Mi apre la porta e la riconosco subito. Con Alda avevamo fatto le superiori, un paio d’anni, e non è che non l’avessi notata. Era solo che l’avevano notata in parecchi. Il suo seno era il sogno di quei molti. C’ero uscito un paio di volte, mi aveva tolto la mano. Non ero mai riuscito a cogliere il momento giusto. Sempre qualcosa si era frapposto. “Saranno passati?… quindici anni”. Poi ero venuto a sapere che s’era sposata, ma non sapevo solo il suo cognome da nubile. E come potevo? Così non devo faticare a nascondere la sorpresa di ritrovarmela davanti. Riesco a guardarla negli occhi. Mi fa entrare con cortesia e cominciamo a cercare di ricordare chiedendoci vicendevolmente aggiornamenti e come va? Bella casa, tenuta pulita e in ordine. Luminosa. Segno esibito di una coppia a cui non manca nulla. Pavimenti lucidi. Mobili scelti con cura, e gusto. La porta della camera lasciata aperta. Un bicchiere sul tavolo. Immobili ad ammirarci per ricordare quelli che eravamo e quello che siamo diventati. Il viso è ancora il suo. Gli occhi gli stessi. Non è cambiata molto. Solo ha imparato a truccarsi ma non a vestirsi. I lineamenti sono restati duri, e non possono mostrare certo una grazia e una delicatezza che non ha mai avuto. Sono di uno strano verde, gli occhi. Un’ombra le taglia il viso come un rasoio accecante. Sono già deciso di tornare per parlare con lui. Ho una strana fretta. E’ a questo punto: “Beh! possiamo anche abbracciarci”.
Timidamente all’inizio per prendere poi confidenza dei nostri corpi e del gesto. Si fa più amichevole, più confidenziale, più affettuoso, più accogliente. “In ricordo di brevi vecchi tempi. A lungo dimentichi”. Ha un piccolo colpo di tosse. Il suo corpo si affievolisce e si fa più molle tra le mie braccia, quasi che cerchi un sostegno. Mi respira dietro l’orecchio. “Non sai quanto piacere mi fa rivederti, proprio”… E allora, all’improvviso, il suo abbraccio si fa disperato. Approfitta della mia spalla e scoppia in un pianto travolgente. Che non riesce a frenare. Non ho parole di conforto. Non ho mai saputo trovare nulla in momenti simili se non la voglia di fuggire. E poi c’è quella presenza così viva tra noi due. La presenza del suo seno che palpita tra i singhiozzi. Che mi accarezza il petto. Che mi si schiaccia contro. Cerco di distrarmene senza riuscirci. Cerco di pensare ad altro, inutilmente. Mi sento una carogna mentre mi spiega che “Così all’improvviso. Da quando è venuto a mancare non so farmene una ragione”.
Rifletto su quella formula. Cerca di guardarmi con gli occhi colmi di lacrime. Poi torna a rifugiarsi sulla mia spalla. A nascondervi il viso. A fremere di disperazione. Sento le lacrime bagnarmi la camicia. Temo che dovrò portarla in tintoria, quella giacca. Cerco di consolarla. Le accarezzo i capelli. La sfioro. Sopra la stoffa morbida percepisco il calore del suo corpo. I suoi singhiozzi scuotono quell’abbraccio. La mano scende appena, lungo il fianco, alla cintola, dove si arrotonda il bacino. Era larga già allora di… lì. Lei mi guarda e per un attimo si ferma. Mi immobilizzo, e il pianto ha una pausa. Quegli occhi dal trucco colato hanno una domanda inespressa, forse un rimprovero. Vedono qualcosa che non fa parte del nostro momento. Tolgo la mano e torno ad ascoltare i suoi singhiozzi. E la mia attenzione è sempre più prigioniera del suo seno. Lei torna al suo dolore. Io rimetto la mano dov’era, appena appoggiata, mentre le chiedo imbarazzato notizie della malattia del marito. Si stacca all’improvviso. Tira su col naso: “Cos’hai capito? Pietro. E’ sanissimo quel cornutone deficiente. Figurati. Quello non lo uccide nemmeno il colera. L’ho riempito di corna e se le merita tutte. E’ morto Lillo, Lillo, il gatto. Di lui non mi importa nulla”.
