Succede che una vendita non lasci traccia. Che non venga rilasciato lo scontrino di cassa. Anche nella confusione. Anche per un poca di fretta. Senza malizia. I clienti normalmente non ci fanno caso. Mai successo che lo richiedessero. Non da noi. Ed eravamo in piena stagione di vendite.
È stato solo per un puro caso che me ne sono accorta. Seguivo una cliente quando, appena finito, mi ha detto: “Lascia. Faccio io”. Lui cercava sempre di risparmiare il più possibile sul lavoro e lei era anche carina. Un tipo evidente, di quelle che si fanno guardare; un poco anche smorfiosa, non so se mi spiego. Forse leggermente volgare, e civetta. Non si era fatta molto scrupolo a lasciarsi spiare. Lui era stato particolarmente cortese. Come ogni uomo non si era tirato indietro e non si era rifiutato di lustrarsi gli occhi. Lei aveva provato un’infinità di abiti, camicette e gonne. Se l’era ammirata con dovizia di attenzioni. Sotto portava della biancheria microscopica nera gonfia di merletti e di sé. Alla fine aveva preso un paio di stivali, una borsetta e un giaccone con l’interno di pelliccia. Insomma una buona vendita.
Non sono gelosa e più che lui seguivo lei. Per quanto ci si possa fidare di un uomo io di lui mi fidavo. Di quella cliente un poco meno. Dovevo ammettere che aveva mostrato anche del buon gusto. Senza intenzione mi è caduto l’occhio. Forse perché lui aveva un’aria strana, guardinga. Non è mai stato bravo a raccontare bugie. I suoi occhi non hanno segreti. Aveva aperto la casa e l’aveva richiusa senza mettere dentro il becco di un quattrino. Con aria furtiva, si era fatto scivolare in tasca tutto il malloppo. Poi aveva accompagnato la svenevole fino alla macchina per aiutarla con i pacchetti. Era tornato dopo un po’ con un’aria soddisfatta. Raccontando che si era fermato anche a prendere un caffè. Io penso fosse un vermuttino. Non ci volevo credere, ma quando, a sera, ho fatto i miei conti l’incasso mancava. Lui era uscito come suo solito. Ho lavato i piatti, riordinato casa, stirato un po’ di cose, comprese le sue camicie per il giorno seguente, poi mi sono messa a verificare i contanti. Mi ricordavo bene perché dopo averlo scoperto avevo memorizzato le vendite. Mancavano tutti, tutto il valore dei tre capi.
Non sono gelosa ma un uomo è sempre un uomo. Era da quel momento del mattino che ci pensavo indispettita; ora ne avevo avuto conferma. Davanti al maltolto avevo deciso di affrontarlo appena a casa. Certa che avrebbe negato, sostenuto che mi sbagliavo, che lui… Altrettanto certa che poi, messo alle strette, avrebbe cercato di accampare qualche scusa. Poi avevo pensato che era inutile aspettare. Ero proprio fuori di me. Poi mi ero detta che non potevo fare uno scandalo in negozio. Poi avevo pensato che non avevo alcuna prova tranne la mia stessa testimonianza. Poi mi ero ricordata che eravamo in separazione di beni e che, maledizione, la licenza era intestata a lui. Poi avevo pensato che avrei fatto meglio a fare tutto con calma e raccogliere altre prove. Magari non era nemmeno la prima volta che cercava di raggirarmi. Magari si era trovato qualche amichetta. Aveva ritrovato il gusto dell’avventura. Non che fosse un gran mandrillo, ma la gente cambia. E in fondo, tra noi, con gli anni, la passione si era certo un poco assopita. Come per tutti; o no?
