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Archive for giugno 2010

Fatto locale

Non l’avessi sentito proprio con le mie orecchie… Era un uomo avanti con gli anni, tanto che questi lo piegavano, vestito modestamente, ma di quelle genti ed età in cui si fa del non ostentare un modo di vita, pure aveva occhi ancora vivaci, pieni di lampi. Accompagnava una sorella quasi incapace di vivere e lo disse con orgoglio e furbizia: lui aveva un hobby anzi una vera e propria passione: i supermercati. Gli occhi vivaci ne erano compiutamente affascinati. Pensai che non ne avrei sentito parlare più e invece mi sbagliavo. Non più di quattro righe nella pagina della cronaca locale. Era riuscito, non si sapeva come, a lasciarsi chiudere dentro e per tutta la notte aveva continuato a girare tra gli scaffali. Non è da escludere nemmeno che più semplicemente fosse rimasto sbadatamente imprigionato alla chiusura perché là notte lì mica era come il giorno, era solo un gioco d’ombre e di silenzi. Lo trovarono il mattino abbracciato ad una pila di barattoli di pelati. Gli occhi sgranati. Non si capiva se avevano del terrore o una estrema meraviglia; quegli occhi. Non era più in grado di dare alcuna spiegazione.

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Dopo venticinque anni di matrimonio i loro rapporti si erano, per così dire, intiepiditi. Non prestava certo molte attenzioni nei confronti della moglie. Qualche volta lei si era lagnata di questo. Sarebbe bastato poco, qualche gesto carino.
Per essere onesti lo aiutava nel suo lavoro e lui gliene era molto riconoscente, apprezzava quel suo aiuto divenuto col tempo insostituibile. Questo glielo riconosceva ad ogni momento. Si poteva dire che aveva ormai preso completamente in mano l’azienda. Era sempre stata energica e volitiva, ma forse con il tempo lo era diventata ancora più.
Anche il suo camminare aveva un incedere militaresco. Ed era da tanto che non la guardava ormai più, come donna. Ma si sa che con l’abitudine si stempera e poi muore inavvertitamente ogni magia, anche quella malia dei primi tempi; se mai c’era stata. Eppure, a pensarci bene, aveva un gran bel corpo allora. E ancora oggi, sotto gli abiti, sembrava non temere troppo l’età.
Il fatto era che forse si sentiva anche un poco intimidito da lei, sempre così decisa, sempre così sicura. Non ricordava da quanto tempo aveva accorciato i capelli e ora aveva un taglio molto corto, cortissimo; molto maschile. Chissà per quale sorta di curiosità osservò sua moglie mentre camminava, come sempre frettolosamente, di spalle? Aveva ancora un bel culo.
A volte le cose succedono senza annunciarsi prima. Ricominciò a osservare quella donna che durante gli ultimi anni, con lui distratto, gli era stata tanto vicina e tanto lontana. Aveva certo ancora una bella figura per una donna di quarantacinque anni e più. In tuta coi pantaloncini corti aveva ancora belle gambe, forse addirittura le stesse gambe.
Ormai lei non aveva più tempo per loro: il mattino partiva prima e la sera rincasava più tardi. Non che si sentisse colpevole, forse solo un po’ inutile e vuoto. Notò controluce che una leggera peluria le segnava il volto; un impressione avvertibile solo in controluce. Sopra le labbra sembrava avere dei baffi, ma è una cosa di molte donne, forse dipende dalla forma del naso e dall’ombra che proietta.
Qualcosa certo era cambiato: i tratti si erano fatti leggermente più duri. Lei con gonne (poteva ancora portarle corte senza sfiorare il ridicolo) o pantaloni vestiva sempre in giacca. Questo le allargava le già larghe spalle. Cercò di riavvicinarla, una sera, infondo avevano vissuto tanto assieme, ma lei trovò una giustificazione rapida.
Quando rientrò lui aveva già cenato e stava davanti alla televisione. Gli propose di prendersi entrambi qualche giorno di riposo, tanto il lavoro sarebbe certamente andato avanti lo stesso. Lo disse distrattamente ma aggiunse che sarebbe stato bello stare ancora assieme; assieme come una volta. Scordare per un po’ tutti gli appuntamenti, gli impegni, le rogne. Senza fretta e senza figli, tanto anche loro ormai erano grandi e avrebbero saputo badare per un po’ a sé stessi.
