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Posts Tagged ‘Ivan Della Mea’

ResistenzeDicono sia stato in Spagna. La cosa pare certa, ma nessuno che era con lui è tornato. Poi si erano perse le tracce. Volatilizzato. Le notizie sul suo conto, se si può, erano ancora più confuse. Piene zeppe di forse. Semplici ipotesi. Nessuna certezza. Non è con le domande che si racconta la storia. Chi dice che era in val d’Ossola, ma anche chi dice che era sul lago di Garda, a Sirmione. E’ difficile credere a questi ultimi, probabilmente doveva trattarsi di una calunnia, non era tipo da arrivare in ritardo ad un appuntamento. Sicuramente per Venezia ci era passato, ma solo di sfuggita. Poco più che il tempo di scendere da un treno e prendere il successivo.
Il Benito doveva aver già chiesto all’autista di quel camion un passaggio, vestito da tedesco, quando i primi ricordano di averlo rivisto. Aveva un valigia pesante che non appoggiava quasi mai e pareva uno che può permettersi tutto. Aveva alloggiato per un paio di giorni alla locanda e poi s’era stabilito dalla Pina. Del cascinale era rimasto ben poco. E quel poco era nero e sapeva di fumo. Le solite voci sussurrano che quei denari li avesse trovati al mercato nero. Ma se ne son sentite anche di peggiori. Certo che il soldo crea invidia. Certo che il giorno dopo la Pina aveva un vestito nuovo e la vita per lei non fu più la stessa.
Anche da Aristide tirava fuori soldi e di quelli veri. Si azzardava ad offrire da bere per gli amici, così li chiamava lui. Quei quattro perdigiorno con cui non aveva mai fatto comunella. La Luisa gliel’aveva chiesto alla Pina: “E tu cosa dici, Pina”?
E l’altra le aveva risposto: “E’ un eroe” –ma alla Luisella lui non piaceva, e lei ne sapeva di uomini. Diceva solo sottovoce; senza farsi sentire: “Puzza”.
Non era uno da badare alle voci. E di voci in quei giorni ne giravano a mulinello. Già i primi avevano provveduto ed erano scappati, come cani col fuoco alla coda.
E’ uno che sa annusare l’aria che tira. Pochi giorni sparisce. Nemmeno il tempo di salire e già scende in paese. Con in braccio un novantunotrentotto e il tricolore con la croce savoiarda. E tutti lì a dire delle cose. I fratelli Trentin avevano cianciato: “Abbiamo ucciso il porco. Peccato, non s’è potuto fare del salame”. Ma loro eran dei gran burloni. L’aveva detto ridendo. E poi ne dicevan di cose, soprattutto dopo i primi gotti. Nessuno di noi ci aveva creduto. Il podestà doveva esser scappato come tanti. Non ci siamo certo messi a cercarlo. Le cose correvano che non si riusciva a fermarle. E tutti erano come impazziti. Certo che poi, anche loro, si son presi il campo, e si son comprati il camion. Si son messi da soli: “Non vogliamo più padroni.” –e son diventati padroni loro stessi. Certo che questo mica vuol dir nulla. E’ tanto per dire; così, per raccontare. E’ che i padroni son tutti uguali. Anche a essere bracciante dei Trentin sempre bracciante eri. Sempre le pezze al culo portavi. Ma non c’era tempo per queste sciocchezze. Sarebbe stato stupido lasciarci la cotica quando tutto era già finito. E pensavo che s’era già festeggiato una volta. Speravo che non fosse ancora una burla.
Tutti festeggiavano e lui era in prima fila alla festa. Le donne scendevano in strada. Buttavano, a quei ragazzi laceri, le braccia al collo. Qualcuna, fin troppo contenta, cercava di trascinarli in casa. Anche solo per un piatto di zuppa di lenticchie. Le madri tiravano il collo cercando i figli. Noi non s’eran imparate che quattro canzoni. Alcuni in mezzo eran proprio ancora ragazzetti. Per qualcuno quei baci sparsi a caso eran il primo bacio. La Cate era sulla porta; l’ho vista da lontano. Su alcune finestre s’era messo il tricolore. La nostra bandiera era tutta d’un colore. Qualcun