto che non avrebbe vista quella fine. E a dirla tutta, se ci troviamo spesso a ricapitolare, invocando la clemenza del lettore, è anche per merito di Lei, non Lei ma Lei, l’altra; quella contemporanea. In carne e ossa. Dicevamo che anche la sua parola, di Lei, è parola di Dio e allora disse: “Certo che poco si parla dei suoi simili fatti ancora più suoi simili, cioè dei giganti. Per non dire degli angeli, mica si saranno fatti da soli. Che Lui li manda a portare un messaggio e quelli si prendono le loro libertà e vogliono mettere opinione. E nulla si dice dei suoi simili fatti proprio sputati a sua immagine e somiglianza, uguali uguali a Lui, tanto da essere anche Loro Lui. A parte Lei, cioè io, che una qualche differenza c’è ed è anche evidente, ma sempre a sua immagine e somiglianza. E non sorVolo nemmeno su quel sputati perché questo vizio di sputare ce lo dovremmo togliere tutti. Non è per niente bello che, con la scusa di dare la vita, a uno gli si sputi in faccia. E’ tanto meglio farlo nel modo tradizionale. E anche più divertente. A parte casi particolari; e se ne vedon già molti. Al limite si potrebbe infilargli un biglietto in bocca. Soprattutto a quelli che poi debbono strisciare tutta una vita. Una sorta di post-it con quattro o cinque informazione d’uso. Come un manualetto: vai e fai; che non è nemmeno una brutta idea”.
24. La storia, la nostra Storia, non si può certo fermare su un bisticcio di genere. Mentre se ne discute, e senza soffermarci sulle modalità del giuramento che gli erano state richieste, e che nemmeno a Dio eran piaciute, nel frattempo il servo fedele di Abramo s’era recato in Aram Naharàim, alla città di Nacor. Per i geografi dobbiamo digredire per precisare che si era recato in un posto imprecisato tra due confini, non essendo ancora stati creati i cartografi –spesso pare che tutto questo sia di frequente raccontato con la logica del dopo. Ora il servo fedele –Dio aveva chiamo il servo solo Servo, ma a volte anche schiavo e altre, raramente, oppresso– 10aveva recato con sé ogni sorta di cose preziose e dieci cammelli –si sa come in quei paesi di lingua araba vi sia la consuetudine di barattare le cose con cammelli, qualche volta anche in modo improprio. E il povero signor Servo fece fatica immane per 11far inginocchiare le dieci bestie fuori la città nei pressi del pozzo. Le bestie non volevano piegare le ginocchia e lui voleva esser certo di ritrovarli al ritorno; non è che si fidasse proprio molto. Ma lui, scaltro, aveva scelto quel posto perché vi si recavano le donne e lui non le disprezzava certo, le donne, anche se doveva sceglierne una per il suo padrone, cioè per il figlio del padrone. Diede un paio d’ore libere all’angelo e poi il Servo, che non era certo un servo sciocco, anche per togliersi dagli impicci scaricò parte di quella responsabilità invocando Dio con queste parole: “14la ragazza alla quale dirò «Abbassa l’anfora e lasciami bere», e che risponderà: «Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere», sia quella che tu hai destinato al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato bontà verso il mio padrone»”.
Dio invocò la clemenza celeste perché ce le aveva piene, nel senso di tasche, di essere messo in mezzo anche per simili sciocchezze, pure per fare il mezzano, perché era stanco di sentirsi chiamare continuamente di qua e di là, e anche sopra e sotto, e perché avrebbe avuto ben altro da fare. Comunque, come si sa, Dio vede e provvede, e anche un po’ di fortuna non guasta, e così Servo 15«non aveva ancora finito di parlare, quand’ecco Rebecca, che era figlia di Betuèl, figlio di Milca, moglie di Nacor, fratello di Abramo, ‘che’ usciva con l’anfora sulla spalla».

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fulmineQuesta è la storia di uno di noi, anche lui nato per caso… Come il lettore attento e chi ci ha seguito  saprà –impresa pressoché impossibile– che questa non è una storia qualunque ma è la Storia. La Storia di come Dio creò il cielo e la terra. E poi creò l’uomo e lo chiamò uomo, e creo la donna e la chiamò donna –non ci voleva una gran fantasia– e creò il lacchè e lo chiamò Carogna –no! questo è un errore di ricostruzione. Poi popolò la terra degli animali e chiamò cane il cane, e porco il maiale –su questa squallida battuta ci si è soffermati fin troppo– dicevamo: e chiamò porco il maiale ma anche lo stesso lacchè e chiamò moffetta la moffetta –si da il caso oggi sia il giorno della moffetta– poi chiamò Eva ma quella fece la gnorri. Da quel fatto nacque l’Ira divina ma anche il peccato e il prete, per ora solo l’idea del prete, come confessore. Di come poi Dio scatenò sull’uomo la sua Ira, al fine di farne un uomo provo, con gli episodi ricordati di Babele, del diluvio, di Sodoma e Gomorra e tutti gli altri. Nell’istante in cui siamo arrivati il povero Abramo, ormai vecchio e solo, decide che è ora e tempo che il figlio, Isacco, prenda moglie. Ma è anche la storia di come Dio creò altre creature sue simili come gli angeli e i giganti, ancora più simili, e li chiamò angeli e giganti. E di come avesse creato dei suoi simili proprio uguali a Lui per lenire la propria solitudine e quelli si chiamarono ognuno Dio. Ma anche di come tra loro ne creò uno al femminile che si chiamò sbaglio… [scusate l’errore dovuto a certi bisbiglii] cioè si chiamò Lei. Proprio a questo proposito non solo a chi riferisce oggi e qui gli avvenimenti non sembra giusto che tutta questa Storia sia raccontata solo da voce maschile. E allora si torna a dare voce anche a Lei.
