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Archive for aprile 2010

N.B. Forse serve a meno che poco ricordarlo ma è un po’ che riciclo questo materiale vecchio, per pigrizia e allora, ma per evitare le solite domande imbarazzate, tanto vale tornare a precisarlo. Tempo fa, circa un paio d’anni, forse tre, un amico mi chiese di collaborare al suo sito rivista (più volte citato e oggi morto) con una serie di racconti. Scrissi allora questi raccontini chiamandoli Profili. Erano volutamente brevi, e in alcuni casi, soprattutto inizialmente, brevissimi, per una sorta di polemica: dimostrare che si può dire qualcosa anche in poche righe. C’era anche un altro scopo: pensare al mezzo. Ritenevo, allora, che un buon post dovesse comunque essere contenuto in una schermata. In seguito, spesso, ho badato più al divertimento mio, ovvero al gusto che mi da giocare a scrivere, che a relazionarmi al mezzo, in questo caso informatico. A quel tempo inviai all’amico questi raccontini, circa duecentocinquanta, qualcuno in più, ovvero il lavoro di circa un mese delle mie ore libere, affinché potesse scegliere. Poi, per vicissitudini umane, cioè caratteriali, ne sono stati pubblicati meno di una decina prima che smettessimo di collaborare. Loro, i Profili, sono rimasti nel cassetto e allora, quando è più forte la pigrizia, ovvero qualche volta, o sono distratto d’altro, quasi sempre, come la brama di vivere, riciclo quel materiale. Tutto questo per dire che scelsi di usare il meno possibile questo blog come un diario elettronico, pur evitando di parlare generalmente di politica o attualità. Volevo e amo parlarmi addosso. Resta il fatto che niente, o quasi, di quello che allora scrissi, e oggi pubblico sotto il titolo di Profili, ha riferimenti con la mia vita personale, almeno diretti. Sono solo e semplicemente racconti partoriti da una fantasia forse malata.

Da quando il suo povero Giorgio se n’era andato nessuno aveva potuto occupare il suo posto a tavola. Lei aveva continuato ad apparecchiare anche per lui sul lato corto perché sapeva che sarebbe tornato nonostante gli occhi di compatimento dei figli e/o dei parenti quando la venivano a trovare e si fermavano per mangiare. Quando additavano verso quella vuota attesa lo facevano come per un rimprovero ma avevano smesso, per stanchezza, di rinfacciarglielo. Lei doveva ammettere di non aver mai voluto dar a nessuno alcuna spiegazione né tanto meno circa la sua certezza.
Quando Giorgio tornò era sola in casa ma non le interessava dimostrare quanto avesse avuto ragione o che le venisse riconosciuto alcunché. Aveva preparato il ragù come piaceva a lui e le bastava vederlo lì, al suo posto.

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quadro informale in tecnica mista

25 aprile; tecnica mista su cartone telato 20*25 (25.04.2010)

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Tu pensi che io sia stupida? Tu credi proprio che io sia stupida? Li conosco quelli come te. Le dici… poi le cambi… con il momento… nemmeno so perché ancora lo faccio… Forse per lui. O perché mi mette ancora una mano… Poi torni… cara di qua… dolce di là. Non ho niente e te la ridi, magari. Proprio come… vieni qui, credi… un albergo. Quante volte l’ho detto. In quante l’avremmo fatto. Poi viene il momento… e non resta altro. Non rimane nemmeno una ragione. Non resta nemmeno la voglia… la voglia di litigare”.
Non aveva mai afferrato il senso e il perché di quella sfuriata.

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Erano lì da un po’ senza dir nulla. Non che non né avessero motivo, o argomenti. Semplicemente gli mancavano le parole. Tutto sembrava così privo di importanza. Lui invidiava quelli che sapevano ogni cosa di sé. Lei pensava che in fondo tutto era uguale. Anche le loro storie erano solo piccole storie; pettegolezzi di provincia.

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Io ho avuto ventisette… storie. Ti sembran tante? A me… certi giorni sì, certi giorni no. A volte mi sento stanca, altre so di non sapere ancora niente. Eppure… comunque… E ogni volta è come quella volta. La stessa emozione. Almeno così mi pare. Sai?… le gambe molli. La stessa irrequietezza. O forse è solo curiosità. E ogni volta sembra l’ultima; quella buona. O mi illudo. E poi”…
L’aveva già sentita quella storia. Innumerevoli volte. Avrebbe voluto esserne esentato. Donne che si raccontano dell’amore. Che si illudono perché vogliono illudersi. Forse inseguendo una certezza. Forse solo una giustificazione. Quello che gli altri dicono. Quello che potrebbero dire. Questa volta però non seppe tacere. Lo aveva in cuore e gli arrivò in bocca: “E io cosa sono”?
Forse ci voglio credere. Forse mi voglio illudere. Comunque… Credo che tu sia… credo proprio che tu sia il sette. Ma potrei anche sbagliarmi. Cosa cambia? Anche con te… Cioè… Che ne so. Vorrei saperlo anch’io. Ma cosa centra? E poi… stupido! tu sei un amico. Con te è diverso. E’ sempre stato diverso. Sei come un fratello. A volte mi sembra che siamo… come dire? perversi. Ora lasciami preparare. Non vorrei che arrivasse e ci trovasse ancora qua”.