altro, non l’abbiamo visto, in preda all’euforia ha rovesciato tutto il comune. Sparse per la piazza c’eran cartelle di chiamata e un sacco d’altre carte. Uno, non ricordo chi, mi fece notare che in quel momento non c’era. Ho tirato su le spalle pensando che s’era infilato in qualche letto. Il Ruvido per gioco s’è messo a corre a presso a una gallina. Lì, in mezzo alla confusione. E altra confusione si mischiava alla prima. E grida. E quelli che correvan dai campi. Con le falci e le roncole e le forche. Non c’era il tempo di pensare ad altro tranne che era finita. I bambini giravano intorno curiosi. Qualcuno di loro chiedeva cioccolata. “Non siamo mica gli americani”.
E’ uno che sa stare in un solo posto: seduto con i vincitori. Non era mai solo. Mi son tolto il fazzoletto e ci ho asciugato il sudore. Dovevo ricordarmi qualcosa che non ricordato. Eppure l’ho guardato a lungo, e lui sembrava impaziente. Avevo anche una fame che non ci vedevo. Eppure il viso di quel suo amico, il Corrado, l’avevo già visto da qualche parte. Era una faccia che non mi piaceva niente. Gli camminava sempre a fianco, era la sua ombra. E a volte mi guardavano in un certo modo e bisbigliavano tra loro. Ma con me lui era sempre gentile, un po’ troppo.
Non gli mancavano certo le donne ma continuava a restare con Pina. Giravano certe voci, che lui non la poteva lasciare perché lei sapeva troppo. In soldoni lei doveva sapere dove ha trovato le lire. E le voci quando diventano troppe creano il sospetto che qualcosa ci possa essere. Cioè la superfice borbottava come il mosto. Poi la Pina è scivolata, nel buio, già da una ripe. E le voci sono diventate silenzio. E di lui s’era tornato a parlare di eroe. Per quella storia della Spagna e per altre storie. Storie raccontate solo dopo. Di cui sapeva solo lui. E chi le aveva sentite da lui. E lui s’era consolato subito. Con una che si faceva chiamare Margueritte. E si diceva francese ma parlava un livornese stretto stretto. E tutti se l’eran passata come Antonia o Tota. Quando ancora non era signora.
Adesso che aveva una sciarpa di piume lunghe e sottili e le labbra rosse come ciliegie allora chiedeva il lei. E gli si aggrappava come fosse una regina. Gli dico: “senti, com’è quella storia della Spagna”? Mi dice: “Lascia stare, cose passate. Li si battagliava davvero. Erano tutti eroi; soprattutto quelli che non son tornati”. Ma io insisto: “Tanti, quasi tutti, ma il Gene è tonato. Lo sapevi”? Lui sbianca. “Anche il Gene, Barcellona”. Lui sbianca. “E quel tuo amico, il Corrado, ora ricordo: a Sondrio. La prima volta l’ho visto a Sondrio. E poi anche peggio. Brutti posti. Brutti ricordi. Ed era vestito tutto di nero. Sai? col teschio e i coltelli in croce”. Non può sbiancare più. È bianco come il lenzuolo sopra il morto. Si fruga dentro a cercar la voce. “Non devi pensare… Guarda che… e poi nella confusione. Era un’altra patria quella patria”.
Patria? Una fifa da far pena. Lo giuro qui davanti all’assemblea. Lo tranquillizzo: “Fosse per me”… E gli ho detto della Volante rossa. Che avevano ricevuto la sua foto. E un consiglio gli ho dato. Mi ha ascoltato e ha fatto le valigie. In paese non s’è più visto. Gene non era stato a Barcellona ma a Salamanca. Sempre Spagna era e lui non sapeva. E nemmeno era vera quella della Volante rossa. E’ diventata vera dopo. Di Corrado invece era vero, lo avevano confermato quelli che lo avevano conosciuto. Quei pochi che ancora avevano il fiato. I fortunati o i veri eroi: le vittime. Era stato un porco e uno dei peggiori. Pareva ci godesse. A lui invece non gli è stato detto prima ma dopo. Con un cartello attaccato al petto. Quando lo han trovato a pender dalla vecchia quercia. E sul cartello c’era scritto in maiuscolo stentato: «Oggi e sempre (e a capo) Resistenza».