Abramo da vecchio non era certo migliorato, e sempre un po’ fissato era. Lui non aveva simpatia per i Cananei, anche se ci viveva assieme e si mescolava a loro. Forse avevano poca cura di sé stessi. Forse puzzavano, forse no. Non si poteva dire un uomo di ampie vedute e anzi era di quelli che: donne e buoi dei paesi tuoi. Passi per le donne, ma anche no. E il gusto dell’esotico? A Lui restava da capire quella cosa dei buoi. A parte piccole differenze soprattutto di corna, ma per quello anche tra gli uomini, a Lui i buoi sembravano pressappoco tutti uguali. Ed era un animale completamente mansueto. Se ne stava lì a sgobbare e a guardare anche mentre il toro faceva le cose in vece sua. E di vacche ne pascolavano per i prati, e anche per le strade, che a essere toro era una gran fortuna. Ma pure una gran fatica. E pure una gran libidine. Meglio esser toro che agnello; ma forse stava facendo confusione e stava equivocando con gli animali. Perché il toro e l’agnello non avevano nessuna parentela; o no? Lei gli spiegava sempre: c’è chi nasce toro e chi nasce agnello. E lui era Dio. E poi Lui mica era nato. C’era sempre stato. Esattamente come la sfortuna. Le lotterie, no!
Ma Lei ormai ci ha trovato gusto a raccontare le cose come le vedeva Lei. Continuerebbe a rilasciare interviste se avessero già inventato i tabloid: “Io denuncio che non sempre ho avuto la calma necessaria, ed è per ciò che tra tanta confusione capita di sovente di dover ricapitolare e magari tornare ad accadimenti già passati. Il tema è troppo importante per tralasciare o sorvolare qualcosa. Sono certa se ne parlerà ancora per anni. Senza alcuna acrimonia ma è palese che io e Dio siamo una persona diversa e con idee e sentimenti diversi, ma siamo altrettanto Dio. Guardate anche quella storia di Sodoma; scusate se mi ripeto. Io glielo avevo detto, vecchio s… Non esiste una guerra gentile. Che distingua gli empi dagli altri, dai goduriosi. Credete che mi abbia dato retta? Questa è la sua Storia, non la mia. Io avrei fatto tutto differentemente, con più amore e meno autorità e rabbia, persino violenza. Ho più e più volte provato a parlarci, niente. Nel mondo ci vuole pazienza”.
Perché è sempre la memoria che va a ritroso, mentre il mondo va avanti, perciò: RICAPITOLANDO: E’ stato ben Lui a dire, parola Dio, proprio Lui a dire:28 «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra.» –non si può dare colpa a nessun altro perché quel nessuno ancora non c’era. E l’uomo per andare non è andato molto lontano, ma per procreare ha procreato, e tanto; forse più di quanto s’era immaginato. L’uomo ha dedicato all’opera di Dio, al suo comandamento, tutte le sue energie. Forse anche più che a farsi la guerra. Almeno inizialmente. Nessuno ne ebbe a ridire, anzi. Forse solo gli animali da striscio, ma per breve. Si pensò che pensasse ai servi e per quelli… E anche ci tenne, sempre Lui, a ribadirlo, perché ha sempre avuto quel pregio, la capacità di sintesi:29 «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo.30 A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde.» E ridaiela con gli striscianti. E poi c’è la storia dell’abbondanza di erba. Meglio non dirlo. E’ sempre stato meglio tenere la storia dell’erba tra quattro mura; per sé. Diciamo che era per uso terapeutico o per consumo personale. Qualche furbo sostiene ancor oggi che né volesse fare un popolo vegetariano se non anche vegano. Ma questi non vanno d’accordo con nessuno tranne che con sé stessi. E a guardare tutto quel… Creato, sempre Lui, era stato affaticato ma soddisfatto. Tanto che fece dire che 31«era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno» E infatti dopo ciò smise di lavorare; non era ancora stata creata la settimana breve e il cosiddetto sabato fascista”.[1] Né ancora alcuna crisi aveva spinto tutti ad accettare di lavorare in nero e a condizioni capestro.

 

[1] Genesi 1

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fulmineL’erba del dubbio infesta ogni piantagione. Fosse stato uomo si sarebbe potuto dire che subiva una grave crisi di identità. E’ che a volte anche se ci si ripensa il tempo è passato e c’è comunque il rischio di arrivare tardi. Il Creato era stato creato. Bene o male era stato creato. Tutto il resto stava un po’ andando per conto, proprio o alla deriva. Chi ci capiva qualcosa era un bravo? Ma ci è stata recapitata una protesta perché tutta questa storia è stata riportata da voce maschile. E allora si è deciso –non senza qualche pressione– di dar voce anche a Lei.

23. Certo che quando tutto andava bene Dio di qua e Dio di là, e poi quando qualcosa andava storto allora tiravano fuori le loro medagliette o qualche ciondolo magari di qualche quintale. La cosa non gli andava proprio a genio. Prima o dopo ci avrebbe pensato Lui. E poi tutti quelli che parlavano in Nome suo. E tutti quegli scrivani. Va bene il Dio multiplo, che gli sembrava quando parlava di sentire i coreuti delle baccanti, ma poi c’erano gli angeli. Quello dice: «Abramo… –eccetera, cioè– Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Ma che si prendesse le sue responsabilità e invece parlava in vece sua. Come fosse proprio Lui. Che Lui quella mano gliel’avrebbe amputata. O era sgrammaticato o si stava montando. E quelli che se ne andavano a mangiare a sbafo da Sara. E gli altri. E poi c’erano quei gran chiacchieroni dei profeti, affabulatori logorroici e un po’ dislessici. Gli sembrava che tutto non avesse né capo né coda. Se lo disse tra sé perché nessun altro dicesse quelle stesse parole. Tutte quelle parole erano la Parola di Dio, singolare, non il coro dell’Ernani. Ormai era cauto anche nei suoi pensieri. Ma la storia continua perché la storia non ha tempo per fermarsi a riflettere. Parola del Signore.