Doveva esserci veramente affezionata. Non ho mai avuto un animale. Non ho mai nemmeno amato la caccia. Ne la pesca. Dovessi esprimere un parere preferirei un pesce rosso. Certo che ha sempre avuto delle belle tette. E sono rimaste belle; sotto la maglia. Provo lo stesso desiderio di toccarle. Cerco di scusarmi. Mi chiede un attimo che si sta riprendendo. Mi ringrazia della mia comprensione. Le lascia, le sue tette, appoggiate a rubare tutte le mie attenzione, ma ora mi fissa negli occhi. Passa il dorso della mano sul viso per pulirli delle lacrime e del rimmel sbavato. Cerca di interpretare un’improbabile serenità. E intanto si sistema la maglia. Accomoda il seno al contatto del mio petto. Ha un appena percettibile sorriso di soddisfazione ammiccando involontariamente alle sue tette. Ne ha consapevolezza, e non potrebbe non averne. Si può dire tutto di lei ma non che sia sprovvista lì. Né che sia ignorante di sé. Non ha mai avuto molto altro di cui andare fiera; almeno credo. E non avrei mai pensato che fossero così sode e… accondiscendenti. Morbidamente attraenti e accondiscendenti al contatto. Intanto la mia mano è rimasta lì, sul suo fianco. Appena più in basso. E lei la guarda. E alla fine mi dice: “Scusami tu. Non volevo. Sta passando. Faccio la brava. Non pensare che… Non è che non lo capisca. Che non me ne sia accorta. Ne avrei anche voglia. L’avrei anche fatto, se lo meriterebbe pure. Lo farei, con te; ma oggi proprio non mi va. Con te. Spero che tu mi capisca. Magari un’altra volta. Magari ti chiamo io. Magari domani. Magari posso prepararti un caffè”.
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Quella presenza tra noi
Posted in Lo scatto (erotico), tagged amore, avventura, Caffè Nero Bollente, carnale, comportamento, confessioni, corteggiamento, Donne, eccitazione, emozioni, Fiorella Mannoia, impudicizia, ironia, lascivia, letteratura, lettura, libidine, licenzioso, ludico, lusinga, lussuria, lutto, malizia, narrativa, parole, prosa, provocazione, racconto breve, scrittura, sensuale, sesso, sessuale, uomini on 27 marzo 2014| 1 Comment »
Donne e buoi
Posted in Da qua all'aldilà, Musica, tagged Abramo, amica, amici, breve, confusione, Creazione, creazione di una superiore civiltà, dio, donna, evoluzione, fame, Fiorella Mannoia, frontiere, genesi, Gomorra, immaginari, ironia, Isacco, L'amore con l'amore si paga, le razze, lingue, mutismo, pensiero, racconto, ricordi, riservatezza, Sara, satira, Sodoma, solitudine, storia, uno, uomo on 16 agosto 2013| 1 Comment »
Questa è la storia di uno di noi, anche lui nato per caso… Come il lettore attento e chi ci ha seguito saprà –impresa pressoché impossibile– che questa non è una storia qualunque ma è la Storia. La Storia di come Dio creò il cielo e la terra. E poi creò l’uomo e lo chiamò uomo, e creo la donna e la chiamò donna –non ci voleva una gran fantasia– e creò il lacchè e lo chiamò Carogna –no! questo è un errore di ricostruzione. Poi popolò la terra degli animali e chiamò cane il cane, e porco il maiale –su questa squallida battuta ci si è soffermati fin troppo– dicevamo: e chiamò porco il maiale ma anche lo stesso lacchè e chiamò moffetta la moffetta –si da il caso oggi sia il giorno della moffetta– poi chiamò Eva ma quella fece la gnorri. Da quel fatto nacque l’Ira divina ma anche il peccato e il prete, per ora solo l’idea del prete, come confessore. Di come poi Dio scatenò sull’uomo la sua Ira, al fine di farne un uomo provo, con gli episodi ricordati di Babele, del diluvio, di Sodoma e Gomorra e tutti gli altri. Nell’istante in cui siamo arrivati il povero Abramo, ormai vecchio e solo, decide che è ora e tempo che il figlio, Isacco, prenda moglie. Ma è anche la storia di come Dio creò altre creature sue simili come gli angeli e i giganti, ancora più simili, e li chiamò angeli e giganti. E di come avesse creato dei suoi simili proprio uguali a Lui per lenire la propria solitudine e quelli si chiamarono ognuno Dio. Ma anche di come tra loro ne creò uno al femminile che si chiamò sbaglio… [scusate l’errore dovuto a certi bisbiglii] cioè si chiamò Lei. Proprio a questo proposito non solo a chi riferisce oggi e qui gli avvenimenti non sembra giusto che tutta questa Storia sia raccontata solo da voce maschile. E allora si torna a dare voce anche a Lei.