Non sono mai stata gelosa, ma da un uomo non puoi aspettarti che sia sempre un santo. Il martedì era stato irrequieto tutto il giorno, avevamo fatto solo incassi con carta di credito o bancomat. Fino a quel momento non avuto modo di pensarci: quel suo giochino, naturalmente, poteva farlo solo con i clienti che pagavano in contanti. La sera per un po’ se ne stette a casa bofonchiando annoiato e smanioso. Alla fine se n’era uscito; o sarebbe stato costretto a passare allo sportello, infatti mancava la mia tessera magnetica, o fidava che qualche amico gli prestasse qualcosa. Forse gli servivano per qualche squallido motel. Quale donna poteva valere tanta fatica? Nemmeno la cliente del giorno prima. Non almeno fino a quel punto. E poi… o era molto bravo o ero molto stupida perché pareva non conoscerla bene. Forse era la prima volta, o lo seconda, che si serviva da noi.
Il mercoledì Micaela aveva chiesto di assentarsi per il pomeriggio, non ricordo per cosa. Lui si doveva sentire le mani libere. Subito dopo l’apertura aveva servito una signora ricoprendola di mille moine e mille complimenti immeritati. Non era nemmeno granché e aveva il marito a guinzaglio, o almeno l’uomo che le pagava i capricci. Era una cliente abbastanza fissa. Praticamente aveva indossato tutto quello che c’era in negozio. Lo faceva ogni volta che passava a trovarci. A un certo punto erano rimasti a lungo chiusi in camerino prove, mentre l’uomo che la accompagnava sprecava tesori di pazienza. Non vedevo quell’uomo per la prima volta, ma lei l’avevo vista accompagnata anche da altri partner. Non ci potevo credere, non era nemmeno molto giovane. Solo molto truccata. Poteva avere almeno quindici anni più di me, dieci più di lui, e trenta più dell’uomo che era con lei. Povera stupida, avrei dovuto ricordare che la volpe perde il pelo, ma non il vizio.
Comunque era stata una gran bella vendita. L’accompagnatore della sgualdrina aveva estratto un portafoglio gonfio e senza batter ciglio aveva saldato tutto con banconote di grosso calibro che aveva estratto con svogliata noncuranza. Avremmo incassato dei bei soldini se non se lì fosse repentinamente intascati lui. Eppure… ero certa che non ci fosse una storia tra loro. Non potevano essere per lei. Lei aveva regolarmente pagato, o meglio aveva invitato il suo ganzo a farlo. E poi… non c’era quell’affiatamento. Lui era stato gentile ma non eccessivamente gentile. Non sopra le righe. Non era scivolato in qualche complimento troppo audace. Niente di troppo palesemente sfacciato. Non l’aveva mai chiamata per nome per non sbagliarsi; sempre e solo: signora. Certo non potevo sapere perché si fossero trattenuti tanto in camerino. Poteva anche essere stata solo un’occasione malandrina: non è forse l’occasione che fa l’uomo ladro? Tutto non giustificava i prelievi precedenti. Ero piena di rabbia dentro e con un sorriso falso incollato al viso.
Ricordo quella del mercoledì della settimana successiva perché era rossa di capelli di un rosso sfacciato e puttanesco. Lo tenevo sottocchio anche se ero distratta perché dovevo intrattenere un rappresentante e valutare il campionario per la nuova stagione. Lei aveva una gonna fin troppo corta, il culo fin troppo abbondante e basso, e un cattivo gusto pacchiano fin troppo evidente, un trucco fin troppo pesante e delle zeppe altissime da farla fin troppo alta. E poi, in bocca, aveva quella risata sguaiata. Micaela stava seguendo la giovane figlia del gioielliere e, della rossa, se ne occupò lui. Quando quella, voglio dire quella sfacciata della rossa, uscì dal camerino lo fece sistemandosi il seno, palesemente rifatto, spingendolo a forza dentro il reggipetto. Non avevo notato prima quanto fossero sode. Avrei voluto chiedere il parere da quell’eunuco del mio maritino, preferii non farlo. Un poco per non scendere al suo stesso livello, un poco per mostrarmi superiore e un poco per non tradirmi. Mi limitai a scambiare un sogghigno d’intesa con Micaela. Ormai non lo perdevo più di vista. La rossa gli fece l’occhiolino e gli chiese uno sconticino. Lui l’accompagnò alla cassa, le fece il solito sconto e, la serpe, si intascò il bottino.