Lui aveva a cuore Abramo ma Abramo fu colpito da un’improvvisa grave sventura. Certo che a centoventisette, perché tanto visse quella donna, un po’ se lo poteva anche aspettare, e magari pensarci prima. Così Sara morì all’improvviso a Kiriat-Arbà, cioè Ebron, cioè Hebron, cioè Al Khalil, nella terra di Canaan, persino stabilire l’esatta ubicazione di un posto stava diventando una faccenda tanto complessa da richiedere un cartografo, solo che anche quelli si muovevano almeno in quattro e mai che almeno due la pensassero allo stesso modo. Ecco un altro a dire che invece era morta ad Dioecesis Hebronensis. L’unica cosa certa era che la pia moglie di Abramo, Sara, quella che non riusciva a dargli un figlio e poi gliene aveva dato solo uno e proprio mentre lui dormiva, riposava in terra altrui, quella degli ittiti ma nella sua tomba. Non senza aver prima a lungo mercanteggiando sul prezzo nonostante quattrocento cicli d’argento non fossero nulla né per il vedovo né per Efron, figlio di Socar. Alla fine, anche per non star qui a menar il can per l’aia, Sara ebbe la sua lussuosa tomba e anche l’orto intorno, alberi compresi. Ci pensò e forse Abramo era il primo proprietario terriero e aveva inventato la proprietà sepolcrale. Pareva che ancora nessuno avesse mai pensato alla cremazione e ai loculi. Eppure dovevano pure aver visto come bruciavano bene i corpi, ossa comprese. Nessuno poteva ignorare il focherello che aveva dovuto fare a Sodoma e nelle altre quattro, e si ripeteva quattro, città. Possibile che ci dovesse pensare sempre Lui. Anche se ancora posto ce n’era, ma a volte conviene essere previdenti. Soprattutto in una terra piccola come quella dove c’erano più padroni che contadini. Più ci provava e meno ci capiva. Erano gli uomini, gli intellettuali, qualche mente superiore o solo qualche mente perversa che aveva deciso di farlo impazzire?
Ora il gentile lettore vorrà scusarmi se si divaga ma si rende necessario per la rilevanza del caso. Per la prima volta Lei ha voluto rilasciare una testimonianza spontanea. Significhiamo, anche se non ce ne sarebbe bisogno, l’importanza di tale documento ricavato dalla diretta voce di una protagonista e che, in quanto spontanea, va naturalmente considerata apocrifa.
Io non c’ero e se c’ero ero affaccendata in altre faccende, si sa come vanno queste cose, ma tutto è cominciato fin da subito. Questa è la pura e sacrosanta verità. Ed è stato Lui, proprio Lui. So che è difficile ora ma Lui, quello che c’è stato prima, fin da subito. Dovrei ammettere che è a Lui che debbo la vita, ma non si può sempre tacere. Prima con la storia della solitudine. Poi con l’uomo. E’ andato per approssimazione. Ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, afferma. Su questo si dovrebbero versare fiumi di parole. Non gliene son mai venuti due di uguali. Ha fatto, naturalmente, anche la donna; che gli assomigliava ancor meno. In questo caso, bisogna ammetterlo gli è riuscita anche bene; Basta guardare me. –e si ferma un attimo a pavoneggiarsi… giunonica , nei punti giusti– Si fosse limitato a lei ora potremmo parlare di evoluzione della specie. Come si può non amare una creatura così? Invece”.
Poi ha fatto i giganti e su questi dovremmo stendere un pietoso velo. Di quelli si poteva anche fare a meno. A che gli servivano ancora non siamo riusciti a sapere. Solo che quelli vengono definiti figli di Dio; e gli altri, gli uomini? Di chi erano figli? Illegittimi? Come si dice… Come ci voleva un indovino per immaginare come sarebbe andata a finire; anche se non si fossero messi di mezzo anche gli angeli; pure loro. Quelli, i giganti, vedono le donne e si mettono strane idee in testa. Scelgono le più belle e se le sposano; naturalmente quando va bene. E ne sposano, o comunque se ne scelgono, quante ne vogliono; anche in abbondanza. A bizzeffe. Che ne so, anche a seconda delle stagioni o degli impegni. E’ da lì che nascono i primi drammi perché quelle, le donne, poi diventano prima gravide e poi partoriscono. E chi partoriscono? «Gli uomini potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi» come se sulla terra ci fosse bisogno proprio di quello; come se non ci fossero altri problemi. E famosi per la loro inutilità, e anche imbecillità. Certo che poi danno la colpa al potere, ma chi lo esercita? Da chi è fatto? Così le cose son precipitate e come le ciliege che una ha tirato l’altra. Mi sembra una conclusione logica che davanti a tanto anche l’uomo volesse imitarli. E prendersi donne in quantità e le più belle. Non dico il casino che hanno piantato le meno belle e soprattutto le brutte. Possiamo fargliele una colpa se qualcuna poi è scivolata sul volgare; sulla scurrilità? E anche le belle non hanno voluto essere da meno. Ne escono di quei frasari, magari sottovoce; sussurrati. Si si spegne la luce e tutto uno spasimo e certo non si può tenere il sole in cielo anche di giorno. E poi anche se è giorno ormai non si fa alcun riguardo nessuno. Checche se ne dica, ammesso e non concesso, io non c’entro niente. Che poi tutte, almeno nelle aspirazioni, cercano il gigante, che quelli sono alti anche cinque cubiti e oltre, e tutto in proporzione, che al loro confronto gli uomini si sentono cavallette, perché quando hai provato il troppo, il poco ti lascia con una smorfia in bocca. E vederti così non è che all’uomo possa far piacere”.
Non fossi preoccupata per il destino delle donne avrei già mollato tutto. Fosse solo per me mi sarei già trasferita al Parnaso. [Lui, quando era venuto a saperlo aveva commentato con disgusto: «con quelli? Sono volgari anche quando devono dare un nome a una città.»] E, a proposito di piacere… … Che secondo me Lui si da anche un po’ di superbia perché è un po’ uomo e un po’ gigante. Ma il problema, sempre secondo me, è che sta invecchiando. Va bene tutto ma… forse era già vecchio quando ha iniziato a iniziare; precocemente. Non che… Insomma… Ed è anche testardo. Non vuole capire come vanno le cose; vedi non me. Non che io… insomma… che io me le so prendere da me le mie belle soddisfazioni. Ma se fai una donna a che ti serve se poi la tratti come fosse un uomo. Va bene il rispetto… quello ci vuole sempre, ma almeno un po’ di cortesia. Non fa che brontolare. Non gli va mai bene niente. E poi diciamolo: irascibile è irascibile. Che è un pezzo che glielo ripeto: Hai fatto l’uomo; lascia che si arrangi. Ci fai anche bella figura Tu. La gente appezza quanto sei liberale. Invece… mica la capisco questa mania di protagonismo. Poi, sulle cose pratiche, quando per esempio c’è da far cena, allora si è come loro, e gli uomini sono a sua immagine e somiglianza. E anche i giganti. E anche gli angeli. Diventano figure ornamentali. Come vivere con le statue. E in fine diciamola tutta: anche la mia parola è Parola di Dio, perdio”.