Abramo da vecchio non era certo migliorato, e sempre un po’ fissato era. Lui non aveva simpatia per i Cananei, anche se ci viveva assieme e si mescolava a loro. Forse avevano poca cura di sé stessi. Forse puzzavano, forse no. Non si poteva dire un uomo di ampie vedute e anzi era di quelli che: donne e buoi dei paesi tuoi. Passi per le donne, ma anche no. E il gusto dell’esotico? A Lui restava da capire quella cosa dei buoi. A parte piccole differenze soprattutto di corna, ma per quello anche tra gli uomini, a Lui i buoi sembravano pressappoco tutti uguali. Ed era un animale completamente mansueto. Se ne stava lì a sgobbare e a guardare anche mentre il toro faceva le cose in vece sua. E di vacche ne pascolavano per i prati, e anche per le strade, che a essere toro era una gran fortuna. Ma pure una gran fatica. E pure una gran libidine. Meglio esser toro che agnello; ma forse stava facendo confusione e stava equivocando con gli animali. Perché il toro e l’agnello non avevano nessuna parentela; o no? Lei gli spiegava sempre: c’è chi nasce toro e chi nasce agnello. E lui era Dio. E poi Lui mica era nato. C’era sempre stato. Esattamente come la sfortuna. Le lotterie, no!
Ma Lei ormai ci ha trovato gusto a raccontare le cose come le vedeva Lei. Continuerebbe a rilasciare interviste se avessero già inventato i tabloid: “Io denuncio che non sempre ho avuto la calma necessaria, ed è per ciò che tra tanta confusione capita di sovente di dover ricapitolare e magari tornare ad accadimenti già passati. Il tema è troppo importante per tralasciare o sorvolare qualcosa. Sono certa se ne parlerà ancora per anni. Senza alcuna acrimonia ma è palese che io e Dio siamo una persona diversa e con idee e sentimenti diversi, ma siamo altrettanto Dio. Guardate anche quella storia di Sodoma; scusate se mi ripeto. Io glielo avevo detto, vecchio s… Non esiste una guerra gentile. Che distingua gli empi dagli altri, dai goduriosi. Credete che mi abbia dato retta? Questa è la sua Storia, non la mia. Io avrei fatto tutto differentemente, con più amore e meno autorità e rabbia, persino violenza. Ho più e più volte provato a parlarci, niente. Nel mondo ci vuole pazienza”.
