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Posts Tagged ‘Mia Martini’

fulmineNon si può sempre ritornare a ritroso. Dopo tanti fatti narrati Abramo aveva già imbandito il tavolo per lo sposalizio e tutti gli addobbi e, povero vecchio, si avviava lentamente a finire di vivere i suoi centosettantacinque anni, era in attesa di buone notizie dal suo servo. Isacco, il suo unico figlio, era in attesa forse anche più ansiosa. Nessuno dava ascolto a quel figlio legittimo e lui non molto aveva da dire. Silenzioso era quasi sempre stato silenzioso e nemmeno troppo acuto. A questo proposito è bene, anche se superfluo ricordare, il fatto del monte, quando ignaro si era prostrato per il sacrificio senza capire, fino all’ultimo e oltre, che era destinato a lui e non all’agnello il coltello brandito dalla mano virile del genitore.

Sorge legittimo un dubbio che ci giunge da lontano: ma se l’uomo è discendente diretto della stirpe creata da Dio (e da Adamo), chi ha creato tutti i popoli ostili che quel “popolo eletto” incontrava continuamente nella sua strada? Cioè se discendevano tutti dalla stessa famiglia e dalle stesse donne, su ciò meglio stendere un pietoso velo, ovvero: se erano tutti fratelli, e fratellastri, e anche cugini, chi aveva creato i nemici?
A sentire ancora Lei le storie di quegli uomini che diventavano padri senza nemmeno accorgersene dovevano finire, ma aveva il sospetto che non avrebbe vista quella fine. E a dirla tutta, se ci troviamo spesso a ricapitolare, invocando la clemenza del lettore, è anche per merito di Lei, non Lei ma Lei, l’altra; quella contemporanea. In carne e ossa. Dicevamo che anche la sua parola, di Lei, è parola di Dio e allora disse: “Certo che poco si parla dei suoi simili fatti ancora più suoi simili, cioè dei giganti. Per non dire degli angeli, mica si saranno fatti da soli. Che Lui li manda a portare un messaggio e quelli si prendono le loro libertà e vogliono mettere opinione. E nulla si dice dei suoi simili fatti proprio sputati a sua immagine e somiglianza, uguali uguali a Lui, tanto da essere anche Loro Lui. A parte Lei, cioè io, che una qualche differenza c’è ed è anche evidente, ma sempre a sua immagine e somiglianza. E non sorVolo nemmeno su quel sputati perché questo vizio di sputare ce lo dovremmo togliere tutti. Non è per niente bello che, con la scusa di dare la vita, a uno gli si sputi in faccia. E’ tanto meglio farlo nel modo tradizionale. E anche più divertente. A parte casi particolari; e se ne vedon già molti. Al limite si potrebbe infilargli un biglietto in bocca. Soprattutto a quelli che poi debbono strisciare tutta una vita. Una sorta di post-it con quattro o cinque informazione d’uso. Come un manualetto: vai e fai; che non è nemmeno una brutta idea”.
24. La storia, la nostra Storia, non si può certo fermare su un bisticcio di genere. Mentre se ne discute, e senza soffermarci sulle modalità del giuramento che gli erano state richieste, e che nemmeno a Dio eran piaciute, nel frattempo il servo fedele di Abramo s’era recato in Aram Naharàim, alla città di Nacor. Per i geografi dobbiamo digredire per precisare che si era recato in un posto imprecisato tra due confini, non essendo ancora stati creati i cartografi –spesso pare che tutto questo sia di frequente raccontato con la logica del dopo. Ora il servo fedele –Dio aveva chiamo il servo solo Servo, ma a volte anche schiavo e altre, raramente, oppresso– 10aveva recato con sé ogni sorta di cose preziose e dieci cammelli –si sa come in quei paesi di lingua araba vi sia la consuetudine di barattare le cose con cammelli, qualche volta anche in modo improprio. E il povero signor Servo fece fatica immane per 11far inginocchiare le dieci bestie fuori la città nei pressi del pozzo. Le bestie non volevano piegare le ginocchia e lui voleva esser certo di ritrovarli al ritorno; non è che si fidasse proprio molto. Ma lui, scaltro, aveva scelto quel posto perché vi si recavano le donne e lui non le disprezzava certo, le donne, anche se doveva sceglierne una per il suo padrone, cioè per il figlio del padrone. Diede un paio d’ore libere all’angelo e poi il Servo, che non era certo un servo sciocco, anche per togliersi dagli impicci scaricò parte di quella responsabilità invocando Dio con queste parole: “14la ragazza alla quale dirò «Abbassa l’anfora e lasciami bere», e che risponderà: «Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere», sia quella che tu hai destinato al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato bontà verso il mio padrone»”.
Dio invocò la clemenza celeste perché ce le aveva piene, nel senso di tasche, di essere messo in mezzo anche per simili sciocchezze, pure per fare il mezzano, perché era stanco di sentirsi chiamare continuamente di qua e di là, e anche sopra e sotto, e perché avrebbe avuto ben altro da fare. Comunque, come si sa, Dio vede e provvede, e anche un po’ di fortuna non guasta, e così Servo 15«non aveva ancora finito di parlare, quand’ecco Rebecca, che era figlia di Betuèl, figlio di Milca, moglie di Nacor, fratello di Abramo, ‘che’ usciva con l’anfora sulla spalla».