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Venezia è morta

Basta che ti va su na riva in canaglaso, te par da esser da popa de na nave. Beh! na nave? insoma… na peata parché Venesia non ga mai furia. Invese se vodi ma parè tutti insemenii. No se come nialtri o i nostri veci o i veci dei nostri veci o i nostri barba. Gavè storie de caigo e gle scarpie sui oci.
Se come foresti nati qua co quea ingua pastrociada; co provè a parlar el venesian gavè soni redicoi che par che ne toè in giro e putei non ghe ne più, sconti come e pentegane o scampai inmatonii drio un pifero
”.
Che cosa c’entra papà”?
Ma gavè mai visto Strigheta? O Ciaci? O l’aqua alta del sesantasie”?

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Un ritorno

Michele era tornato per Venezia, per lavoro. Erano anni che le cose lo tenevano distante ma la riconobbe subito. Nulla vi era di cambiato perché Venezia non cambia eppure… erano le persone. Non le persone in quanto persone ma un che di indefinibile, si muovevano in modo differente; insomma… come fossero una razza diversa, non appartenevano più a quella città. Improvvisamente se ne rese conto e si sentì estraneo, turista, melanconico, come se gli anni fossero diventati troppi e la distanza si fosse enormemente dilatata. Il volto che specchiava l’acqua gli parve quello cieco di fantasma e galleggiava triste.

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Lo so che se lo posto poi qualcuno mi dirà che… “ma non sono tutte così.” e i più mi accuseranno di un atteggiamento “critico” verso l’altra metà del cielo se non proprio come sostenitore di falsi luoghi comuni, ma cribbio, questo è il mio blog, e anche fuori sono abituato a dire quello che penso senza mettere troppo in conto le conseguenze. Inoltre sono sollecitato dal resoconto che a chiosarlo pare un vademecun e personalmente mi è risuccesso proprio ieri. Per ultimo non dimentichiamo che alla mia tenera età ne ho passata la maggior parte vicino a donne e l’aneddotica sarebbe sterminata. Io non ho sempre portato l’orologio al polso, ma spesso mi son chiesto se le mie compagne pensavano che potesse servir loro a qualcosa oltre che quale ornamento. Alla prima obiezione potrei rispondere che ho visto persino interrogarlo, l’orologio, sperando, quando non pretendendo, che andasse contro il tempo: “Che dici, riesco ad arrivare per mezzora fa”? Nonché che sono vittima di una serie interminabile di attese, ovvero che ho passato la maggior parte dei miei giorni a guardare là in fondo in attesa di qualcuna che avrebbe già dovuto essere arrivata.

Allora, per non essere tacciato da fallocrate, non parlo genericamente delle donne ma solo di Lei e con Lei di tutte le mie ex compagne e di tutte le mie amiche e le donne che ho avuto modo di incontrare e/o frequentare. Torniamo a ieri quando mi ha detto la solita frase allarmante: “Dammi dieci minuti e faccio in un attimo”. Beninteso si doveva preparare per uscire come se ci fosse in lei qualcosa che non andava o da sistemare. Per questo strano rapporto che riescono ad avere le donne con il tempo in quei dieci minuti Lei riceve una o più telefonate (dimenticavo quanto ci sarebbe da dire sul loro amore per le parole soprattutto per quelle al telefono). Lei torna tutta allegra dopo i “suoi” dieci minuti ed in quei dieci minuti è riuscita a cambiarsi col risultato che, se non ne fossi stato messo al corrente, non avrei saputo notare nessun mutamento. Sempre in quei dieci minuti è riuscita a stare almeno due ore al telefono, spero non con la stessa vittima. Nello stesso tempo sono andato allarmato a cercarla trovandola in tranquilla conversazione. Avevo all’altro capo Sandra all’armata non vedendoci arrivare: “Il pranzo di sta freddando”.
Avevo, cellulare in mano, tutte le intenzioni di chiederLe una previsione mentre l’altra aspettava anche al telefono, ma dovevo essere al momento trasparente in quanto Lei non riusciva proprio a vedermi. Me ne sono andato in salotto trovando una qualche tranquillità nella lettura della pagina della cultura sul quotidiano. Ora so tutto della trans-avanguardia e naturalmente Lei è tornata mettendomi fretta. Alle mie rimostranze per quel fatto della trasparenza, “se disturbo potresti almeno chiedermene la ragione”, mi ha spiegato che no! mi aveva pur visto e ha aggiunto, come di consuetudine, che la mia presenza, seppur fastidiosa, non l’aveva allarmata perché aveva previsto di sbrigarsi più in fretta. Sono riuscito a scoppiare a ridere allegro mentre la sua faccia mostrava la meraviglia di chi guarda uno improvvisamente impazzito.
Naturalmente Sandra si era arresa e nel frattempo aveva abbassato impaziente il ricevitore. E per tutto quanto raccontato che siamo arrivati con i nostri consueti dieci minuti di ritardo per la cena armati (Lei) delle scuse più improbabile compresa quella del parcheggio escogitata anche dell’amica che resoconta la pizza dove quando per lei stavano passando sei minuti (che di per se non fa nemmeno record) per tutti gli altri partecipanti ne passavano ben più di venti. Ho avuto bisogno, io, persona sempre di corsa e sempre ansiosa, di tutti questi anni di allenamento per giungere alla conclusione che oggi come oggi non mi sorprende più nulla, resto solo ancora sbigottito dalle giustificazioni che hanno la fervida fantasia dei migliori costruttori di favole. Eppure, sia detto per inciso, io amo le donne perché la loro presenza non lascia all’uomo il tempo per annoiarsi.