“Perché è sempre la memoria che va a ritroso, mentre il mondo va avanti, perciò: RICAPITOLANDO: E’ stato ben Lui a dire, parola Dio, proprio Lui a dire:28 «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra.» –non si può dare colpa a nessun altro perché quel nessuno ancora non c’era. E l’uomo per andare non è andato molto lontano, ma per procreare ha procreato, e tanto; forse più di quanto s’era immaginato. L’uomo ha dedicato all’opera di Dio, al suo comandamento, tutte le sue energie. Forse anche più che a farsi la guerra. Almeno inizialmente. Nessuno ne ebbe a ridire, anzi. Forse solo gli animali da striscio, ma per breve. Si pensò che pensasse ai servi e per quelli… E anche ci tenne, sempre Lui, a ribadirlo, perché ha sempre avuto quel pregio, la capacità di sintesi:29 «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo.30 A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde.» E ridaiela con gli striscianti. E poi c’è la storia dell’abbondanza di erba. Meglio non dirlo. E’ sempre stato meglio tenere la storia dell’erba tra quattro mura; per sé. Diciamo che era per uso terapeutico o per consumo personale. Qualche furbo sostiene ancor oggi che né volesse fare un popolo vegetariano se non anche vegano. Ma questi non vanno d’accordo con nessuno tranne che con sé stessi. E a guardare tutto quel… Creato, sempre Lui, era stato affaticato ma soddisfatto. Tanto che fece dire che 31«era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno» E infatti dopo ciò smise di lavorare; non era ancora stata creata la settimana breve e il cosiddetto sabato fascista”.[1] Né ancora alcuna crisi aveva spinto tutti ad accettare di lavorare in nero e a condizioni capestro.
Tornando indietro
Posted in Musica, Profili, Racconti, tagged amare, avventura, Come si cambia, compagnia, Donne, Fiorella Mannoia, incontro, indifferenza, ironia, letteratura, luna, luoghi, narrativa, noia, parole, passdato, passione, prosa, racconto breve, ricordi, rimpianti, scrittura, sobbalzo, solitudine, strada, uomini, verità, viaggio on 28 settembre 2012| 3 Comments »
Senza le bugie allora impazzerebbero le paure. Senza bugie non saremmo quello che siamo. Non chiedere come sto. “Non ti preoccupare di me; tanto non lo faresti. Non dirmi nemmeno la verità perché ne ho fin troppa di verità. E di piccole cose e di miseria”. E se mi guardo non piaccio nemmeno a me. E allora dimmi bella. E allora dimmi che mi ami. Dillo per favore, tanto non credo nemmeno al tuo nome ma ho voglia di spendere la tristezza. E cerca di crederci mentre lo dici. Cerca di illudermi e di illuderti. E così facile mentirsi che ne vale la pena. Anche se sono solo bolle di sapone.
Strappò alcune pagine dal calendario ma non gli fu di utilità. Avrebbe voluto poterla amare. Ne aveva bisogno. Ciò che diceva di sé gli sembrava comunque quella bugia. Come se dovesse lusingarsi, farsi bello. Chioccia la voce e terribile il risultato. Ricerca di vecchie avventure con la paura del silenzio. Perché le parole non parlano? E ti lasciano quando servono? Anche i ricordi gli rammentavano che non era più quel ragazzo; libero; disposto ad illudersi; capace d’amare. Deve essere questa l’età, questo rimpiangere.
Nonostante le parole di lei si sentiva perso; perso e vuoto. Raccolse un sasso e caricò la fionda. Mirò alla luna perché era inutile sprecare energie per meno.
Ascolta col cuore
Posted in Musica, Tutti pazzi di Lei, tagged amore, coiraggio, donna, Fiorella Mannoia, Franca, Rossana, Rossaura Shani, sacrifici, Sally on 16 marzo 2011| 1 Comment »
Ancora a Lei. Sempre perché il mio 8 marzo non è solo un giorno e non finisce con quel giorno. Sempre per raccontarmi attraverso le canzoni che ho amato ed amo. E per raccontarci. E per raccontarLa. E allora basta chiudere gli occhi. E lasciarsi andare. A questo serve la musica, cioè anche a questo. Se deve esserci una ragione… ma non è necessario; comunque… una ode al coraggio perché spesso il coraggio è donna. E allora vorrei che questa canzone (del Vasco, qui a mio avviso interpretata magistralmente da Fiorella) “cantasse” il coraggio femminile. Anche quel coraggio che la donna deve trovare in tutti i suoi giorni. E lo vorrei cantare per non far finire l’8 marzo e soprattutto perché un giorno non ce ne sia più bisogno. E vorrei che Lei sapesse che la penso col cuore. E non serve che dica ancora una volta quanto amo questa canzone. E questa donna.