Non sono gelosa, ma da un uomo puoi sempre aspettarti di tutto. Nei giorni seguenti ripeté lo scherzetto sempre credendo che fossi cieca, e io continuai a far buon viso a cattivo gioco. A fingere di non vedere. Di esser ingenua. Non erano mai piccole somme, e il sommare di quelle somme faceva un grosso importo. Ecco perché il negozio non dava mai i risultati che mi sarei aspettata. Ecco perché avevo, ancora una volta, dovuto rimandare l’aumento per Micaela. Quella ragazza se lo sarebbe meritato proprio. E poi lavorava con noi da quando avevamo aperto. Non potevo certo confidarle di chi era la colpa. Che non avrebbe ancora potuto cambiar macchina a causa dei piccoli furti di un marito fedifrago. Era capace di strappargli gli occhi, così, su due piedi, davanti alle clienti. Invece io volevo sapere. Volevo capire. Volevo vedere dove e con chi sperperasse i nostri guadagni. Ero ormai sicura che dietro, come in ogni situazione simile, ci fosse una donna. Mi chiedevo chi potesse essere quella puttana. Magari me le faceva con una che conoscevo. Oppure andava a donne. Ad essere del tutto onesta non mi sembrava nemmeno il tipo.
Non sono gelosa, ma sotto i panni dell’uomo c’è pur sempre un maschio. Questo l’ho sempre saputo. Magari si era scoperto qualche strano vizietto. Così una sera mi vestii indossando tutto sotto un grembiule. Lui se ne accorse e mi giustificai ricorrendo alla scusa che ero stanca e mi sarei coricata presto; invece appena uscì lo seguii. Lui se la doveva essere bevuta; comunque non chiese altre spiegazioni. Lui prese la macchina e io un taxi. Parcheggiò in centro davanti ad un noto locale ed entrò. Entrai dietro di lui. Lo vidi al tavolo. Lui non si accorse di me. Intorno giravano ragazze molto evidenti e tutte giovani e tutte poco vestite. Non era a loro che lui prestava tutta la sua attenzione. Forse restai anche un po’ delusa, scoprendo, che non c’era nessuna donna, che aveva perso la testa solo per il vizio del rischio. Si giocava i nostri incassi con le carte in mano. Fece un paio di giri anche alla roulette, con la stessa maledetta sfortuna e un paio di bestemmie. Come tutti era convinto che prima o poi quella, la fortuna, si sarebbe girata smettendo di dargli le spalle.
Prima di uscire mi presi un amaro e poi un calice di prosecco ben ghiacciato. Da qualche confidenza appresi con forse aveva anche sommato un discreto debito. Tornata a casa feci un’immane fatica a trattenermi dalla tentazione di aspettare il suo ritorno e affrontarlo subito. Mi ricordai che la vendetta va servita fredda. Sciolsi in un bicchiere d’acqua un paio di pastiglie contro l’acidità di stomaco. Presi il libro che avevo lasciato sul divano e me ne andai a letto. Mi addormentai poco dopo senza sentire quando era rincasato. Doveva aver fatto molto piano o io stavo dormendo molto profondamente. Feci sogni un poco agitati e un poco libertini. Mi vegliai, strettamente abbracciata al cuscino, mentre lui si stava già facendo la barba. Uscì profumato come una battona, ma aveva gli occhi cerchiati di rosso; due impronte evidenti di una nottataccia vissuta faticosamente. Vigliacco.
L’avesse fatto per qualcuna certo me la sarei presa, ma forse alla fine nemmeno tanto. Certo non quanto scoprire che mi tradiva con il gioco. Quella sera, alla televisione, era una completa noia; c’era solo il festival di Sanremo. Avevo invitato Micaela a cena. Era giusto il momento adatto, e, prima che si preparasse ad uscire, gli chiesi perché non restare a casa? avremmo potuto divertirci ugualmente. E prima che avesse il tempo di obiettare proposi, alla sua meraviglia, che avrei avuto giusto il gusto e la voglia, e una gran porca di voglia –proprio così gliela presentai–, di una bella partitina a carte. Avevo già in mano il mazzo e la faccia può spudoratamente allusiva che avessi mai frequentato. Era dai tempi del liceo che mi studiavo quella espressione senza trovare l’occasione di interpretarla: “Un pokerino tra amici. Solo un paio di mani. Perché no? Anzi… uno strip poker in casa”.