Forse andare in qualche parte. Fare un viaggietto. Disse anche che forse si sentiva un poco colpevole nei suoi confronti, si! che forse ultimamente l’aveva trascurata. Lo disse anche se non lo pensava, ma la cosa suonava carina. E continuò a guardare la televisione.
Lei rispose che quella settimana non sarebbe stato certamente possibile ma che ci avrebbe pensato. Sembrava non aver preso la cosa troppo sul serio; a lui questo bastava. Invece organizzò tutto, si liberò e partirono di pomeriggio e lei parlò durante tutto il viaggio dell’ufficio ma arrivati si ritrovarono soli; completamente soli.
La casa era vuota. Fuori era meno freddo di quanto avesse potuto immaginare. Quant’era che non avevano un minuto per stare da soli? Ora notava maggiormente certi cambiamenti, si era molto irrobustita. Ma non poteva dire che si fosse appesantita, questo no. Ma poi neanche lui doveva essere quello dei primi anni. E poi una moglie è una moglie.
Aveva disfatto le valigie, vuotato le borse e riposto tutto; e preparato da mangiare. Lei si era occupata a controllare alcuni conti giurando che per tutta una settimana sarebbero stati gli ultimi. Ma ora che erano veramente soli nella casa in montagna era un poco preoccupato e aveva una certa repulsione ma era stato lui a provocare la cosa. La baciò pensando che non era poi un grande sacrificio e che era ingiusto con lei. Quanti uomini avrebbero voluto avere a quarantacinque anni una donna così? Pensò mentre lei cercava di essere carina ma non aveva molte lusinghe.
Si erano tenuti per mano e dopo cena era stata lei a trascinarlo a letto lasciando i piatti da lavare. Ma aveva dovuto pazientare il tempo di una doccia e finché non finì di sbarbarsi. Quanto tempo era con non facevano più all’amore? forse mesi; e forse di più. Lei aveva sempre curato molto sia il proprio modo di vestire che il proprio corpo. Il seno era ancora abbastanza sodo. Solitamente, nelle donne, è il seno per primo a pagare l’età. Poi aveva finito di togliersi la biancheria sotto le coperte.
Solo allora lui si accorse che non avrebbe mai creduto che fosse cambiata tanto. Quei peli sul volto erano ispidi, per quanto avesse avuto cura di cercare di toglierli o nasconderli, pungevano leggermente; e l’ombra sotto il naso era setosa. La robustezza delle braccia di lei lo guidavano nell’amore e decidevano per lui. Ma non era tanto questo che lo preoccupava quanto il fatto che questa volta era lei che aveva preso l’iniziativa. E ora che aveva risvegliato tutto il suo desiderio di uomo era lei a volerlo possedere.
Ormai non poteva più sottrarsi. Pensò che questo non poteva capitare proprio a lui. Pensò anche di fuggire. Ma venticinque anni non si possono cancellare in un minuto. Lei era stata al suo fianco tanto tempo. Ed era stata una buona madre: severa ma giusta. Imparziale con i loro figli. Mai aveva mostrato di propendere verso il maschio o verso la femmina. Ed erano cresciuti bene. Cosa avrebbero pensato vedendoli tornare così presto? Cosa avrebbero pensato di lui se solo avessero saputo? Lo aveva sostituito e poco a poco si era sostituita a lui. L’azienda avrebbe potuto rinunciare a lui ma non a lei, certamente, ormai.
Si! in realtà forse non capita tutti i giorni di fare l’amore così con la propria moglie. Forse non capita nemmeno a tutti. Ma una cosa del genere, per quanto possa apparire inusuale, non è poi la fine del mondo quando c’è l’amore. Che fosse l’amore a non essere sufficiente ad aiutarlo in quel passo? Certo è un po’ strano non poter vedere in volto la donna con cui si sta facendo l’amore. Ma a pensarci bene neanche questo è poi così infrequente. E lei si preoccupava anche del suo piacere. La sua mano virile non si scordava di lui. E infondo fa solo un po’ male al primo momento.¹