Fiorella Mannoia: Sally
Sally cammina per la strada senza nemmeno…
…guardare per terra
Sally è una donna che non ha più voglia
…di fare la guerra
Sally ha patito troppo
Sally ha già visto che cosa…
ti può crollare addosso!
Sally è già stata punita…
per ogni sua distrazione o debolezza…
per ogni candida carezza…
data per non sentire…l’amarezza!
senti che fuori piove
senti che bel rumore…
Sally cammina per la strada sicura
senza pensare a niente!
…ormai guarda la gente
con aria indifferente…
…sono lontani quei momenti…
quando uno sguardo provocava turbamenti…
quando la vita era più facile…
e si potevano mangiare anche le fragole…
perché la vita è un brivido che vola via
è tutt’un equilibrio sopra la follia…
…sopra follia!
senti che fuori piove
senti che bel rumore…
Ma forse Sally è proprio questo il senso… il senso…
del tuo vagare…
forse davvero ci si deve sentire…
alla fine… un po’ male!…
Forse alla fine di questa triste storia
qualcuno troverà il coraggio
per affrontare i sensi di colpa…
e cancellarli da questo viaggio…
per vivere davvero ogni momento….
con ogni suo turbamento!…
e come se fosse l’ultimo!
Sally cammina per la strada… leggera…
ormai è sera…
si accendono le luci dei lampioni…
tutta la gente corre a casa davanti alle televisioni…
ed un pensiero le passa per la testa
forse la vita non è stata tutta persa…
forse qualcosa s’è salvato!…
forse davvero!… non è stato poi tutto sbagliato!
forse era giusto così!?!…
…eheheheh!…
forse ma forse ma si…
cosa vuoi che ti dica io
senti che bel rumore
Quell’uomo; allora
Posted in Tutti pazzi di Lei, tagged breve, diario, età, Fiorella Mannoia, generazioni, memoria, Michele, Non voglio crescere più, paure, racconto, ragazza, Rossana, timidezze, timori, uomo on 20 ottobre 2009| 2 Comments »
Michele. La vita è proprio solo frammenti. Michele! ma lui è un uomo. Perché dovrebbe accorgersi di me? Di una ragazza come me? Hai visto come lo guarda Enrica? E come lui la guarda? Ma lui le guarda tutte. E tutte lo guardano. Ma io sono solo una ragazza. Non ho conosciuto che ragazzi. Chissà come mi giudicherà? Sarei una pazza a chiederlo. Eppure ha pazienza. Ed è bello parlarci. In fondo mi sembra quasi di capirlo. E poi non è nulla. Sono solo io che mi invento le cose. Siamo solo colleghi. Amici. Niente di diverso. Mi fa sentire donna. Importante. Ha attenzioni per me. Quando parlo pare ascoltarmi. E lui è un uomo; non come me. Forse vorrei non esserci. In fondo non è la prima volta. Ma perché ci vengo? E perché con me? E’ che… Come facevo a dirgli di no? E poi perché? Sono solo fisime. Una volta come le altre. Semplicemente una volta ancora. In più. E’ in me se c’è qualcosa che non va. Forse è perché non so nemmeno io ancora cosa sono. Cosa voglio. Eppure cos’ho che va? E cos’ho che non va? Dai che lo sai. Un poco, lui, ti incuriosisce. Perché è di quel mondo che vorresti diventasse il tuo mondo. Degli altri infondo, non mi importa. Dei commenti. Certo che la cosa mi imbarazza. Vorrei che non fosse. Ma forse anche lui mi vede bella. Casa vuol dire essere bella? Cresci ragazzina. Le cose non vanno mai come vorresti. E’ tempo di lasciare i sogni. Prima che siano loro a lasciarti. Infondo hai lasciato tante cose. E prima di lasciarle non te lo sei chiesto. Sono solo cose. Dopo non sono che passato. Cosa rimane? E poi quali sogni? Cosa t’hanno dato; i sogni? Come bolle. Si son dissolti al mattino. Non ero pronta ad essere grande, allora; con lui. Non lo sono ancora. Quella paura. Non era quello che volevo. O forse non con lui. Certo che io la volevo, quella libertà. Era un prezzo troppo alto. Sentirsi soffocare e nemmeno sapere di cosa. Cosa dice?