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Logo del sito Canzoni contro la guerraNon solo una canzone. Se c’è una storia è questa la storia. L’unica storia che conosco. L’unica a cui mi sento legato. L’unica a cui mi sento di appartenere. L’unica che vale vivere. Quell’unica storia di cui si può essere orgogliosi. Quella storia fatta di lotte per la libertà, la pace e la dignità. La storia di un mondo di uomini che ama l’uomo. Chi l’ha tradita, chi non l’ha mai abbracciata, difesa, vissuta, per me non è degno di essere chiamato uomo. Dovrebbe portare il peso della propria vergogna per tutta la vita. E ho bisogno di una canzone, questa canzone, per ricordarla. Per ricordarne la fatica, la sofferenza e persino il sacrificio. Per il mio “Concerto del 1° maggio“: Oggi e sempre Resistenza.

N. B. Per il testo e la traduzione riportati devo ringraziare quello splendido sito che è antiwarsongs richiamabile anche del logo che abbiamo “rubato” e riproposto in testa a questo post.
Cliccando sull’immagine della copertina del disco sarà possibile ascoltare tutta la canzone per intero attraverso il lettore residente nel vostro PC o scaricarla.

Copertina del disco di Ivan Della Mea: Ringhera

El dieciocho día de julio
en el patio de un convento,
el dieciocho día de julio
en el patio de un convento
el Partido Comunista
fundó el Quinto Regimiento,
el Partido Comunista
fundó el Quinto Regimiento
.[1]El desdott del mes de luj
int el chioster del convent,
el desdott del mes de luj
int el chioster del convent
i compagn de la ringhera
han faa su el so regiment,
i compagn de la ringhera
han faa su el so regiment.[2]E tira su la bandera,
la nostra Spagna è già rossa
l’è ‘rivada la ringhera,
fazolett giò ne la fossa,
E tira su la bandera,
la nostra Spagna è già rossa
l’è ‘rivada la ringhera,
fazolett giò ne la fossa. [3]1. Luu el g’aveva desdott an
desdott ann, ma de ringhèra,
desdott ann, ma de speranza,
tuta rossa de bandera.
La morosa la zigava,
la diseva “Resta in cà “,
luu la varda: “Devo andare.”
“Devi andare, e allora va’.”L’ha basada, ribasada,
la rideva: che magon,
lee ghe pianta ‘na sgagnada
e la sara su el porton.E la bàtera de ringhèra
tuta insema ‘riva in Spagna,
‘riva cont la so bandera
bela rossa e sensa cragna.El dieciocho día de julio
en el patio de un convento,
el Partido Comunista
fundó el Quinto Regimiento
.
El desdott del mes de luj
int el chioster del convent,
i compagn de la ringhera
han faa su el so regimént.

E tira su la bandera,
la nostra Spagna è già rossa
l’è ‘rivada la ringhera,
fazolett giò néla fossa,
E tira süü la bandèra,
la nostra Spagna è già rossa
l’è rivada la Ringhèra,
fazolett giò néla fossa.

2. Dopo Spagna, la montagna,
ohè, morosa, su, pazienza,
la ringhera, la bandera
la se ciama Resistenza.

Ariva el giorno della festa,
‘riva el venticinque aprile,
la ringhera torna a cà,
la morosa l’è in cortile.

L’ha basada, ribasada
la piangeva, la taseva,
e poeu luu l’ha sgagnada,
l’è scapada tuta ‘legra.

E poeu dopo, ma per trent’ann
operari alla catena,
e poeu dopo, ma per trent’ann
giò in sezion cont la ringhera

A l’han trovaa ch’el cantava
tra i maton e pièn de tèra,
la sezion l’era ‘ndada:
una bomba tuta nera

di fascista, e luu’l cantava
la canzon de la ringhera
e in man, rent a i man
l’ultim tocch ross de bandera.