Non sono gelosa ma un uomo è pur sempre un’animale stupido. Lui non poteva saperlo, ma fin da allora ero conosciuta come una perfida ed esperta bara. Ero sicura della mia trappola. Ed era per sicurezza che avevo invitato per quella partita anche Micaela. Lei era al corrente dell’inganno e entusiasta di aiutarmi. “Noi tre da soli. Io te e anche Micaela. Vero che ti va, cara”? Lei annuì rapidamente divertita. Lui aveva sempre mostrato un debole per quelle abbondanti della nostra amica. E poi quale uomo potrebbe dire di no ad una proposta simile? Non so come mi sarei comportata se non avessi vinto. E comunque non poteva andare peggio di così, anzi, poteva essere anche una bella esperienza. E poi non poteva essere così scortese di abbandonarmi da sola con la nostra ospite senza un buon pretesto. Se non avessi potuto vederlo umiliato avrei forse almeno rischiato di rinfocolare la passione.
Inizialmente lo lasciai vincere in modo che si gonfiasse di arroganza e pensasse che finalmente era arrivata la sua serata fortunata. Fu più facile del previsto. Lasciavo con delle buone mani, rilanciavo con degli evidenti bluff e con niente in mano. Lasciavo che lui interpretasse le mie espressioni dandogli a credere di essere un libro aperto. Per quanto grossi gli orecchini non potevano essere considerati come un capo di abbigliamento. Ero ormai rimasta solo con la mia biancheria intima e una calza. Con un reggiseno dalle coppie talmente piccole da distrarre gli occhi più avvezzi. Micaela non aveva nemmeno più quello. Dopo un attimo, rapidamente passato, di imbarazzo in cui aveva cercato di coprirsi con le mani, esibiva con disinvoltura e orgoglio due bocce da far paura. Lui non staccava più gli occhi da quelle, e forse aveva perso interesse anche per il gioco. Sicuramente aveva scoperto curiosità. Ero vogliosa di vendetta. Lui non mi aveva mai vista così vogliosa di correre in camera come mostravo di essere. E c’era anche la novità che poteva sognare, il povero illuso, di potersi portare a letto entrambe e farlo con due. Anche Micaela si fingeva smaniosa.
Lui si pavoneggiava in camicia e mutande e gli restava ancora la cravatta al collo. Era il momento giusto: “Ora alziamo la posta. Che ne dici? Ci giochiamo tutto. Si sta facendo tardi. Non vorrei annoiare o deludere la nostra ospite. Saltiamo i preamboli, sei d’accordo? Perché non ci mostri quanto sei audace”? Mi guardò con aria di sfida: “Cosa intendi per tutto”? Era fin troppo sicuro di sé. Era cotto a puntino. Michi mi strizzò l’occhiolino. Non avrei creduto mai neanch’io a quello che stavo per dire. Ammiccai: “Tutto vuol dire tutto. Micaela ha promesso di voler essere carina. E mi sembra proprio un bel bocconcino. Mi sembra che apprezzi e sbavi. Cosa fai, ti ritiri? Ti tiri indietro sul più bello? Sai che non sono gelosa. E poi ci sono io. Non avevo mai pensato… davanti a un’altra… e potrei spingermi anche oltre. Vedremo. Potrei… vediamo… potrei prometterti quello che hai sempre bramato, che mi hai sempre implorato, che ti ho sempre negato. Sì! potrei farlo”.