1] 10 novembre 1994

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La pioggia scendeva senza interruzioni, con gocce prima sottili ma insistenti, poi grosse e ugualmente fitte. Roberto D. gettò il giornale fradicio con cui aveva cercato inutilmente di ripararsi e rasentando i muri si approssimò alla fermata e si preparò, in disparte, ad aspettare l’autobus che naturalmente tardava.
Il volto sotto la pioggia prese lentamente via via a scolorare e a colare giù. Una confusa macchia che sì insegue sul soprabito. Una macchia che prende corpo e si lava da sé. Poi più nulla. La pioggia la trascinava inesorabilmente a cercare di perdersi fra le altre pozzanghere che cercavano di contribuire al fiotto d’acqua che sfiorava il marciapiede.
La strada era tutta una pozzanghera e ogni goccia vi si infrangeva disegnando cerchi sottili e vi annegava. Lui guardava gli altri passeggeri che distratti aspettavano come lui; li guardava cercandone e fuggendone lo sguardo. Poi scrutava in ansia la strada con la speranza e la paura che arrivasse la corriera. I suoi occhi frugavano nel piano opaco della pioggia che rumoreggiava. Non c’era un riparo per nessuno a quella serata di settembre e le prime luci si sbriciolavano incerte sull’asfalto madido. Pian piano non rimaneva niente di ciò che era stato, niente di ciò che avrebbe voluto essere o diventare. Ebbe solo la sensazione di quello che stava avvenendo ma non riuscì che a guardarsi attorno attonito.¹


1] ‎domenica ‎12 ‎febbraio ‎1995

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notturno in tecnica mista su cartone telato
Il mago; tecnica mista su cartone telato (15*20) 20 aprile 2010

luna, castello, uccello e personaggi
Una favola per tutti; tecnica mista su cartone telato (15*20) 2 giugno 2010

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Più che un commento è occasione per un altro post, anche se fin troppo ne ho parlato. Quando sono entrato in questo mondo l’ho fatto con (e per) amici e altri ne ho trovati. Ho deciso allora di limitarmi a una cose alternative alle loro; ché già loro fanno meglio. Per chiosare sull’attualità preferisco leggere lei che cimentarmi io, e lei ha anche un’ottima scrittura. Per parlare di libri e spettacoli lo lascio a Marino. E’ la mia cara Ross che si incazza “qui” per i fatti della politica. Per ridere a denti stretti cercando di guardare il mondo con ironia ho incontrato Gians. Etc. Così ho deciso di limitarmi a poche cose, e limitarmi sempre più. Alla fine non posto che quasi esclusivamente cose mie: raccontini, poesia, immagini di “quadri”. C’è da aggiungere che ultimamente, per pigrizia e tempo, inserisco i raccontini scritti a suo tempo per un amico con cui non collaboro più (troppo lungo e triste stabilire i perché). Per lui mi occupavo anche di una rubrica musicale. Quei raccontini avevano la funzione principale di tracciare e/o abbozzare una parvenza di storia in pochissime righe.
Il viaggiatore della rete, proprio per un vizio del soggetto blog (diario elettronico), cerca sempre di trovare nei post qualcosa di autobiografico lasciato dall’autore. Spera nel pettegolezzo. Non qui. Come messo in testata questa mia è solo una ricerca di linguaggi su “prove di comunicazione”; scrivo cioè solo prosa e godo nel farlo. Prosa che nasce e si ispira dei momenti più disparati. Vi è in più del pudore e la non volontà di mettermi in vetrina. Così, ripeto, qui è solo pura fantasia. Se a volte la protagonista è una donna, giovane o vecchia che sia, giuro che non sono mai stato donna. Se è un uomo giovane giuro che lo sono stato. Se è anziano giuro che non sono invecchiato così. Giuro ancora una volta che non ci somigliamo nemmeno nei caratteri.
Se c’è, per esempio, l’avaro cerco di immedesimarmi immaginando come può ragionare in quanto io avaro non lo so essere, nemmeno di sentimenti. Se è un geloso: ho convissuto con la gelosia ma non l’ho mai provata dentro di me. Se è uomo di destra io sono decisamente del lato opposto. Se canta, lo ammetto, sono stonato. Sono fedele anche se cerco di scrivere di un donnaiolo. Insomma questo non è assolutamente un diario ma il suo opposto. Ben poche volte parlo e ho parlato di me per essermi trovato davanti ad un fatto che poteva essere di interesse o per cogliere un vezzo generale. Ho tradito tutto questo solo per un breve periodo lasciandomi lusingare dalla favola che ho vissuto ritrovando la mia compagna. Magari ne abbiamo parlato fin troppo perché ci pareva (e pare) la più bella tra le favole. A volte l’uomo (non solo il bimbo) ha bisogno anche di favole. Questo è il quanto. Torno a parlare di figure che non esistono: come la sconosciuta qui sotto che proprio poiché sconosciuta non l’ho conosciuta mai.
In Fede: L’AUTORE