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Siamo nella rete, questo universo infinito affollato di strani soggetti: i blogger. Definirli è impresa che richiederebbe molto tempo. In fondo si somigliano l’un l’altro, ma è difficile confonderli. Hanno sentimenti eppure non hanno corpo. Vivono aggrappati disperatamente alla vita, ma sanno morire con leggerezza e senza dare disturbo. Vanno e vengono con estrema disinvoltura come se non pesasse loro alcun passato, ma nemmeno un vero presente. Insomma, come sempre, divago. Parlare di niente è forse la cosa che mi riesce meglio. Allora ero passato per buttare semplicemente uno sguardo, sono ancora qui. Poi ho incontrato persone che non avrei conosciuto mai. Altre le ho proprio viste e toccate, e assicuro che erano vere, di carne e d’ossa. Con altre ancora s’è diradata la frequentazione o ci siamo completamente persi. In fondo è così che si srotola anche la vita. Tra gli amici degli inizi vorrei palpare alcune novità.
Ultimamente la pigrizia mi rincorre eppure ho qualche piccola giustificazione. Più che in ritardo è che non avevo capito; e questo post lo sto scrivendo ieri. Si è ormai chiusa quella che allora, si era nel lontano marzo del 2008, come passa il tempo, era una avventura: il sito rivista. Se mi interrogo me ne dispiace come di ogni cosa che smette; inoltre la trovavo una buona idea; difficile da realizzare ma buona. Succede spesso e spesso, qui, succede nel silenzio. Semplicemente uno se ne va, non aggiorna le pagine, all’ultimo indirizzo noto si continua a trovare lo stesso ultimo post o sparisce il blog. In questo caso in realtà non finisce niente: si chiude per iniziare con un’altra avventura. Che dire? Non mi resta, qui, che augurare all’amico i migliori auguri per questa nuova esperienza che inizia e che è molto sua. In fondo non posso molto di più che segnalare questa novità. Forse sta meglio solo: auguri ancora.
Da un’altra parte la mia blogger preferita si attarda nel compiacersi. Non manca mai ma mi sembra che passi più tempo davanti allo specchio che davanti al monitor. Le sue righe si riempiono di cipria. Non credo sia solo giustificata vanità femminile ma queste sono solo mie riflessioni (dovrei tornare indietro per mettere la virgola prima del ma); borbottii di un vecchio pedante. Non c’è un giorno uguale ad un altro. In questo ultimo anno ho parlato fin troppo di me. Anche a lei mando i miei auguri perché sono egoista e spero ritrovi alcune rubriche e una certa verve che mi era cara. Forse semplicemente sono abitudinario e con questa scusa anche oggi ho riempito lo spazio del mio blog senza dover ricorrere, come mi succede ormai quasi sempre, a saccheggiare vecchie pagine che erano state scritte allora per l’amico di cui sopra. Ogni pretesto è buono.

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L’affetto che aveva per lei gli aveva impedito, fino a quel momento, di vedere quanto era carina. Glielo aveva fatto notare Alberto che non doveva essere poi stupido come lui aveva sempre creduto. Si! s’era fatta proprio carina ma pensare a lei come donna gli sembrava di sminuirla e di offenderla.
Lei si chiedeva perché e non capiva quella sua distaccata e arrogante superficialità. Si sentiva sicura vicino a lui ma ne aveva fin troppo di quelle sue attenzioni protettive. Ecchecavolo… anzi… proprio… ecchecazzo! che aveva che non andava. Dalle labbra le uscì il nome e subito scordò tutto quello che gli avrebbe voluto dire. S’era costretta su quei tacchi e solo divampò di un rossore improvviso che lui non conosceva.

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