E ‘l cantava, luu l’cantava
la canzon de la ringhera,
e…

El desdott del mes de luj
int el chioster de on convent,
el desdott del mes de luj
int el chioster de on convent
i compagn de la ringhera
han faa su el so regiment,
i compagn de la ringhera
han faa su el so regiment.

E tira su la bandera,
la nostra Spagna è già rossa
l’è ‘rivada la ringhera,
fazolett giò ne la fossa.

3. Quanta gent che gh’è in piassa
coi compagn de la ringhera
e gh’è anca la morosa,
cont el tocch ross de bandèra.

E che acqua, “ven chi sota,
ven chi sota ma de prescia”,
Urla Brescia, urla e scoppia,
‘na fiamada e la morosa

a l’è morta, tuta morta
mezz al fum col sang per tèra
e in man, ‘renta a i man
l’ultim tocch ross de bandera.

L’ha basada, ribasada
la taseva, la taseva
e alùra l’ha vardada
l’era bianca, e rossa…l’era.

Ross de sang ch’el se squaja
ne la pioggia disperada,
e la mort che la sgagna
tuta intorna on pò stranida.

E la rabia disarmada,
Brescia piange la ringhera
torna a casa senza dona
senza el tocch ross de bandèra…e…

Il ventotto, ma di maggio
i compagn de la ringhera
han gridato: “Su coraggio,
riprendiamo la bandiera.”

E mattone su mattone
han rifatto la sezione
ogni pietra era un colpo
ma sul muso del padrone.

Han rimesso i vecchi panni
quelli cari della Spagna
hanno ritrovato il passo,
quello duro di montagna.

E cantando la canzone
la più bella, la più vera,
e cantando la canzone
la più bella, la più vera
torna in marcia ‘n’altra volta
tuta insèma la ringhera,
torna in marcia ‘n’altra volta
tuta insèma la ringhera.

E tira su la bandera
l’Italia si farà rossa
l’è ‘rivada la ringhera
fazolett giò ne la fossa.

E tira su la bandera
l’Italia si farà rossa
l’è ‘rivada la ringhera
fazolett giò ne la fossa.

E tira su la bandera!
E tira su la bandera!
E tira su la bandera!
E tira su la bandèra!

Il diciotto del mese di luglio
nel chiostro di un convento,
il diciotto del mese di luglio
nel chiostro di un convento
il Partito Comunista
fondò il Quinto Reggimento,
il Partito Comunista
fondò il Quinto Reggimento
.Il diciotto del mese di luglio
nel chiostro di un convento,
il diciotto del mese di luglio
nel chiostro di un convento
i compagni della ringhiera
han fatto il loro reggimento,
i compagni della ringhiera
han fatto il loro reggimento.E tira su la bandiera,
la nostra Spagna è già rossa,
è arrivata la ringhiera,
fascisti giù nella fossa!
E tira su la bandiera,
la nostra Spagna è già rossa,
è arrivata la ringhiera,
fascisti giù nella fossa!1. Lui aveva diciott’anni,
diciott’anni, ma di ringhiera,
diciott’anni di speranza
tutta rossa di bandiera.
La morosa lo sgridava,
gli diceva “Resta in casa”,
lui la guarda: “Devo andare.”
“Devi andare, e allora va’.”L’ha baciata e ribaciata,
lei rideva: che magone,
lei gli dà una morsicata
e chiude il portone.E la compagnia di ringhiera
tutta assieme arriva in Spagna
arriva con la sua bandiera
bella rossa e senza sporco.Il diciotto del mese di luglio,
nel chiostro di un convento
il Partito Comunista
fondò il Quinto Reggimento
.
Il diciotto del mese di luglio
nel chiostro di un convento,
i compagni della ringhiera
han fatto il loro reggimento.

