Il loro era un paesino di montagna, anzi era il paesino di montagna, così incastrato fra alte cime che mantenevano una leggera sfarinata bianca fin quasi alla fine dell’estate. Non molto frequentato perché erano molto chiusi e non sapevano vendere le loro meraviglie e attrezzarsi per la promozione turistica. Era una piccola cosa, un piccolo gioiello. Una piccola chiesetta. Una serie di straduncole doverosamente in salita. Un solo albergo nemmeno tanto ospitale. Mari di prati che facevano le fusa al sole appena mossi da un’eterna leggere brezza. Boschi immensi di abeti ritti come tanti soldati che vigilano dall’epoca dei tempi. Le facce sempre le stesse e un poco tutte uguali: facce scavate dal tempo nella roccia. Ermete era stato l’ultimo arrivato e dal suo insediamento erano passati almeno venti anni. Ormai era prossimo a vedersi riconosciuto il diritto di procurarsi la legna da quegli abeti, anche se in un bosco che si raggiungeva in non meno di due ore. Ormai lo chiamavano, quasi tutti, Titta.
Anche i giovani del posto diventavano velocemente vecchi e non cercavano tante distrazioni, ma Sante no. Sante, detto Vanni, era nato lì ed aveva sempre abitato lì ed era anche lui di poche parole e molti fatti. Aveva un età che nessuno avrebbe saputo dire e quella pelle che pareva cuoio e due mani che parevano due pale, ma, in qualche modo, era differente dagli altri. Fin da piccolo era un bambino che aveva l’argento vivo addosso. Non riusciva a stare fermo. Non era mai contento. Con quegli occhi di un azzurro allarmante era curioso di tutto e di tutti. Sembrava quasi destinato ad essere eternamente insoddisfatto. Quasi come se qualcosa, come una molla, lo spingesse verso domande che gli altri suoi paesani non si ponevano. E poi lui leggeva.
Mica qualche volta. Si portava sempre dietro un libro. Un libro e una matita e un quaderno. Leggeva, guardava e disegnava quello che vedeva o quello che gli ballonzolava per quella sua testa malata, ma il libro c’era sempre. A volte lo stesso. A volte uno nuovo. Quando stava con le capre si portava un libro. Quando andava per sentieri si poteva essere certi che lo avesse nello zaino. Appena arrivava ad un rifugio, una baita, un posto al sole dove sapeva che lo aspettava un sasso e che era tempo di pausa, si metteva comodo, mangiava un boccone e apriva le pagine del libro. Qualcuno aveva anche pensato che fosse una sorta di malattia o maledizione. Non era tipo da preoccuparsi delle chiacchiere. Poi a sera, tornato dal suo eterno girovagare, sporco e sudato com’era, raggiungeva gli altri, e con l’eterna sigaretta in bocca e un buon bicchiere davanti, dividevano la compagnia dei loro silenzi. A volte sembrava persino non esserci, che la sua vita fosse là, dentro quel libro. A volte, anche se di rado, per un attimo diventava ciarliero. Se ne usciva con certi ragionamenti imbrogliati da capire e parlava di storie di persone che nessuno aveva mai conosciuto al paese. A volte Piera, da dietro il banco, con tuono affettuoso, si prendeva un po’ gioco di lui: “Occhi azzurri! Dove sei stato a finire oggi”?
Poi, Vanni, aveva preso a scolpire. Anche i più scettici e quelli che trovavano inutile quel suo affaccendarsi dovettero ammettere che le sue forti mani sembravano fatte per quello. Volavano come rondini intorno alla materia e alla fine non si poteva che restare stupiti: il risultato era tale e quale l’originale. Sin dalla prima sua opera a Giselda, la sua vacca, sembrava mancasse solo il dono del fiato per poter muggire; a stento le si distingueva. Fu così che si fece un nome in tutta la vallata e anche nei dintorni e ancora più in là, Sante De Zuin detto Vanni, e grazie a quello cominciò a girare. Fu grazie a quello o per colpa di quello che divenne Vanni il vagabondo. Presero a chiamarlo da ogni dove e ad ogni piè sospinto. Era come se tutti, anche ogni piccolo borgo, non volessero rinunciare ad avere nella piazza o nell’antro del municipio una sua opera che ricordasse alla memoria qualcosa, persona o fatto.
Fu nel millenovecentosettantadue che fu chiamato dal sindaco di un paesino di cui, per la privacy, riteniamo opportuno tacere il nome. Anni grami quelli ma lui, Vanni, non si era mai interessato di quelle cose di cui parlano quelli che sembrano voler mettere ordine anche nel mondo. Che poi per un giorno si litigavano ma il giorno dopo facevano a pace e sembrava che nemmeno loro riuscissero a prendersi sul serio. Lui si limitò a mettere a disposizione le sue mani e il dono delle sue capacità. Nella ricorrenza della seconda nomina del primo cittadino fu inaugurato un busto fatto con la stessa materia di cui era fatto il loro paesaggio: il ghiaccio. L’opera era incredibile, aveva gli stessi occhi fieri e la stessa aria bonaria. E fu fatto tutto proprio come si deve, in pompa magna, con la banda e persino le majorette con gambe, velate nel nailon, tanto lunghe come i tronchi degli abeti che, forse per il contrasto cromatico con la neve o per la temperatura rigida che fumava il fiato, parevano ancora più lunghe.
Strinse una nazionale tra le labbra e se lo stette a guardare e più lo guardava e più Vanni era orgoglioso di sé. E poi la sera, ma forse questo si dovrebbe evitare di riportarlo, si racconta che se la spassò con una di quelle con le gambe lunghe e sode (per non parlare delle tette).
Solo che in nottata, mentre lui, come detto, era così distratto, e Vanni era un uomo energico e pareva avere anche delle riserve di energie, salì un vento caldo di valle che avrebbe sciolto anche un cuore di pietra. Fuori il vento e dentro la ragazza, niente poteva restare come prima. Il mattino il busto orgoglioso era ridotto ad una piccola pozza; semplicemente a fanghiglia. Certo son cose che capitano ma nessuno poté farci caso. La notte stava appena iniziando e gli amanti non avevano ancora raggiunto le lenzuola che i carabinieri avevano bussato alla porta del sindaco. Pare si fosse venduto il Ghiacciaio dello Specchio per intero, a un emiro di una terra di sabbia arsa sahariana che pare volesse usarlo per aprire una rivendita di ghiaccioli, e pare che il ghiacciaio non fosse nemmeno del tutto suo. Si vedrà come andrà il processo perché si sanno come vanno queste cose, ma Vanni sta aspettando ancora i soldi per il suo lavoro e ora gira con Lucio e gli insegna la sua arte.
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