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Premettendo doverosamente e decisamente che trattasi solo di un gioco di parole e niente ha a che vedere con la realtà e con personaggi della vita Anna aveva, come tutte, più grande amica: Irma. In questo caso s’erano conosciute fin dalle elementari trovandosi poi a completare gli studi, fino a tutto il liceo, affiancante in banchi adiacenti nella stessa classe. Poi Anna era andata a studiare a Urbino, Lettere e Filosofia, e quella era una città a misura d’uomo ovvero, come nel suo caso, anche di donna. Era stato il periodo più bello della sua giovane vita e sentiva l’amica di tanto in tanto. A volte le pareva vicina, a volte lontana. Solite cose, solite parole, ma i “così così” o i “bene” dell’altra non la tranquillizzavano e aveva spesso un suono strano; era certa che qualcosa non andava proprio per il verso giusto. Poi anche con Francesco era finita e Anna aveva deciso di prendersi una lunga pausa, una vacanza lontano dal quotidiano e, soprattutto, dalle faccende di cuore. Quella con quel ragazzo, Francesco, era stata solo una piccola storia e lei in fondo aveva bisogno di starsene un poco da sola, magari anche di qualche buon libro. La solitudine non le aveva mai fatto paura e poi c’era anche il suo gatto. Finito di leggere anche l’ultimo libro della Wu Ming Foundation decise di ritrovare quello spicchio del suo passato che per disinvoltura e per l’età l’aveva vista serena. Fece la valigia, prese il treno ed avvertì Irma che arrivava; la trovò piangente. Si fece una tazza di caffè prima di affrontare il dramma e poi la raggiunse sul divano.
Irma si era innamorata. Lui era sposato. Storia a tinte forti priva di qualsiasi anomalia. Dramma della gelosia e commedia degli equivoci. Di storie come quella ce n’è una letteratura completa, ma la sua era la sua. Piena di “non ci si può credere credere” e di “ma tu non puoi capire” come di “mi segui”? Una storia, naturalmente, fatta più di intervalli e di solitudini. Lei era andata a vivere con un amica, una certa Giorgia, per essere libera. Si vedevano lì, da lei, o in macchina o dove capitava; quando potevano farlo. Durava ormai da un paio d’anni; dall’estate delle vacanze a Rimini, ed erano due mesi che lui non si faceva vedere: “Quella puttana che gli rovina la vita vuole portarmelo via, e adesso non risponde nemmeno più al cellulare; ma io lo chiamo a casa”. Le raccontò che erano tre giorni che non usciva dal pigiama. A causa del malumore aveva litigato anche con Giorgia ed ora stava cercando un buco dove andare. Intanto tirava su dal naso. “E lui”? “Lui cosa”? “Non ti potrebbe?”… “Non voglio. Non gliel’ho mai chiesto. Non se n’è mai interessato”. “Cazzo! Ma non gliene importa nulla”… “E’ solo che non può. E’ sempre tenero, quando stiamo insieme. Sicuramente avrà dei problemi. Chissà quanto sarà in ansia”.
In ansia un cazzo! Mica è facile parlare con chi non vuole sentire, con una donna che fa all’innamorata. Disperata. Non aveva consigli da dare. A consolare non si era mai sentita troppo brava e il quel momento le dava un leggero imbarazzo. Era strano ma non era sorpresa che Irma si fosse infilata in un guaio; che si fosse messa con l’uomo di un’altra. A pensarci bene quella puttana, Graziana, era la moglie e la conosceva anche abbastanza bene. A pensarci meglio forse per Irma era solo l’idea della passione oppure se la raccontava oppure era un fatto solo di orgoglio; succede e più che spesso. Forse semplicemente non voleva accettare di essere rifiutata, che fosse l’altro a dire quel “Basta!” ma poteva anche essere tutto vero. Cosa ci fosse andata a fare a Rimini non se lo chiedeva, con il sospetto che se la fosse cercata. Magari per una stupida scommessa. Avrebbe voluto evitare tutti quei particolari. Le felicità. L’infelicità. Il desiderio di una normalità. L’insaziabilità di lui.