P.S. Foto trovata in rete. Ringraziamo Enrico Mazzucato nel cui profilo Facebook abbiamo trovato l’immagine.

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varie2Fate che i pargoli vengano a me. Ora le storie sono storie anche per le loro orecchie. Qui non c’è nulla da nascondere. Tutto appartiene ad un Disegno Divino. Chi dovesse nutrire diffidenze e financo sospetti sarà soddisfatto. In questo capitolo la storia sarà divisa negli stessi capitoli con cui è stata tramandata. Qui non c’è nessun imbonitore né nessun illusionista. Tutto è più vero del vero. Qui si ricorda come un povero vecchio, più sordo di una campana, stesse per sopprimere il suo unico amato figlio. E come un angelo, forse lo stesso, gli fermò all’ultimo istante, giusto in tempo, la mano. Ma anche di come gli uomini odiassero gli uomini, cioè niente di nuovo. Parola di Dio.

20. Con Abimèlec il pasticcio l’aveva combinato quel vecchio pazzo. E Lui era venuto a saperlo per ultimo. Era riuscito a trattenere all’ultimo l’Ira divina. Trattenersi non era certo facile nemmeno per Lui; tuoni e fulmini. Abimèlec non aveva colpe, lui s’era invaghito della sorella di Abramo, non della moglie. Certo che, a guardarle, entrambe erano una bella donna. Non è poi un peccato così grave guardare. E anche lei aveva detto: «È mio fratello». Pareva lo facessero apposta, quei due. E non gli era sembrata contenta quando Lui aveva rimesso ordine. L’aveva guardato indispettita e come si guarda un impiccione. O almeno a Lui era sembrato così. Come aveva Abimèlec fatto a non fare se lo sarebbe chiesto per tutti i tempi dei tempi. Se lo chiedeva anche Lei. Non che potesse ritornare sui suoi passi, la parola di Dio resta la parola di Dio. Aveva rischiato di fare un bel pateracchio. Proprio una figura di… di… quella cosa. Abramo s’era scusato con il pretesto che era la sua sposa ma anche la sua sorellastra, anche se non sua sorella. Si sarebbe detto un bel paraculo dell’ultima ora. Si sarebbe detto che erano tempi in cui le famiglie erano strani tipi di famiglie. E la parentela era una grande comodità ma anche un grande pastrocchio. Avrebbe voluto dire caos, ma quella parola proprio non la sopportava. Certo che era un profeta, che la sapeva raccontare, ma a sentire non doveva sentirci molto bene e in quanto a coraggio ne aveva di più un coniglio, con tutte le scuse al coniglio.
21. E Dio non poteva ignorare che non tutto era come sembrava. Anche il vecchio aveva la sue colpe. Aveva combinato le sue marachelle. Certo, pensò Dio, qualsiasi cosa gli chieda, anche la più strampalato quello la fa. Sarà l’età. Non sapeva se era un bene o un male. Non aveva ancora deciso. Ma non poteva fingere di non sapere di Agar l’egiziana. Non poteva dar torto a Sara, anche se forse sarebbe stata l’ultima a poter protestare: «Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco». Sempre con quelle questioni di eredità. Così i figli si scannano con i figli. Ma per Abramo e per Dio anche quello era suo figlio. Un po’ di deserto non gli potrà fare certo male –pensò. Aveva dei progetti anche per quel figlio illegittimo. Ora la confusione era proprio completa. Per un brevissimo attimo perse la sua calma divina: “Fate un po’ di silenzio. Se ognuno vuole dire la sua ecco che finisce tutto nel caos, cioè in una baraonda; Dio ce ne scampi. Bisogna mettere un po’ d’ordine per non trovarci nella confusione più completa. Poi è chiaro che si salta di palo in frasca e magari ci si dimentica di cose importanti”.
22. Il resto lo disse a sé ma il suo pensiero rimbombava come il tuono: “E’ così che nascono gli equivoci. Uno dice una cosa, Uno dice un’altra, e poi… alla fine magari anche Una dice la sua. Stiamo parlando della parola di Dio. Questa è la parola di Dio. E la parola di Dio poi diventa la Scrittura Divina. Questo dice questo, Quello dice quello, Qualcuno dice e non si sa, e poi finisce come finisce. Della storia di Isacco ne avevo già parlato, vecchio scimunito, non ricordo bene ma mi sembrava di aver detto abbacchio, non Isacco. E Lui, Abramo, lo chiamò agnello, e forse gatta ci cosa, o non aveva tutte le rotelle al posto giusto. Che poi… qualcuno qui non me la racconta giusta. Va bene che Io sono onnisciente ma magari ero indaffarato, o mi è stato riferito solo dopo, insomma… Onestamente: o il vecchio non la racconta giusta oppure… in realtà nessuno dei fratellastri mi sembra che somigli al padre. Non che sia un esperto ma sembrano figli di altri padri”.
Era pur vero che Lui poteva essere in cielo, in terra e in ogni luogo, vero verissimo, e anche Lui, e Lui, caspita che casino, e anche allo stesso tempo, ma se badava ad una cosa non poteva badare ad un’altra. Lui era Dio non quella cosa che aveva tante teste, lì. E poi se Lui aveva mandato i pellegrini chi aveva mandato gli angeli, e chi era andato di persona? Lei disse e non disse, com’era suo solito: “Perché non prendere esempio dai greci. Loro coniugano l’amore in molte più forme”… Nemmeno la lasciò finire, non voleva sentir parlare ancora degli dei: “Non parlarmi di quelli, incivili e… superati. Dei veri zotici. Bell’esempio. E poi… e poi… quelli sono politeisti, barbari bestemmiatori e… e… senza fede”. Sì! alla fine era dovuto andarci anche Lui per sistemare le cose. Che notte quella notte. A rileggere questa Sacra storia non era sorpreso meno del comune lettore. Si raccapezzava poco che nulla. A parlare tutti, cioè tanti e altri no, non poteva finire che così. E ancora una volta dovette pensarci Lui, sempre a Lui toccava, a mandare un angelo a fermare la mano di quel vecchio pazzo che aveva scambiato il figlio per un agnello e l’olocausto, cioè il sacrificio, per una grigliata all’aperto. Ma Lei gliel’aveva detto: “Devi smetterla di mettere continuamente alla prova quel vecchio rimbambito”.