E tira su la bandiera!
La nostra Spagna è già rossa,
è arrivata la ringhiera,
fascisti giù nella fossa!
E tira su la bandiera!
La nostra Spagna è già rossa,
è arrivata la ringhiera,
fascisti giù nella fossa!

2. Dopo la Spagna, la montagna
ohè, morosa! Su, pazienza
la ringhiera, la bandiera
si chiama Resistenza.

Arriva il giorno della festa
arriva il venticinque aprile,
la ringhiera torna a casa,
la morosa è in cortile.

L’ha baciata e ribaciata,
lei piangeva e lei taceva,
e poi lui l’ha morsicata,
è scappata tutta allegra

E poi dopo, ma per trent’anni
operaio alla catena,
e poi dopo, ma per trent’anni
giù in sezione con la ringhiera

L’han trovato che cantava
tra i mattoni, pieno di terra
e la sezione era andata:
una bomba tutta nera

dei fascisti, e lui cantava
la canzone della ringhiera,
e in mano, dentro alle mani
l’ultimo pezzo rosso della bandiera

E cantava, lui cantava,
la canzone della ringhiera,
e…

Il diciotto del mese di luglio
nel chiostro di un convento,
Il diciotto del mese di luglio
nel chiostro di un convento
i compagni della ringhiera
han fatto il loro reggimento,
i compagni della ringhiera
han fatto il loro reggimento

E tira su la bandiera!
La nostra spagna è gia rossa,
è arrivata la ringhiera,
fascisti giù nella fossa!

3. Quanta gente che c’è in piazza
coi compagni della ringhiera,
e c’è anche la morosa
col pezzo rosso di bandiera

E che acqua: “vieni qui sotto,
vieni qui sotto, ma alla svelta”,
Urla Brescia, urla e scoppia,
una fiammata e la morosa

È morta, tutta morta
tra il fumo, col sangue per terra
e in mano, dentro alle mani
l’ultimo pezzo rosso di bandiera

L’ha baciata, ribaciata,
Lei taceva, lei taceva
e allora l’ha guardata
era bianca, e rossa era

di rosso sangue che si scioglie
nella pioggia disperata,
e la morte che morde
tutto intorno un po’ stranita

E la rabbia disarmata,
Brescia piange, la ringhiera
torna a casa, senza donna,
senza il pezzo rosso di bandiera, e…

Il ventotto, ma di maggio
i compagni della ringhiera
han gridato: “Su, coraggio,
riprendiamo la bandiera.”

E mattone su mattone
Han rifatto la sezione,
ogni pietra era un colpo
ma sul muso del padrone.

Han rimesso i vecchi panni
quelli cari della Spagna,
hanno ritrovato il passo
quello duro di montagna.

E cantando la canzone
la più bella, la più vera
e cantando la canzone,
la più bella, la più vera
torna in marcia un’altra volta
tutta insieme la ringhiera,
torna in marca un’altra volta
tutta insieme la ringhiera

E tira su la bandiera!
L’Italia si farà rossa,
è arrivata la ringhiera,
fascisti giù nella fossa!

E tira su la bandiera!
L’Italia si farà rossa,
è arrivata la ringhiera,
fascisti giù nella fossa!

E tira su la bandiera!
E tira su la bandiera!
E tira su la bandiera!
E tira su la bandiera!
(inviata da Riccardo Venturi)

NOTE AL TESTO:
[1] Si tratta della prima strofa, leggermente modificata, del “Quinto Regimiento”, uno dei canti più celebri della Guerra di Spagna. Il testo originale presenta una variante in cui, al posto del “Partido Comunista”, si ha “el pueblo madrileño”, “Il popolo madrileno”. Riporto il testo del canto originale seguito da una traduzione:

El dieciocho de julio
en el patio de un convento
el partido comunista
fundó el Quinto Regimiento.

Venga jaleo, jaleo
suena la ametralladora
y Franco se va a paseo.

Con Líster, el Campesino,
con Galán y con Modesto
con el comandante Carlos,
no hay miliciano con miedo.

Venga jaleo, jaleo
Suena la ametralladora
y Franco se va a paseo.

