Venezia: 11 maggio 2013 ore 17.00
Sala Casa di Riposo S. Lorenzo
Campo S. Lorenzo – Castello 5071
il coraggio della nonviolenza
incontro con i
Comitati popolari di resistenza non violenta all’occupazione
LUISA MORGANTINI
Già europarlamentare e presidente di Assopace Palestina
HAFEZ H. I HURAINI
Contadino di At-Tuwani coordinatore dei comitati popolari delle colline a sud di Hebron
MAHMOUD H.J. HAMAMDA
Contadino resistente di Al Mufaqarah
SAWSAN M.H. HAMAMDA
Studentessa beduina di Al Mufaqarah
At-Tuwani è il villaggio dove operazione Colomba (angeli) operano dal 2004 per la protezione dei bambini e dei pastori.
Al Mufaqarah è uno dei villaggi da evacuare secondo la scelta dell’autorità israeliana ed è estremamente attivo nella lotta non violenta contro l’occupazione. Oltre a Al Mufaqarah altri 13 villaggi sono in pericolo di evacuazione per l’addestramento militare dell’esercito israeliano, che in realtà è anche un pretesto per far posto all’insediamento di nuove colonie. Mahmoud e Sawsan sono padre e figlia ed è molto importante la presenza di Sawsan non solo come donna beduina ma perché è importante che possa studiare all’ Università (cosa non per niente consueta tra i beduini).
Sarà con noi anche Abuna Aktham Hijazin che ci aiuterà anche con le traduzioni dall’arabo.
Mezze Punte ha condiviso la foto di Restiamo Umani Con Vik.
Vai per salutare degli amici e ti ritrovi a sentire una lezione di vita. La docente è Sawsan, una ragazza di 22 anni, che con il suo esempio ti fa vibrare il cuore e ti scuote la coscienza. Ogni mattina si sveglia alle 5 per svolgere le sue mansioni in casa (tenda-grotta), fondamentali per la sua famiglia di beduini, prima di percorre a piedi 7 km per raggiungere l’università (studia sociologia). Il tempo libero lo dedica alla famiglia, allo studio e alla resistenza. Il suo villaggio è sotto continua minaccia da parte dell’esercito israeliano e dei coloni ultraortodossi. Entrambi compiono soprusi e violenze al fine di cancellare Mufaqqarah (e tutta la Paestina) dal mondo.
Sawsan è stata arrestata mentre cercava di proteggere in modo nonviolento la sua casa da un bulldozer israeliano che l’ha abbattuta per l’ennesima volta.
Per lottare, resistere, sentirsi utile, sperare, vivere in modo attivo sta seguendo un corso di primo soccorso e un corso di comunicazione-media-informatica. In questo modo quotidianamente questa comunità può denunciare le ingiustizie che sta subendo http://almufaqarah.wordpress.com/ . A noi il compito e il coraggio di ascoltare, diffondere e lottare nelle nostre realtà.
Mezze Punte, Stefano Laboragine: Quando Mahmoud Hamamda è arrivato alla Casa della Pace, prima che la sua mano di saggio pastore palestinese si congiungesse alle altre, in saluto che sapeva di gratitudine, mi si sono presentati i suoi occhi, incastonati a metà tra la lunga barba e il suo agal. Gli occhi di Mahmoud hanno una luce che raccontano da soli la speranza e la voglia di non arrendersi a chi, da anni, ha stabilito arbitrariamente la schiavitù e l’azzeramento dei diritti di un popolo, quello palestinese. Per tutta la sera ho cercato di trovare, in quel colore a me estraneo, il buio dell’odio, della rabbia. Mi sono arreso di fronte alla consapevolezza che nel suo sguardo, questi sentimenti non hanno mai trovato accoglienza. Quando il sole rassicurante della primavera è andato lentamente a posarsi alle spalle della collina di San Luca, Mahmoud si è allontanato per ringraziare Dio, e lo ha fatto nel perimetro bianco di un posto auto che forse, in quel momento, sotto le sue ginocchia, si è trasformato in un tappeto dei colori della sua Terra. Poi conosco Sawsan, una delle figlie di Mahmoud. Gli occhi non hanno la stessa tonalità, ma la luce è identica, e non si tratta di ereditarietà biologica, si tratta della stessa parola che entrambi sanno pronunciare nella loro lingua con dignità: “speranza”. Iniziano a raccontare la loro storia di abitanti del villaggio Mufaqqarah, a sud delle colline di Hebron, villaggio che, per decisione delle autorità israeliane, verrà evacuato per far posto a un campo di addestramento delle milizie israeliane. Mahmoud ci racconta che in realtà l’evacuazione servirà a fare spazio a nuove colonie di ebrei, e ci descrive l’azione quotidiana della loro resistenza pacifica, di come hanno deciso di combattere, senza armi, l’occupazione e i soprusi continui del potere israeliano. Poi prende la parola Sawsan. Rompe subito il suo imbarazzo, quando avverte nello sguardo dei presenti la tenerezza e la solidarietà per il suo essere donna prima ancora che palestinese. I suoi racconti liberano tra i partecipanti, l’emozione iniziata con i discorsi del padre. Questa giovane donna descrive la sua vita di 22 anni, con un decoro, con una forza, che non hanno il tono della rassegnazione ma il suono della volontà di non arrendersi. Ci racconta dei suoi studi e dei 12 chilometri che percorre a piedi quotidianamente, da quando aveva sei anni, per andare a scuola e solo dopo aver aiutato la mamma nella mungitura delle pecore. Ci racconta del suo arresto e dei ripetuti interrogatori a cui è stata sottoposta, perché attivista nel movimento di resistenza non violenta del suo villaggio. Parla dei sacrifici della sua famiglia per pagare il suo rilascio su cauzione che le vieta la possibilità di partecipare ad ogni attività “politica”. Poi si rivolge a Awni, il traduttore, prima di stendere una mano nella direzione di Luisa Morgantini. Quella mano è una carezza di riconoscenza verso una donna che da anni lotta e combatte al loro fianco, affinché il conflitto israelo-palestinese possa concludersi nella pace di un trattato che sappia riconoscere equamente i diritti e il territorio sottratto alla nazione palestinese. Luisa le accarezza una spalla, e quel tocco materno, solo quel gesto, serve a disegnare e a raccontare a tutti noi, l’amore di questa straordinaria donna per il popolo palestinese. La serata e l’incontro si concludono quando sul tetto della Casa della Pace, la luna ci segnala che è finito un altro giorno. Tornato a casa ho difficoltà a trovare il sonno, risuonano forti le note dei racconti della famiglia Hamamda, li ripeto a me stesso per paura di dimenticarli, e comprendo – a tarda ora – il senso profondo della parola “libertà”.
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