Avrebbe voluto non essere Lui a dover dare quella notizia al povero vecchio. Certo un po’ d’invidia Abramo doveva pur averla provata. Lui con quella moglie giovane e bella e aveva dovuto aspettare, e poi lui era diventato padre senza nemmeno accorgersene. Mentre dormiva come un ciocco. Come morto. Di quel figlio, Isacco, di cui non andava nemmeno tanto fiero. E aveva rischiato anche di perderlo. Mentre suo fratello, sia fatto la gloria del Signore, Nacor aveva avuto dalla moglie Milca otto figli, non staremo qui ad elencarne tutti i nomi. E Persino la sua concubina Reuma lo aveva reso padre quattro volte. E questi erano solo quelli denunciati. Che nome era poi Reuma? ma dove l’avevano scovato? Lui si chiedeva cosa avevano trovato da dire all’anagrafe, quella massa di impiccioni, di quei nomi. Sospettò che alla fine l’avesse vinta Lei. Doveva proprio ricordarsene, quando aveva un attimo libero, prima o dopo, che avrebbe dovuto creare anche la racchia e la bisbetica. Di quelle donne non se ne poteva proprio più.
A dirla tutta se l’era vista arrivare con la sigaretta in bocca. Ma come? Decise che avrebbe fatto mettere anche nelle confezioni: “il fumo nuoce gravemente alla salute”. Sperando fosse solo tabacco. Ma quella era l’ultima delle sue preoccupazioni. E poi non aveva ancora deciso come organizzare le sue orde di fans. Certo che il vizio dilagava molto più che le virtù. Avrebbe dovuto inventarsi una soluzione. Magari la divisione dei generi, una specie di divisione dei compiti, di divisione del lavoro. Magari le donne di qua e gli uomini di là. Qualcosa insomma. Certo qualcuno prima o dopo troverà la scusa che un piccolo popolo circondato da nemici aveva bisogno di figli per poi mandarli in guerra, bella scoperta, ed ecco come giustificare …tutte quelle nascite… e quei continui casini. E tutti quei morti, che i morti non sono mai un bel vedere. In realtà a Lui sembrava che in quei momenti a tutto pensassero tranne che alla guerra. Era quasi certo che il piacere non l’avesse inventato Lui. Subito si alzò un coro di “Nemmeno Io”. Poi alla guerra ci pensavano per tutto il resto del giorno. Non li aveva fatti certo buoni. Ma non aveva nemmeno creato l’industria bellica, se era per quello. Erano fin troppe le cose… Parola di Dio.

Per la foto si ringrazia la pagina Facebook di Enrico Mazzucato

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fulmineNemmeno un attimo di tregua. Ancora si alzavano i fumi da Sodoma che già scorrevano i fiumi d’inchiostro. Ancora si piangevano i morti, i lutti e le assenze, ma anche i silenzi, che già rinasceva l’amore. Di questa specie di amore racconta ora la Sacra Storia. E di figli. Di figli anche di altri padri e d’altre madri. Tanti che i nomi generano enorme confusione. Ma nemmeno quando si acqueta la guerra e il re dorme, nemmeno allora, si stende in cielo e sulla terra la tranquillità. Genesi 19. Parola di Dio.

Mettete a letto i bambini. Ancora una volta, in questa puntata della Sacra Storia, ci sono cose che non possono sentire. Parole troppo dure per le loro tenere orecchie. Uomini che non amano le donne. Donne che amano gli uomini. E anche di peggio. Pasifae… No! lei no. Quel ch’è troppo storpia. Ma è bene ricordarlo per quelli altri, che si facevano chiamare dei. La carne come baratto, come commercio e come inganno. Purtroppo non è stata sconfitta la corruzione. Sono stati storpiati, sgozzati, sterminati, massacrati, fatti a pezzi e poi bruciati, molti peccatori, ditelo a quei figli, ma di empi resta ancora affollato il mondo. Certo una promessa è una promessa. E quella di Dio è ancora più promessa, ma Lui non avrebbe voluto vedere. E vederlo con i propri occhi. Deglutì a fatica. Se il gioco vale la candela avrebbe avuto bisogno di un’immensa quantità di candele. Perché non poteva essere come Tiresia e doveva vedere? Trovò da solo, subito, la risposta: perché Lui era Dio; Diobono! Ma Lei, dov’era finita? Quando non l’aveva sotto gli occhi aveva di che preoccuparsi. Dio gli disse: “Hai visto alla fine cosa hai combinato”? E Dio gli disse: “C’era da aspettarselo”. E Dio gli disse: “Non ho scritto certo io il capitolo 19”. E Dio aggiunse: “Solo un mucchietto di cenere”. E Dio rispose: “Vuoi vedere che va a finire che è solo colpa mia”? E Dio ribatté: “E di chi vuoi che sia”? E Dio: “Sai come son fatti gli uomini. Non sono che uomini”. E infine Dio Concluse: “E quando c’entrano le donne”… Ma a Lui nessuno dava retta. In tutta quella confusione finì per dimenticarsi di preoccuparsi di Lei. Era anche stanco di morti. Benvenuti in paradiso.
Benvenuti nel regno di Dio. Lui diventava irascibile quando gli uomini non l’ascoltavano. Qualche volta anche quando non capivano, o facevano a non capire. Lui aveva detto che tutti gli uomini erano fratelli; non che tutti gli uomini erano sorelle. E poi da dove veniva tanto rancore, e tanti ardore? Avrebbe lavorato in silenzio per scoprire chi aveva dotato l’uomo della bestemmia. E della brama. E pesino dell’adulterio. E persino dell’incesto; ma non era certo che si potesse proprio definire in quel modo. Anche il vocabolario avrebbe dovuto essere rivisto. E in tutta quella confusione di tutti quei vizi. Persino del vino. Voleva rimettere ordine nelle cose. Gliel’avrebbe fatto vedere Lui a Lei che diceva che era un gran disordinato. E a tutti gli altri Io. Allora i fatti erano andati così: Lot e le figlie, quelle figlie rifiutate che non avevano mai conosciuto uomo, fuggiaschi da Sodoma e poi da Soar, si erano stabiliti in una grotta in montagna. Il posto era umido, non certo accogliente, e lui, il re, era preoccupato per la moglie; temeva di ritrovarsi con un pugno di sale. Non era certo il posto dove portare due ragazze ancora giovani e piene di vita; questo va pur detto. Intorno pareva non esserci anima viva e il silenzio regnava ininterrottamente dal mattino al mattino successivo; giorno dopo giorno. Notti comprese. Le donne si occupavano di tutto e dovevano occuparsi anche del vecchio padre. Lui aveva imparato a fare solo il re, niente che potesse tornare utile. Era come se non ci fosse un uomo in casa. Nemmeno per le piccole cose, anche quelle più stupide. Parola del Signore.