Certo che lui era stato un vero stronzo, niente da portare meraviglia: difficile trovare un uomo che non lo sia. Bastava vedere come si girava e come guardava le donne. Bastava osservare quanto era pieno di se. Cosa ci trovassero non le riusciva proprio di capirlo: la libido ce l’aveva scritto negl’occhi. Era sempre stato quello che era. Ce l’aveva scritto in faccia. E poi un uomo è solo un uomo, ovvero un maschio: fagli vedere un po’ di qualcosa, ad esempio di tette, e anche quella poca di testa che ha va a farsi fottere. E Irma era una che non solo si lasciava vedere e che invitava l’occhio a guardarla.
E infine anche lei, l’altra, cioè Graziana, cioè veramente sarebbe Irma ad essere l’altra, era anch’essa donna; donna e vittima. Anna si resi all’improvviso conto che non aveva mai guardato la cosa da un punto di vista simile. Il puttaniere aveva giocato con sufficienza da suo pari con i sentimenti di entrambe, ma questo suo diletto era noto anche per le sue giovani alunne. Era quasi certa che tutto fosse iniziato con leggerezza: per lui ma anche per Irma. Probabilmente per lui era un’avventura come tante, solo che a giocare col fuoco ci si può sempre scottare. Il sospetto era che anche l’amica avesse iniziato spiegandosi che era solo per una sera, per divertimento oppure così senza volerci pensare.
Cioè non che nemmeno lei, l’amica, la cara Irma, fosse molto disposta a faticare per tenersi su le mutandine, ma questa volta era stata diversa, come succede, magari uscendo una sera senza alcuna velleità; eppure lo doveva conoscere. Ed era certa che se la sarebbe risparmiata quella fatica: trovare una risposta per consolazione e trovarsi invischiata in una vicenda ingarbugliata dove bene o male conosci tutti e non sai liberarti di nessuno. Avesse potuto lo avrebbe annientato, giudicato, denunciato all’opinione ma avrebbe dovuto fare altrettanto con quasi tutti gli uomini. Per quel vivi e lascia stare aveva imparato a fatica a muoversi nel mondo reale ma anche a non togliere i pieni da terra. Era passionale ma non riusciva a mentire alla sua razionalità; era sempre stata così. Forse era stata fortunata. Lei non avrebbe mai iniziato una storia così. Poi, riflettendo, tremò: c’era stata vicina almeno un paio di volte. Poi tutto era finito restando amici, anzi conoscenti.
Ci aveva provato anche con lei e forse era stato solo perché in quel periodo aveva dovuto smettere di prendere la pillola. Poi si era arreso quasi subito, forse aveva capito o creduto di farlo che non c’era niente da fare; lei l’aveva scordato completamente. Proprio due volte stronzo. Che poi qualcuna lo lodava ma altre se ne lavavano la bocca, ma non si può mai sapere se è per rabbia o per invidia o per altro. Lui aveva un catalogo di vittime nutrito, certo che a volte le donne sanno proprio essere stupide, e imprevidenti; nonché prevedibili. Per dirla tutta ma proprio tutta nemmeno Graziana se lo meritava. Ma poi perché accontentarsi dell’uomo di un altra per una che avrebbe potuto avere tutti quelli che voleva?