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La sconosciuta

La notò parcheggiare la bicicletta davanti alla porta del panificio. Dentro quella maglia aveva un seno a cui solitamente non si fa caso. Morbidamente indolente sotto il tessuto morbidamente soffice. Pensò che non era male in fondo, tra tante presunzioni, un seno mite e cortese che dava quel senso garbato che non pretendeva di narrare di se e suggeriva una confidenza molto casalinga e discreta; quasi una non confidenza. Lei, nel suo disperato tentativo di amarsi, cercava di guardarsi per quello che era di quel seno sofficemente poggiato e riposante. Sfilando la maglia quell’umiltà avrebbe certamente restituito una tenerezza completamente privata, di occhi era sazia già dei suoi; non ne voleva altri, infatti sembrò non accorgersi di lui. Il mondo è pieno di altri e quel mattino s’era presentato con un cipiglio incazzato. Continuava a parlarsi in silenzio e non sarebbe mai stato possibile sentire il rumore di quelle parole. Era nostalgia quella che gli bagnava gli occhi? Nel frattempo la donna era entrata e sparita in quel negozio. Riprese stanco per la sua strada.

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Era tanto abituato alle bugie da caderci dentro lui stesso. Graziosa di sé con la gamba alzata, un’espressione misteriosa e una mano a coprirsi la bocca, come le fosse sfuggita una esclamazione non voluta. E’ sempre una questione di spazi. Tra il battente e la porta. Nella luce che si spandeva in una fetta. Così lei cercava il suo spazio. Lui contava le parole e quelle che avrebbe voluto dire. Le chiese di rimanere ferma e poi di portare i grani della collana alla bocca e di morderli. La voleva ricordare all’infinito così e non aveva che quelle due parole da dirle. In quel momento l’amava come credeva di non aver amato mai e forse come non avrebbe potuto fare mai più o almeno voleva dirselo. Fece un gesto per afferrarla ma lei gli sfuggì dalle dita. Quando si scoppia una bolla di sapone non si sente nemmeno il rumore, invece non gli restò che lo sfrigolio di una divertita e soddisfatta risatina. Sapeva dove era andata a nascondersi e come l’avrebbe trovata. Si liberò di tutto l’inutile con pigra impazienza ma non riusciva a liberarsi del superfluo.

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Lui avrebbe preferito un tavolo quadrato, non che avesse antipatia o altro per quelli tondi, era solo che gli dava un senso di ordine. Anche quel giorno era accuratamente rasato e aveva quel dopobarba discreto. Salutò tutti a voce bassa ma calda e chiuse la porta dietro a sé. Aprì la posta infilando con attenzione il tagliacarte e tagliando le buste senza alcuna sbavatura. Nessuno sapeva nulla di superfluo di lui, non era uomo facile a confidarsi, ne tanto meno nulla di quello. Solo lo infastidiva il non riuscire ad applicarsi sulla corrispondenza dei clienti; distratto. Dettò al registratore un paio di risposte poi si lasciò un ultimo attimo alla poltrona cercando di liberarsi di tutto. Unica eccezione che si concesse è che mancò al caffè delle dieci e dodici. Lasciò la chiavetta sulla scrivania con dentro gli ultimi due euro. Naturalmente controllò l’ordine perfetto dell’ufficio e vergò due righe di commiato e, ordinato e preciso com’era, si impiccò con la cravatta. Ludovica ne restò delusa; non avrebbe saputo dire dove finiva la sua ammirazione.