Con los cuatro batallones
que Madrid están defendiendo
se va lo mejor de España
la flor más roja del pueblo.

Venga jaleo, jaleo
suena la ametralladora
y Franco se va a paseo.

Con el quinto, quinto, quinto,
con el Quinto Regimiento
madre yo me voy al frente
para las líneas de fuego.

Venga jaleo, jaleo
suena la ametralladora
y Franco se va a paseo.

Il Quinto Reggimento

Il diciotto di luglio
Nel chiostro du un convento
Il Partito Comunista
Fondò il Quinto Reggimento.

Venite, forza, forza!
Suona la mitragliatrice
E Franco se ne andrà in culo.

Con Líster il “Contadino”,
Con Galán e con Modesto,
Con il comandante Carlos
Non c’è Miliziano che abbia paura.

Venite, forza, forza!
Suona la mitragliatrice
E Franco se ne andrà in culo.

Con i quattro battaglioni
Che difendono Madrid
C’è il meglio di tutta la Spagna,
Il fiore più rosso del popolo.

Venite, forza, forza!
Suona la mitragliatrice
E Franco se ne andrà in culo.

Con il quinto, quinto, quinto,
Con il quinto Reggimento,
Mamma, me ne vado al fronte
Alle linee di fuoco.

Venite, forza, forza!
Suona la mitragliatrice
E Franco se ne andrà in culo.

[2] È la resa in milanese della strofa precedente, con i compagn de la ringhera al posto del Partido Comunista.

[3] Il ritornello che chiude ogni parte della cantata.

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Pagina di quotidiano sulle BR e i dissociatiBea ci aspettava in macchina. Pronta. Il motore acceso. I tergicristallo spartivano il nevischio. Si controllava il trucco nello specchietto. Davanti e dietro la strada era deserta e scivolosa. Marcia. Il cielo quasi livido, e bianco. Il venerdì non era certo il suo giorno favorito.
Raia era al suo posto, davanti alla porta. Il bavero alzato. Gli occhi sottili come lame. La barba appena non rasata. Teso come una corda tesa. La sigaretta che gli pendeva. Stretta tra le labbra strette. Lasciava scorrere gli occhi lungo il corridoio.
Sono entrati decisi tra la sorpresa generale. S’è fatto subito silenzio. Un silenzio solido e presente come una lastra. I passi suonavano secchi. Attraversano decisi la stanza. Diretti a lui. Senza tentennamenti. Senza il minimo dubbio.
Afro teneva le mani in tasca. Affondate con aria minacciosa. Il suo volto sfida i presenti. Non c’è tempo per aspettare tempo. I bicchieri restano fermi sorpresi. Il relatore del momento stringe le pagine fino a farsi male alle nocche. Ha ancora l’ultima sillaba tra i denti. E quell’aria da servo.
Sesamo strappa il manifesto e si avvicina. Deciso. Sembra il festeggiato. Lo prende per il bavero. Per un attimo ne ha pena. La deve cacciare. Gli respira addosso. Da così vicino. Come a regalargli il suo disprezzo. Sente il proprio alito caldo. E il dolore della paura. E’ solo un attimo e lo sputa. Lo colpisce giusto in faccia. “Zitto! Per i compagni traditi”.
Poi si rivolse agli altri muti: “Chi si vende una volta è in vendita sempre”. Appoggia la rivendicazione sul tavolo. E se ne vanno prima ancora che qualcuno abbia solo l’attimo di riscuotersi.

 

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Lasciatevi meravigliare da Lei, dal suo mondo, dalla sua prosa. Non credo esista un modo migliore in grado di ricordare Ivan. Le sue canzoni sono state un ottimo compagno di viaggio e continueranno ad esserlo.

16 ottobre 1940-14 giugno 2009

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Scelta scontata.

Come ho avuto già modo di dire precedentemente sul dopoguerra italiano forse non si è scritto abbastanza. A mio modestissimo parere, nel nostro paese, avviene una sorta di secondo rinascimento. Cesare Pavese, poeta e romanziere, è, per molti versi, una figura centrale di questa rinascita della cultura. Non lo accomuna a Pasolini solo il fatto che scrivessero sia versi che prosa o la loro morte violenta anche se diversa.