“Posso darti un bacio”?
Continua a guidare. Perché? Ti sembrano domande? Vorrei non l’avesse fatta. Sei proprio una stupida. Cosa ti aspetti? Rispondigli. Non serve. Lo capisce da solo. Perché dovrebbe fare differenza. Parla già il mio silenzio. Miodio, gl’occhi. Vorrei non glielo dicessero, gli occhi. Che non capisse che ormai lo voglio anch’io. In fondo che cos’è? Solo mostrarsi una stupida ragazzina? Che sarà mai? E poi sono di quelle domande. Lui la sa già la risposta. Forse le donne rispondono. Forse lui si aspetta… Non ha bisogno. Non aspetta. Gli anni passano anche per te, bella mia. Però sa un buon odore. Vorrei sentirmi le sue mani addosso. Devi esserti impazzita. Non può essere così; senza nemmeno una promessa. Quasi solo curiosità. Spero finisca subito. E ha quel distacco. Quasi una indifferenza. Se non fosse lui me ne sentirei colpita, offesa. Che senso ha un bacio che non è un bacio. Un bacio come questo. E’ solo cercarsi le labbra. Frugare distrattamente nell’altro, pensando ad altro. Vorrei fuggire. Essere adulti è essere uguali. Non può essere imbarazzato. Sono io, quella. Scusami, conosco solo un ragazzo. Ma non era diverso. E non lo conosco più, quel ragazzo. Non so nemmeno se lo conoscevo. Non lo voglio ricordare. Nemmeno ha più un nome. Era tutto sbagliato. E’ stato meglio così. Non mi va di pensarci. Hai ragione, Michele: era tronfio con la sua divisa. E con quella sua aria. La sua arroganza. Un piccolo padreterno. Ad aspettare fuori. Eppure non lo dovresti dire. Non tu. Forse tu non puoi sapere cos’è essere ragazzi; giovani. Tu sei di un’altra generazione. Forse gli uomini sono uomini così. E che il mondo gli aspetti; gli uomini. Eppure mi sono sentita distaccata. Come se non mi appartenesse. Come fosse un’altra. Ti prego, metti in moto. Torniamo. Mi sento confusa. Non sono nemmeno riuscita ad abbandonarmi, tra le sue braccia. Che si sia accorto che ero imbarazzata? In fondo non lo può sapere che per me è importante. Ma è importante; veramente? Non è stato diverso dalle altre volte.
“Per te cosa vuol dire”?
Gli devo essere sembrata proprio una sciocca. Ti sembrano domande da fare? Eppure vorrei che mi rispondesse. Mi imbarazza questo silenzio. E questa strada che sembra non finire mai. E vorrei essere già a casa. Che senso ha tutto questo? Ma domani è un altro giorno. Ci si ritrova come sempre. Ci si ritrova in ufficio. Sarà un giorno come un altro. In fondo che cos’è un bacio? Un semplice bacio? Le cose le complico io. Cosa può essere per uno come lui? Non molto più di nulla. Certo che era una domanda proprio stupida. Tanto per farsi riconoscere. E lui è un uomo, e un uomo sposato. Meglio così. Almeno resta niente. E mi sento più libera. Non ho nemmeno il dubbio per sognare. Pare così sicuro di sé. Dovrei sentirmi in colpa? Però avrei creduto fosse più bello. In fondo non è stato che un bacio. Uno stupido bacio. Anche distratto. Frettoloso. Senza trasporto. Forse curiosità di sapere se sapevo baciare. Ma cos’è un bacio? Io non so se so baciare. L’ho mai imparato veramente a fare? In fondo non mi ha dato niente. Eppure lo avrei pensato migliore. Credo ci possa essere di più. E questa strada non è che una stupida strada. Ma non si può continuare a baciare cercando di trovare il bacio. Quello che ti fa sognare. E forse le cose sono solo così. E un bacio non è nient’altro che un bacio. Ma dev’essere bello fidarsi della sua fiducia. Sentirsi sicure. Perché lui è sicuro. Eppure, in quel momento, non lo sembrava. Sembrava anche lui come lui. Quasi come me. E’ solo un attimo. Quasi senza sapore. Eppure tutto questo silenzio. Il frastuono di questo silenzio. Non sono certa di capire i suoi gusti. Forse è solo che non sono il suo tipo. Lui è così maturo. Io non lo sarò mai. Io con le mie stupide letture. Il mondo è reale. E’ quello che ti trovi davanti. E’ quello che ti mettono di fronte. Non so se sono mai stata quella ragazzina. Non ci voglio pensare. E non mi posso legare, come non lo potevo fare. Niente torna indietro. Ho bisogno ancora di vita. Però vorrei che mi dicesse una cosa carina. Anche solo almeno: ci vediamo domani? Certo che ci si vede. Ci si vede tutti i giorni; stupida.