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luna, castello, uccello e personaggiAveva insistito tanto “Mamma! mammina cara! raccontami una favola. Dai raccontamela; anche piccola.” –che lei non aveva più potuto sottrarsi. D’altronde non capitava spesso ed era passato molto dall’ultima e purché non diventasse un’abitudine… si stese a fianco del figlio, sollevò il cuscino verso la testiera, lasciò accesa solo la luce notturna e dopo che si furono messi comodi e accoccolati incominciò a raccontare una di quelle sue fiabe che, dovendole inventare lì per lì, riuscivano incerte, confuse e perché no certo anche un poco stupide.
Non che il bimbo non se ne rendesse conto ma tanto lui ormai conosceva i suoi limiti e si accontentava entusiasta e poi forse non erano altro che un pretesto. “Dunque… vediamo un po’… c’era una volta –perché tutte le favole cominciano così e anche semplicemente perché questa formuletta monotona da il tempo di frugare nella fantasia o nella memoria un ragazzino– circa della tua età di nome Antonio. Antonio era un bambino intelligente, si impegnava a scuola, ubbidiva ai suoi genitori ed era un bimbo felice perché la mamma gli voleva bene”.
Come nella pubblicità dei biscotti”?
Come nella pubblicità dei biscotti”.
Ma che storia è se non succede mai niente“?
La madre si sentì stretta alle corde, col fiato alle spalle ed ebbe paura di perdersi “Abbi pazienza e non essere impaziente. Ecco… insomma… vestiva in modo un poco… inadatto.” che parola scema ma pazienza, non le era venuto niente di meglio; rifletté.
Anch’io mamma vesto come uno scemo”?
No! Tu no caro”.
In quel momento pensò al piccolo Andrea “Ma lui si. Aveva di quei cappelli sai e poi magari anche la sciapa sulla bocca e quelle cose goffe che ti fanno sembrare un salame”.
Il bimbo rise. “Si! era certo così. L’hai proprio fotografato”.
Ma i suoi genitori non si accorgevano? Non potevano dirglielo”?
Il fatto era che lui era grosso”.
Ma grosso quanto”?
Grosso tanto. Ma se mi interrompi continuamente non riesco a proseguire”.
E perché”?
Beh! perché mangiava tanta troppa pastasciutta”.
E la verdura, mangiava la verdura”?
Questo la storia non lo dice”.
Ma il dindi non fa mica male”.
Lui amava la pastasciutta e allora i suoi compagni di classe lo prendevano in giro”.
Proprio come Andrea”?
Si! proprio come Andrea bravo. Ma adesso fammi continuare”.
Si! mamma: noi bambini siamo così ma non lo fanno per cattiveria”.
Lo so! lo so”!
Ma lo sai che Michele aveva trovato Baggio e l’ha scambiato per Gullit”?
Ma non volevi che ti raccontassi una fiaba”?
Ma allora erano cattivi, quei compagni di classe; vero mamma”?
No caro! I bambini non sono mai cattivi”.
Neanche quando bruciano i topolini dentro le loro tane”?
No! neanche quando bruciano i topolini”.
Perché sono sporchi e portano le malattie; vero? e quando tirano agli uccelletti”?
Nemmeno allora”.
E quando fanno i capricci e fanno arrabbiare la mamma o il papà”?
No caro! perché i bambini non sanno essere cattivi. Forse solo qualche volta un poco monelli; vivaci. Non per niente dicono dei bambini che sono innocenti”. e sorrise al figlio nel buio.
Il figlio vide quel sorriso e sorrise anche lui e si strinse alla madre con tenerezza “Ma la maestra dice che Carlo è proprio cattivo; anzi dice che è… è… crudele ma io dico che non è vero perché Samantha è peggio e ieri gli ha sputato sul cibo e poi le bambine sono sempre più dispettose dei maschi”.
Fai il bravo e ascolta la favola. Giuseppe era”…
Ma chi è mamma questo Giuseppe? Non avevi detto Antonio”?
Mi ero sbagliata prima –e sospirò “accidenti!”– e poi Antonio o Giuseppe è la stessa medesima cosa e questo non e importante”.
No mamma? Guarda che questo è importante e poi guarda che Giuseppe è quello che non si soffia mai e ha sempre il moccio”.
Allora Antonio”.
Ecco, Antonio è meglio e poi mi fa già simpatia”.
Allora questo benedetto bambino Antonio preferiva giocare solo e un poco per le canzonature e un poco per la sua indole, –cercò di prevedere la naturale curiosità del figlio– cioè del carattere, fatto è che diventava sempre più silenzioso e coltivava fin troppo i suoi sogni. Sognava e la sua mente vagava fra le fantasie più assurde. Lui aveva una cameretta tutta per sé e molti molti giocattoli”.
Come me”?
Proprio come te. Solo che lui si ritirava troppo in sé stesso e non parlava molto con i genitori come facciamo noi e le sue fantasie nella sua mente sembravano prendere corpo e allora viaggiava viaggi fantastici come nei libri che leggeva ed era sempre distratto anche con i compiti”.
Ma se avevi detto che era bravo? e poi i compiti sono tanto noiosi”.