Ho voluto accostare la più conosciuta tra le sue liriche con una canzone che amo particolarmente per come racconta l’Italia di quegli anni, veramente quella che precede e accompagna il boom, e perché al suo interno si ricorda come Pavese fosse riuscito a diventare “uno di noi”, cioè a entrare in relazione, anche strettamente empatica, con il lettore e le persone del suo tempo.

Cesare Pavese: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

22 marzo ’50

Ivan Della Mea – Te se ricordet, Gioan, de me fradel¹ [Audio “http://se.mario2.googlepages.com/TesericordetGioan.mp3”%5D


1] Dato che sembra che WordPress abbia deciso di smettere di emettere suoni posto un modo alternativo per sentire ugualmente il pezzo Te se ricordet, Gioan, de me fradel

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Forse sembrerà incredibile, come è sembrato a me, ma è un americano (Alan Lomax) ad insegnarci a fare ricerca musicale ed, in un certo senso, a dare rispetto anche alla musica cosiddetta leggera e popolare e alla tradizione orale.

Mario DG

Nel nostro paese non si è ancora sopito completamente l’impulso nato dalla liberazione e dalle sue aspettative di una società altra e di una cultura altra o di una rifondazione della cultura. E’ ancora intenso il dibattito sul rapporto tra politica o potere e, appunto, cultura e intellettuale. C’è anche un mercato alternativo e un modo diverso di fruizione rappresentato da I dischi del sole, dalle Edizioni del gallo, dai Giornali murali, dai circuiti politici che ruotano intorno ai partiti della sinistra, etc.
In quegli anni c’è anche una musica solamente italiana e dialettale (ma in molti casi si guarda ancora alla Francia) che darà anche corpo a quella canzone che verrà definita politica. I primi nomi che vengono in mente sono certamente quelli di Jannacci e di Gaber, che ruotano attorno a Milano e sui quali è criminale non soffermarsi.
Dovremmo doverosamente spendere fiumi di inchiostro per inquadrare almeno un minimo i fermenti che animano quella Italia eppure ricordare Maria Monti e tanti altri nomi come quelli del gruppo di giovani musicisti torinesi, tra i quali Sergio Liberovici, Fausto Amodei, Emilio Jona e Michele Straniero, che partecipa al rinnovamento della “canzonetta” e che si riconoscono nel gruppo nominatosi I Cantacronache. Ci troveremmo costretti a spingerci ben in là del mondo musicale in se stesso e valutare l’importanza di Franco Fortini e di Giorgio Strehler e di Dario Fo e di Roberto Leydi e di Gianni Bosio con il suo Istituto Ernesto De Martino, etc. (e ci scusiamo per gli esclusi). Sono anni di semina e di recupero.
Torno a ripetere che non c’è spazio sufficiente e poi finiremmo per parlare troppo e non ascoltare nulla. Inoltre non amo certo fare il saccente e così invece abbiamo scelto proprio un Toscano di Lucca trapiantatosi a Milano che scrive, negli anni presi in esame, alcune delle pagine più significative di quella musica politica (con Paolo Pietrangeli, Giovanna Marini, i fratelli Ciarchi, i veneziani Gualtiero Bertelli e Alberto D’amico ovvero Il nuovo canzoniere italiano e Il nuovo canzoniere veneto, etc.) che accompagnerà la stagione del ‘68 oggi tanto tornata di moda non solo da noi.
La scelta non è caduta su una canzone politica tra le tante adottate a bandiera di quei giorni intensi ma su quel Ivan Della Mea dialettale che con El me gatt (Omicron-Della Mea) del 1963 riesce a tracciare un bel ritratto di un’Italia che non ha ancora conosciuto la ricchezza e il riscatto eppure è fiera. Mirabili restano dell’autore, a nostro modesto parere, alcune ballate che vanno al di là dello stesso impegno politico e attraverso le quali ripercorre le tappe della nostra terra e del suo dopoguerra.

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