Una rosa secca
Posted in Racconti, tagged amore, breve, Fiorella Mannoia, L'amore con l'amore si paga, malinconia, prosa, racconto, ricordi on 24 luglio 2009| 2 Comments »
Raccattandolo, nel soffiar la polvere, ritrovò quella Rosellina secca tra le pagine 40 e 41. L’aveva raccolta lei: “Ti ricorderà di me”. Non ci aveva più pensato. Né l’aveva più rivista. Chissà dov’era? E com’era? La ricordò come allora, con tenerezza, Carla. Era stata una storia durata pochi mesi. Troppo poco -pensò. Erano ragazzi allora. Si trovò un poco ad immalinconirsi. Era tenera Carla. Forse era tenera la loro età. Improvvisamente divenne presente. Molte cose che aveva perso tornarono presenti. Come se venissero a bussare al porta di quella sera. Come se rivolessero il loro spazio; con decisione. Ma soprattutto lei. Il suo odore. Le dita sottili di Carla. Il suo modo di ridere. Quel suono acerbo. I piccoli seni. Quel preciso mattino senza scuola. Quel sentiero e il silenzio e le cicale che lo moltiplicavano, quel silenzio. Le cose che avrebbe voluto dire. L’imbarazzo. I suoi ritardi. Avrebbe voluto vederla. Alcuni rimpianti divennero lancinanti. Si ricordò che aveva cercato di dedicargli alcuni versi. Ora li ricordava ed erano goffi. Ne provò una tarda vergogna. Non era mai stato molto bravo con le rime. L’aveva capito da solo. In seguito aveva smesso di provarci. Sentì affacciarsi una lacrima. Accettò quel pianto per quello che non era stato e non era più.
Facile
Posted in Politica, Spinola e... dintorni, tagged amministrative, candidato, elezioni, Fiorella Mannoia, La storia, sindaco, sinistra, Spinola on 11 novembre 2008| 4 Comments »
Dovesse finire anche domani, ma non finirà, non avrei creduto potesse essere così.
Mi ferma Martino al Bar da Clara. Passavo di fretta. Era aprile, era maggio; proprio come nella canzone. Mi invita. Lo faceva spesso, allora. Forse c’è una simpatia spontanea, naturale, nei miei confronti. Mi ricorda, con una banda di giovani di ottime speranze, tutti a sudare per condurre una campagna elettorale faticosa e sorprendente, ma sfortunata. Immersi nella folla, ma a quella folla, alla fine, sono mancati un pugno di voti. Prendiamo un caffè tranquilli. Mi chiede: “Cosa pensi di fare“?
Lo guardo: “Un bel niente tondo. Passare di passaggio. Finire il caffè. Prendere il pane e tornare. Cosa intendi“?
Lui è sempre così tranquillo, o quasi: “Perché non mi aiuti? Almeno… pensaci“.