Ora, cosa sognasse il re non è dato saperlo poiché nemmeno Dio può interpretare i sogni notturni. Forse Lei. Quei sogni vanno dove vogliono. Sono proprio bizzarri. Terreno delle più sfrenate e incontrollabili fantasie. Ramingano come senza senno. Sognava la povera moglie, quel re? Magari quand’era ancora giovane, e desiderabile? Le mogli degli altri? Gli altri? Sogni persino più licenziosi? Non si sa. Si sa solo che: certo il re era più sveglio che fosse stato sveglio. Non riponeva mai lo scettro, così pieno di sé e della sua arroganza. Forse, ma forse, solo meno vigile. E certo è anche che quel re doveva possedere un sonno ben pesante. Tanto da non restargli nemmeno l’energia per preoccuparsi del suo governo. Ma il sonno cancella anche le preoccupazioni. Con le fatiche del giorno. Con le preoccupazioni per quella pace e quella desolazione. Anche i re la notte dormono, più o meno, come tutti i mortali. Riposano. Almeno loro hanno un attimo di pace. Ma la notte è… birichina. Bisognerebbe essere sulla terra tutti come quello che dormiva con un occhio solo. Eppure nemmeno quello era servito. Certo che anche le figlie sono pezzi di cuore. Ma quelle due figlie, anche se non sapevano ancora delle cose della vita, erano anche dei gran pezzi di… figliole. Avesse potuto parlare la sua brava e paziente, l’attonita sposa, ne avrebbe avuto un gran mucchio di cose da dire. Non avrebbe voluto sentirla quella donna che lui chiamava solo donna perché nessuno gli aveva dato un nome. Invece per fortuna se ne stava zitta. Parola del Signore.
Ma le due ragazze erano preoccupate per il suo futuro, e anche per il loro. Che se ne fa il mondo di un re senza sudditi? In verità parevano preoccuparsi parecchio anche del loro presente. E si preoccupavano solo loro. Che se ne fa una ragazza senza nessuno che le spieghi, che la faccia diventar donna? Fu così che la maggiore, la più intraprendente, e intraprendente lo era, anche parecchio, chiamò vicino a sé la sorella e le disse: «Nostro padre è vecchio e non c’è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, come avviene dappertutto. Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così daremo vita a una discendenza da nostro padre». Alla più piccola la cosa non sembrò subito troppo opportuna. Pensò al decoro ma anche si domandò, allo stesso tempo, come aveva fatto a non pensarci lei. Pensò a quel “corichiamoci” e non le sembrò una parola esatta, cioè le sembrò e non le sembrò. Pensò a quel “corichiamoci” che voleva dire senza dire; e a tutto il resto. Lei era una ragazza; a volte faticava a tenere a freno la fantasia. Pensò a quel “corichiamoci” e poi a perché non prima lei, che era anche la più giovane, e la più bella, e dopo sua sorella. E perché lei dopo. Ma alla fine si convinse, anche velocemente, e acconsentì. Lei era una ragazza ragionevole e aiutò la sorella nel suo disegno ed entrambe esagerarono con il vino, nel colmare il bicchiere del padre. Fecero ad emularsi. Anzi la piccola era sempre con la brocca in mano; generosamente. Perché quelle due figlie erano pezzi di cuore ma anche due grandi zoc… due figlie molto affettuose. Anche troppo affettuose. Parola del Signore.
Per tutta la cena Lei, la piccola, era stata paziente, anche perché la maggiore non aveva mai smesso di farle da sentinella. Nemmeno aveva potuto allungare una mano che l’altra l’aveva fulminata con uno sguardo. Era solo per controllare; per accertarsi. Pura curiosità. Mica glielo portava via, il suo momento di gloria. E per vedere l’effetto del vino sul povero padre. Ma quella notte lei non dormì per niente bene né tranquilla. Le orecchie tese. L’attesa che pareva non finire mai. E aveva la testa piena di domande che non sapeva se poteva formulare. Ed era sola in mezzo a tutta quella confusione. Perché quella notte non ci fu solo il solito silenzio. Ma il re continuò a dormire di un sonno profondo che pareva morto. Doveva essere, data l’età, anche un po’ sordo. Non si può negare che la più piccola fosse impaziente il giorno seguente, e lo trascorse piena di curiosità e di agitazione. Le ore sembravano non finire mai. Gli armenti da custodire le davano noia; tutti i suoi doveri. L’orto, se quello si poteva chiamare orto. Benedetta ragazza; era con la testa altrove. Finché finalmente giunse l’imbrunire e apparecchiò la tavola per la cena. In verità si mise davanti a quel dovere ben prima del solito. E finalmente la più grande le disse: «Ecco, ieri io mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va’ tu a coricarti con lui; così daremo vita a una discendenza da nostro padre». Si domandò perché le dicesse quello che già sapeva. Avrebbe desiderato chiederle altri particolari. Non lo fece. Nella foga versò persino del vino fuori del calice del padre. L’altra la invitò a pazientare. Faceva presto lei a dire. Fortuna che Lot amava il vino ma non ne reggeva troppo l’effetto e dopo un po’, con uno sbadiglio, e un sospiro liberatorio di quella figlia, si alzò per andare a coricarsi; barcollante. Forse i re hanno un sonno diverso. Ancora una volta quel povero re non si accorse di nulla, né quando lei si infilò sotto le sue coperte, né quando abbandonò il talamo che già il sole cominciava a diradare le ombre della notte. Era stata una notte molto lunga e senza un attimo di silenzio, né di tregua. La piccola era sempre stata di indole ribelle e dispettosa. Parola del Signore.