Era diventato distratto dopo perché aveva la testa sempre per aria sui suoi eroi. Ma poi alla sera, quando andava a letto e la mamma spegneva la luce e restava solo, lui fra le ombre credeva di vedere mostri orribili; e anche di sentirli”.
Come il Babau”?
No! sai che il Babau non esiste”.
Ma sai che Cristiano ci crede ancora? Allora come l’uomo nero”?
No! neanche quello c’è”.
Allora come il vigile che viene e porta via i bambini disubbidienti dalle loro mamme”?
Nemmeno come quello perché anche quello l’hanno inventato genitori sciocchi per bambini sciocchi. Non ti ho spiegato che sono solo storie stupide? e poi… il vigile… e perché no lo spazzino”?
Per quello, mamma, anche lo spazzino fa un po’ paura con quella sua scopa lunga lunga”.
Sono scemenze, lui fa solo il suo lavoro per la strada”.
E non può andare da un’altra parte”?
No! questa è la strada che gli hanno detto di pulire. Non esistono gli uomini cattivi”.
Allora come quello di ieri pomeriggio?” –disse il bimbo e capì mentre ancora lo stava dicendo che si stava per tradire ma non riuscì a trattenere le parole e arrossì.
La madre finse di non sentire o non sentì per una semplice e veniale distrazione “Vedeva mostri giganteschi e bruttissimi”…
Dev’essere stato bruttissimo”.
No! era solo la sua fantasia”.
Vedeva mostri con gli occhi di fuori e il fiato di fiamma e tante braccia che tutte cercano di prenderti e degli artigli che solo quelli bastano a ucciderti e a darti una fifa merdosa”?
Si! proprio di quelli ma sai che non mi piacciono quelle parole. Ma chi te le insegna”?
Quali parole; mammina”?
Lasciamo stare che e meglio e torniamo ai mostri”.
Cos’è mamma quella cosa che si sporge e ci vuole afferrare”?
Sciocco! è solo Bibo. Ti ho anche detto che ormai sei troppo grande e che lo dovevamo regalare o almeno riporre che tanto non ci giochi più e m’impiccia”.
E erano anche puzzolenti”?
Si! e anche puzzolenti. E allora si nascondeva sotto le coperte e tremava tutto e sentiva un freddo che lo scuoteva”.
Perché si nascondeva sotto le coperte”?
Perché aveva paura”.
Ma le coperte non tengono lontano i mostri; vero mamma? e poi il puzzo, quello arriva anche là sotto; è come quando fai una bombetta, insomma quando ti scappa. Sai che Elena ha sempre quell’odore ma proprio quello nell’alito”?
Tutto questo non è importante ma prova a pensare, questo povero bambino nascondeva gl’occhi spalancati dietro il buio della coperta e invece di dormire tremava dalla paura, poi tornava a sbirciare ma loro erano sempre là e sempre più vicini e il mattino gl’occhi erano arrossati e lui era come se non avesse riposato. Questo succede anche a quelli che guardano quelle cose che guardi anche tu e che sai che io non voglio e che non ne ho piacere e i suoi genitori non capivano perché il bambino fosse sempre stanco e cominciasse anche ad andare male a scuola perché adesso cominciava a portare anche qualche nota e così i genitori davano la colpa agli insegnati e quelli viceversa”.
Ma allora era proprio disgraziato? Come quelli che non hanno neanche da mangiare”?
Quasi. Era quasi così! poveretto e invece di accendere la luce la sua paura cresceva e quell’esercito di ombre si affollava sempre più da presso e si sentiva come soffocare“…
La voce progressivamente si spense. La fiaba era diventata un borbottio confuso e poi improvvisamente solo silenzio ed era rimasta a metà. La madre aveva preso il sonno, come succedeva sempre, e lui se ne era reso conto subito.
Cercò di scuoterla inutilmente. Si guardò intorno fra le ombre delle cose della sua stanzetta e allora capì che la favola si era solo interrotta per un attimo e ora stava continuando per conto proprio, senza sua madre. Ma lui no! non avrebbe nascosto la testa perché sapeva che ora era solo davanti all’avventura e che avrebbe dovuto lottare anche per lei. Si strinse più presso alla mamma per difenderla perché lui ormai era proprio un ometto coraggioso; glielo diceva sempre anche il suo papà che era sempre via.¹


1] 1 marzo 1995

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V. Spazi bianchi quando
il narrato è interrotto
da squarci di parete
dopo i confini delle
ombre sull’intonaco
l’uomo è quasi a confronto
tagliato netto eppure infisso
è una macchia violenta
si tortura le mani
è una macchia persino violenta
sfigura nell’immagine e
le parole lo dibattono
“sono stato in prigione trent’anni
e prigioniero di me stesso
e quale illusione
bevevo la luce del mattino
di lei mi bagnavo, quasi un ricordo
e frugavo in me, frugavo
bevevo la luce del mattino,
troppa luce la luce del mattino,
e i ragni sul muro giocavo
e le ombre allungavo
e non erano ombre come queste
e non erano…”

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