[Audio “http://se.mario2.googlepages.com/GliUominiNonCambiano.mp3”%5D

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Composizione di uno spartito a mò di KandinskiDue canzoni sull’essere donna. Cantate da due grandissime interpreti. Due canzoni che entrano nella carne delle cose. Con molta sensibilità. Senza delicatezze.
Due canzoni scritte, stranamente, entrambe da uomini. Perché quello stranamente? Vero è che le autrici sono decisamente una minoranza, ma queste sono canzoni che riescono a descrivere bene l’universo donna, la sensibilità delle donne; che non si fermano all’aspetto, al culo del problema. L’ordine con cui sono offerte all’ascolto non è cronologico, ma non è nemmeno casuale. Messe assieme mi sembrano quasi complementari. Certo che… mica ne usciamo proprio bene.

Mia Martini: Gli uomini non cambiano. Autori: B. Dati – G. Bigazzi – M. Falagiani. 1992


Sono stata anch’io bambina
Di mio padre innamorata
Per lui sbaglio sempre e sono
La sua figlia sgangherata
Ho provato a conquistarlo
E non ci sono mai riuscita
E ho lottato per cambiarlo
Ci vorrebbe un’altra vita.
La pazienza delle donne incomincia a quell’età
Quando nascono in famiglia quelle mezze ostilità
E ti perdi dentro a un cinema
A sognare di andar via
Con il primo che ti capita e che ti dice una bugia.
Gli uomini non cambiano
Prima parlano d’amore e poi ti lasciano da sola
Gli uomini ti cambiano
E tu piangi mille notti di perché
Invece, gli uomini ti uccidono
E con gli amici vanno a ridere di te.
Piansi anch’io la prima volta
Stretta a un angolo e sconfitta
Lui faceva e non capiva
Perché stavo ferma e zitta
Ma ho scoperto con il tempo
E diventando un po’ più dura
Che se l’uomo in gruppo è più cattivo
Quando è solo ha più paura.
Gli uomini non cambiano
Fanno i soldi per comprarti
E poi ti vendono
La notte, gli uomini non tornano
E ti danno tutto quello che non vuoi
Ma perché gli uomini che nascono
Sono figli delle donne
Ma non sono come noi
Amore gli uomini che cambiano
Sono quasi un ideale che non c’è
Sono quelli innamorati come te

Fiorella Mannoia: Quello che le donne non dicono. Autori: Ruggeri – Schiavone. 1987

Ci fanno compagnia certe lettere d’amore
parole che restano con noi,
e non andiamo via
ma nascondiamo del dolore
che scivola, lo sentiremo poi,
abbiamo troppa fantasia, e se diciamo una bugia
è una mancata verità che prima o poi succederà
cambia il vento ma noi no
e se ci trasformiamo un po’
è per la voglia di piacere a chi c’è già o potrà arrivare a stare con noi,
siamo così
è difficile spiegare
certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui,
con le nostre notti bianche,
ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro “si”.
In fretta vanno via della giornate senza fine,
silenzi che familiarità,
e lasciano una scia le frasi da bambine
che tornano, ma chi le ascolterà…
E dalle macchine per noi
i complimenti dei playboy
ma non li sentiamo più
se c’è chi non ce li fa più
cambia il vento ma noi no
e se ci confondiamo un po’
è per la voglia di capire chi non riesce più a parlare
ancora con noi.
Siamo così, dolcemente complicate,
sempre più emozionate, delicate,
ma potrai trovarci ancora qui
nelle sere tempestose
portaci delle rose
nuove cose
e ti diremo ancora un altro “si”,
è difficile spiegare
certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui,
con le nostre notti bianche,
ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro “si”

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