Lui mi guardò attentamente come si guarda una povera illusa e una preda facile. S’interruppe solo una frazione di secondo: “E se, per caso, vinci tu”? Esattamente era arrivato dove l’avevo aspettato: “Se vinco… –finsi di doverci riflettere– la licenza è mia”. Lui mi guardò con aria di sufficienza, forse convinto che volessi solo camuffare una golosità, magari per un rigurgito di decenza, e che non avrei mai preteso di riscuotere la vincita. Micaela mi corse in aiuto: “Mi sembra un’offerta generosa. E poi sai una cosa?… hai visto cosa ti perderesti. Lei… è tal e qual a quell’attrice. Una magnifica preda, ma questo lo sai già. Questo gioco spoglia i desideri più intimi delle persone”. E si fece scivolare gli occhi addosso e sull’abbondante seno, sorridendo in modo puttanesco e aggiungendo: “Decidi presto che non sto più nelle… dentro… dai che lo sai, nelle mutandine. Ad ogni mano mi è cresciuta la… curiosità. Il gioco mi ha eccitata. Ho spesso pensato a te. Scusa tesoro. Non te la prendere. Sai che io dico quello che penso”. Era una magnifica bugiarda.
Micaela era più che una commessa per noi, ed era una vera amica. E quando lo voleva, per quanto ne sapessi, sapeva essere una gran porcona. E ormai, oltre al minuscolo tanga, non indossava che le scarpe coi i tacchi alti e i suoi orecchini. E naturalmente quei due occhi panoramici al mascara che sembravano aver iniziato a proiettare il sogno più sfacciato che si potesse immaginare. Lei aveva accavallato le gambe; si era depilata per l’occasione. Era un vero spettacolo. Uno schianto. Lui aveva cominciato già a pregustare tutto e a sudare. Per rendere più convincente la sua promessa gli passò, lentamente, con carineria, le dita dal polso lungo tutto il braccio facendogli rizzare ogni pelo. Era confuso, incredulo, e io, approfittando del momento, gli feci scivolare davanti agli occhi il contratto da firmare. In quel momento avrebbe firmato qualsiasi cosa, anche in bianco. Già si pregustava la vittoria, l’ingenuo. Aveva fatto uno scatto con la testa come a scacciare qualsivoglia timore: “O la va o la spacca”.
Amava il gioco oltre ogni altra cosa e quella era una scommessa a cui non poteva rinunciare. E poteva avere questo e quello. Era così certo di aver già vinto il piatto, e con esso me e l’altra, che stavo perdendo il gusto. Era così distratto che forse non avrei avuto bisogno nemmeno tanta maestria. Gli servii quattro splendidi assi e un sette. Sorrise come un sole a Ferragosto. A Micaela tre re e due nove. E lei sorrise estasiata come se avesse visto la madonna. Quando lui, pensando di deludere la mia amica, con aria trionfante, scandì la sua mano sul tavolo lo bloccai, con le dita a ventaglio sul petto, e gli elencai, con perfida lentezza, la mia scala reale alla regina. Ammutolì, per un attimo sicuro di non capire, scuotendo la testa per schiarirsi le idee. Non c’era bisogno di molto: Micaela, che non è mai stata molto indulgente, stava già riponendo le tanto agognate incredibili bocce nel reggiseno. Io me la ridevo non solo dentro di me.
Gli strappai i miei panni da sotto le grinfie e cominciai rimettendomi la gonna. Cosa avevano le mie tette che non andavano? Certo non erano così tante. Ma nemmeno lui poteva vantare molta abbondanza. Cercai di non essere eccessivamente dura, almeno nel tono della voce; il resto era ormai nel destino: “Peccato, ti saresti divertito. Ci saremmo potute, forse, divertire. Insieme. Avrebbe potuto essere divertente. Non temere, non sono così crudele: hai tempo fino a domani per raccogliere le tue cose. Per stanotte puoi dormire in salotto, sul divano. Credo che noi usciremo a finire la serata da qualche parte. Ahm!!!… dimenticavo, credo che anche il negozio non abbia più bisogno della tua presenza. Io e lei, io e Micaela, ci bastiamo”. Quella sera ci divertimmo molto, tanto che mi sembrò doveroso nominare Micaela mia nuova socia. Le carte sono ingannatrici, e sono sempre loro a decidere della fortuna di un uomo.
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26 aprile 2018 di Mario
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