Il post è datato (7 aprile); soprattutto prima delle tornate elettorali. Credo ancora che per tornare a parlare, in modo serio, della politica si debbano definire alcuni punti fermi e mettere ordine sugli oggetti di analisi.
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Io penso che spesso prima di tante grandi teorizzazioni vi siano delle domande semplici che si possono dire (dire, non enunciare) con poche parole usando parole semplici. Credo, allo stesso modo, che non dando risposta a tali domande non si possa andare da nessuna parte.
Nel testo si usa la parola “Politica”, o ci si riferisce ad essa, con due significati diversi ma spero che il lettore saprà distinguere da caso a caso e capire quando si parla solo della politica dei partiti.
Il 17 febbraio 1992 (cioè sedici anni fa), con l’arresto di Mario Chiesa, si apre quella fase di “crisi delle istituzione” che verrà conosciuta come tangentopoli. E’ il “crollo del sistema politico” italiano che spazzerà il vecchio assetto e si concluderà, diciamo, solo nel 1997, tanto per darci una data (cioè undici anni fa) anche se in realtà non finisce mai e non è questione di date.
In piena tangentopoli gli italiani optano per un sistema elettorale maggioritario attraverso il referendum nel 1993, cioè quindici anni fa. Se ricordo bene vota il 77% degli aventi diritto e vince il maggioritario 82,70% a 17,30% (nel calcio si direbbe: con punteggio tennistico).
Logica (e buon senso) avrebbe voluto che l’Italia si dividesse in due tra i sostenitori di un sistema in cui si confrontino due partiti (improbabile e improponibile all’epoca) e uno in cui si confrontano due posizioni all’interno delle quali si coalizzino (attraverso in processo federativo) le varie anime ideologiche presenti (magari cercando un complesso di valori distintivi per le due posizioni). Per ottenere un simile risultato c’è, a mio avviso, solo un percorso di rifondazione strutturale della politica.
L’Italia si divide in due:
Sostenitori del maggioritario (i “grandi partiti”) che producono (anche per compiacenza) una serie di leggi elettorali che mantengono (di fatto) in vita il proporzionale.
Dall’altra parte i “nostalgici” del proporzionale (i partiti numericamente meno importanti), intenti a tenerlo in vita e impegnati a “rifondarlo” negando di fatto che senza tornare a sottoporre la questione al giudizio di un voto referendario sarebbe politicamente scorretto oltre che poco democratico.
Su questo secondo punto vorrei aggiungere che non troverei nemmeno giusto chiamare a raccolta continuamente i votanti, attraverso referendum, cercando di far presa sulla stanchezza.
Il prodotto di tutto questo è l’esatto opposto di quanto era stato ed è chiesto dalla maggior parte della popolazione con risultati che se non fossero tragici sarebbero risibili e ridicoli. L’esempio emblematico di tutto ciò è rappresentato dal maggior partito del centro-sinistra (senza fare nomi ne cognomi; con ogn’uno libero di porre il trattino distintivo o di non porlo) che aderisce all’Internazionale Socialista ma non riesce a contenere al suo interno i Socialisti Italiani.
In politica non sempre le scorciatoie permettono buoni risultati. Non vi è stata, da nessuna parte, nessuna rifondazione. Nessun confronto sulle idee. Semplicemente la riproposizione di vecchie logiche e di vecchie nomenclature. La grande novità della scena politica è un presunto e goffo passaggio pseudo/democratico fatto dallo stesso maggior partito del centro-sinistra o centro&sinistra che almeno ha avuto il coraggio di ridisegnare la superficie del suo organigramma e il simbolo.
E’ possibile, su queste premesse, fondare e/o rintracciare un progetto politico o sono io che non lo vedo?
Vi è stata, a questo punto, una lettura (obbligatoria) della società (intesa come Paese) e dei suoi mutamenti (sia in essere che in prospettiva)? Un che fare?