Dio volse lo sguardo da un’altra parte e non volle sapere nulla di quella e delle notti successive e del consumo di vino. Fu Lei, curiosa, a tenerlo informato in seguito, anche se non nei minimi dettagli per non farlo inquietare. Ma Lui ebbe una riflessione degna di un Dio come Lui era: se quel sacrificio era costato a quelle pie donne tanta sofferenza e pena perché allora lo avevano portato tanto a lungo, e perché quelle loro grida che parevano più di giubilo e di gradimento. Non ci si raccapezzava; parola di Dio. Non ci si raccapezzava mai con le donne. A volte ha un prezzo immane la Gloria del Signore. Così presto fu evidente lo stato delle due figlie e il padre restò senza fiato. Fu da quella notte, o quelle notti, che la maggiore partorì Moab e la minore un figlio che volle chiamare Figlio del mio popolo. Già da allora ci si ingegnava ad inventarsi i nomi più bislacchi. Magari senza riflettere sulle conseguenze. Lui non ebbe nemmeno il tempo di lusingarsi. E qualcuno fu subito pronto a chiamare quella donna Moglie del popolo. Quella grotta ne vide di cose che cento occhi non potrebbero vedere e mille bocche non potrebbero raccontare. Il silenzio non fu più lo stesso e presto il bosco pullulò di vita. Dal figlio della più grande ne discesero i moabiti, da quello della più piccola gli Ammoniti. Mica si possono tramandare queste cose ai bambini; agli innocenti. Parola del Signore.
Pare ci fosse anche qualche bastardo, ma quello non generò nessun popolo e fu guardato con diffidenza e sgarbo. L’autore sostiene che qualcuno si sia lasciato andare anche a qualche libertà poetica. Il fatto è che allo sgomento di Dio si univa lo sgomento degli uomini, non è facile guardare con ironia cose tanto ignobili da sembrare un non-senso. Da essere da loro stesse scherno. Da parere sarcasmo. Lo scontro “filosofico” tra i tolleranti, cioè Lei, e i moralisti, cioè Lui, e Lui, e Lui, e tutti i Lui, divenne aspro. Non se ne veniva a capo. Lui La pregò di ritirarsi nelle sue stanze, ma Lei non aveva stanze. Né aveva la bontà dell’obbedienza. Non era grano facile da macinare. S’accorse solo allora: quella che indossava più che una tunica si poteva definire al massimo una maglietta. La copriva e non La copriva niente. Non è che quella Donna avesse inventato i costumi? E anche la costumanza? Caldo faceva caldo. Lei si allontanò con un’alzata di spalle. Lui la guardò attentamente allontanarsi. Gli parve di sentire un “Babbei!” ma non ne ebbe mai la certezza. Santa Pazienza.

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Le parole che dico non han forma né accento, si confondono spesso all’odore del vento.
Così il mondo conobbe ancora l’Ira divina e furono distrutte Sodoma e Gomorra, e le altre tre città che non si ricordava perché. Rimaste anonime. Ma tutto quanto detto è solo la pura Verità.

fulmineEccomi qua”.
In casi come quello della storia, se storia è, si trova sempre il primo fanfarone a ricordare che si sarebbero mangiati anche i piatti. Quello che crede che così si sono inventati la pizza. E poi anche la birra, per digerirla. Era proprio fame; altro che bazzecole. D’altronde se procreavano invece di seminare dopo non potevano dire che si trattava di siccità. Magari non tutti gli anni sono uguali, ma bisogna saper provvedere anche al futuro. E quelli veramente per procreare mica lo facevano. E questo diceva questo e quello diceva quello. Che mondo stava diventando quel mondo. Nessuno che si facesse i fatti proprio. Lui li aveva creati, quegli amici, perché gli facessero della compagnia, magari per un consiglio, o due chiacchiere. Mica per tutta quella confusione. Pazienza Lei. Ma adesso tutti pensavano di sapere tutto. Col fatto che se li era fatti come voleva, e uguali, cioè simili. Certo eccola. L’aveva vista arrivare. Sapeva che sarebbero state ancora rogne. Mica faceva il guardiano di pecore. Mica stava lì a controllare quello che gli altri facevano. Che poi aveva il dubbio che quelli li avessero creati proprio loro, begli amici. Che ora si lavavano la bocca. Si toglievano dalle spese. Gli scaricavano tutto addosso.
E poi c’è un tempo per ogni cosa. Lui c’era da sempre e ci sarebbe stato sempre, ma sai l’affollamento. Finiva che nella città non si sarebbe proprio più potuto girare. Insomma se una cosa inizia deve anche, prima o dopo, finire. Come ogni storia che si rispetti. Certo che a invecchiare non fa piacere a nessuno. Ma nemmeno a essere giovani è uno status che non ha controindicazioni. Uno da giovane, c’è poco da dire, gli manca quella, l’esperienza. Bisogna pure scottarsi per saper stare alla larga dal fuoco. Intanto le fiamme di quelle città dannate ardevano ancora contro il cielo. Che splendida immagine da film. Solo un rammarico: peccato che nessuno, nemmeno Lui, avesse ancora pensato ad inventare il cinema.
Sarebbe stata un’inquadratura epocale. Bastava un piano sequenza, al limite un fermo immagine. Non servivano nemmeno le parole. Altro che la caccia alle streghe. Altro che il medio evo. Certo che se l’erano cercata. Un poco di pudore. Un po’ di intimità. Sempre a fare e dire. Un bel silenzio è pur sempre la migliore delle soluzioni. Si può sempre chiudere un occhio. Perché per vedere Lui vedeva. E ci vedeva ancora bene. E vedeva proprio tutti. Anche certe cose che avrebbe preferito… E poi erano angeli; mica… Insomma chi vuole intende. Un po’ era stata Lei a istigarlo. Cos’hanno loro che io… in fondo non aveva tutti i torni. E Lei… come donna gli era proprio anche riuscita bene. Bene era dire poco. Non fosse stato per il carattere. Solo che l’aveva fatta per fargli compagnia. Non in quel senso. Semplicemente compagnia. No! decisamente non aveva un carattere facile. Quale donna lo ha. Anzi aveva un brutto carattere. Ma di te… cioè davanti era messa meglio. Certo che qualsiasi cosa Lui facesse era subito sulla bocca di tutti. Va bene che Lui era Lui. Va bene che Lei era solo un’amica e immaginaria, ma le cose che immaginava avevano una loro presenza, carne vera. E non c’era niente di più vero delle sue forme, per di più sode. Non s’era ancora mai vista una donna come Lei. E lasciamo andare i discorsi sulle coppie di fatto. Erano solo amici. Certo che anche come amica era invadente non poco. Col suo sano realismo, come lo chiamava Lei; il suo pragmatismo. Ma cosa vuol dire pragmatismo?
Vivi e lascia vivere. Ma Lui era dio, mica poteva far finta di niente. Che poi c’erano quelli che già andavano a strombazzare ai quattro venti ogni suo sospiro. Cosa avrebbero detto? In fondo aveva Lui la responsabilità degli angeli. E della loro incolumità. Poteva anche essere vero che era meglio un poca di sana tolleranza di tutto quel disastro, ma era certo che avrebbero detto che si stava rammollendo perché era vecchio. Ci mancherebbe che uno è uomo e fa la donna quando gli salta a lui. O meglio ancora che pretenda che altri uomini facciano le donne. Anche quando magari non gli va. Meglio era che non si mettesse strane idee in testa, quella. Né quella né altre. Anche l’estetica ha bisogno della sua etica. E in tutto quel bailamme un po’ di ordine non poteva che fare bene. E poi cosa sono cinque città davanti a tutto l’universo? Sì! perché cinque erano, mica due sole. Cosa vuol dire?
Non faceva comunque bello tutto quel fumo. E quel disastro di rovine. Quel disordine. Si poteva comunque distrarsi, dire quello che si voleva. Se invece c’era Lei neanche a pensarci. Bisognava stare attenti ad ogni parola. Poi non l’avesse fatto li avrebbe sentiti. Era certo. Subito a dire che non aveva più autorità. Che si stava rammollendo. Ora che l’aveva fatto tutti a criticare. Figurarsi. Che Lui non ne era del tutto convinto. E quelli a dire che aveva esagerato. Che in fondo. In fondo un corno. Così era stato. Come in un incubo. Ecco! C’era da immaginarselo. Sul più bello arriva Lei. Con Lei tutto tornava difficile. Anche se stava solo a parlare. Eppure doveva essere proprio Lei, proprio Lei a saperlo. In fondo non né era stata forse, anche se indirettamente, e senza volerlo, Lei la causa? E’ troppo facile dopo dar la colpa agli altri.
Mi sembra impossibile eppure sembra possibile. Non lo avrei mai creduto ma lo vedo. E proprio con questi miei occhi. E anche bene. Tanto da non crederlo. E sembra anche che… ma a me… a me no… preferisco parlarci. Non è quella città la mia città. Credo che le vacanze andrò a farle altrove. Ora scusami”.
Cos’era tutta quella frenesia? Tutti come quelli che dicevano “famolo strano”. Quello avrebbero dovuto proiettarlo in seconda serata. Quando i bambini sono a letto. E’ normale che poi ci sia quello curioso. E quello con spirito di emulazione. E quell’altro. Tanta era la meraviglia di Lei che la voce s’era fatta un sussurro. Lo volesse il cielo (naturalmente si fa per dire). Così non era né un no né un sì. Non sembrava né carne né pesce. Ma anche Lui era rimasto meravigliato. Non poteva dire di no; negarlo. Non se l’era immaginato. Certo che gli uomini eppure li aveva fatti Lui. Ma non gli erano usciti proprio come li aveva pensati. E non aveva ancora deciso, qualunque cosa dicessero. Questo mica lo dicono quelli che dicono anche troppo. Che ora lo fanno sembrare fin troppo buono. E talora troppo cattivo. Che poi nessuno deve essere sempre uguale. E obbligato a esserlo. Anzi Lui era il meno uguale. Non aveva forse creato Lui il creato? E tutto. Allora doveva essere stato sempre Lui a creare l’amore, cioè loro. Se ne stava dimenticando. La colpa non era solo sua ma di tutti loro. Non è forse l’amore l’inizio della vita? Era confuso.
Era del tutto probabile, stando a ciò, che avesse creato anche il piacere. Cioè tutti i piaceri. Che anche la passione fosse piacere era un ben strano piacere. Ma non poteva negare, con assoluta certezza, lo fosse. Quando c’era Lei anche Lui sentiva un qualcosa. Non certo paragonabile a quello degli umani. Lui era pur sempre Lui. Ma pur sempre un qualcosa. Ma tutto ha un limite. E non sopportava quel suo sorriso. Cioè quelle sue risatine. Cioè da parte di Lei. Che poi era meglio così perché a Lui non piaceva, davanti alla sua autorità, che Gli fossero date le spalle. Che poi aveva fatto tutto Lei. Non Le aveva chiesto nulla. Figurarsi. Mica per mancanza di coraggio. Figurarsi. Non ci aveva pensato. E poi non li aveva fatti così per quello. Fosse stato uomo, cioè con tutto quello che ci vuole a essere umani, l’amore l’avrebbe fatto come si fa all’amore. Cosa c’entrava Lei? Cioè in ogni modo. In ogni caso. Anche senza pensare a Lei. Per lui l’amore andava fatto come si fa all’amore. Comunque.
La scoprì anche accendersi una sigaretta. Quella stava creando proprio tutti i vizi. Si fosse limitata a guardare altrove. Sempre così impicciona. Aveva il dubbio, dopo, di averle fatte tutte, le donne, come Lei, impiccione. Magari erano state proprio loro; le donne. A incitare tutti. A creare quel gran putiferio. Se l’erano inventata loro l’Ira di dio? O forse erano solo delle gran gelose. Non ci capiva niente. Che poi Lui si sentiva male. Certo era solo un momento. Ogni volta. Arrabbiarsi lo faceva sentire male. Gli prendeva un coccolone. Ma figurarsi se Lui ci pensava. Se non lo avesse detto Lei non ci avrebbe nemmeno pensato. E ora tutta la colpa la davano a Lui, ovvero a Loro. Perché ormai nessuno poteva chiamarsi fuori. Guardassero loro stessi che a raccontarlo avevano fatto diventare la Bibbia come il Kamasutra. Un libro da non dare in mano a quel bambino. Un libro poco educativo. A luci rosse. E sospettava persino che ancora non ci sarebbe stata pace per Lot.

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