“Non c’è niente da pensare. Sono stanco. Ho dato, pagato. Perché“?
“Perché non puoi mollare“.
“Perché dovrei farlo“?
Infondo nemmeno mi conosce – “Sono socialista“.
Questa è bella. Torno a guardarlo; è proprio socialista, debbo quasi nascondere la sorpresa. Lo strano è che non provo sorpresa alle sue parole. Nemmeno mi viene da scherzare. Esistono ancora, e lo fanno oltre le chiacchiere.
“Io no! cosa vuoi fare“?
“Politica. Provare. Cambiare“.
“Che ti servo? Sono uno. Nessuno. Vorrei guardare“.
Lui crede in me ben oltre a quello che potrei crederci io anche in un momento di euforia alcolica. Crede in sé quanto io in me, cioè come allo stesso niente. Non ha ancora pensato a come si può fare. Non conosce molto il territorio, è sempre stato impegnato lontano. Ci è sempre venuto solo per dormire. Poi si è trovato a governare un partito all’ultima partita. Io ho un improvviso sospetto di poter credere in lui e che, volendolo, qualcosa si possa provare. Poi, mai rifiutato aiuto ad alcuno. Gaetano ci guarda entrambi. E’ un’amicizia che sta prendendo corpo la nostra, recente. Forse è l’unico, Gaetano, a credere in qualcosa: nei suoi due pazzi nuovi amici.
Anche se cerco di non pensarci quel breve colloquio mi ha messo la pulce. Tanto lo so da solo che tenere le mani in mano non ci riesco proprio. Mai stato bravo a farlo. Nessuno mi crederebbe. Manca poco più di un anno alle elezioni amministrative. Il tarlo mi tarla. Le sfide mi stuzzicano. Vediamo. Sono uno di parte. Diciamo un comunista. Un comunista a modo mio, anzi sono gli altri a fare i comunisti a modo loro. Non c’è scritto da nessuna parte che per essere di sinistra bisogna limitarsi a gridare e non fare; sia necessario sempre soffrire e perdere. Sono uno abituato ad esporsi fin troppo. Uno che si schiera anche davanti ad una partita a calcio balilla. Mi ripeto questo mio profilo in testa. Gli ingranaggi non si sono del tutto arrugginiti. Il cervello sembra poter ancora funzionare. Ha ragione lui, forse non valgo niente e non gli servo, ma magari mi ci cresce, come per miracolo, un’idea e su quella, l’idea, posso cominciare a lavorare¹.
Sembra impossibile ma a volte l’impossibile diventa possibile. Sembra impossibile e invece succede. Mi rendo conto che qualcosa si può tentare. Quando dico a Martino che possiamo anche vincere, che anzi è più difficile perdere, la crede una beffa. Non è più solo. Non è più solo un sognatore. Mi ritrovo. Mica sono riuscito a cambiare. Sono sempre lo stesso. Forse lui si sarebbe solo accontentato di una piccola apparizione alla recita.
Rispondimi Martino: “Perché mettersi il vestito da festa e poi accontentarsi di mettere appena fuori il naso? Io, a questi, mica voglio mettergli paura. Voglio rimandarli a casa“. I socialisti da soli sono quattro gatti. Faccio più voti io da solo. Con un giro di telefonate. Tanto vale essere ambiziosi. Tanto faccio e tanto dico finché si apre, finalmente, un tavolo con quella sinistra che alle politiche si sarebbe presentata come arcobaleno. La sbattiamo in un angolo. E’ subito chiaro che quelli vogliono gridare il loro orgoglio ma di fare mica ne hanno nessuna intenzione. Dalla loro hanno solo i numeri, cioè li avevano. Loro chiudono quel tavolo, dicono: “Ne potremo parlare più avanti, dopo le politiche“.
Sanno tutti come sono andate le loro “politiche”. Per me la politica ha le sue regole e quello è un gesto politico. Quando parlo di politica ho una sola filosofia: chi vuole farmi la guerra sa di farsi del male. Quando penso alla politica la penso come una cosa seria, fatta di progetti, ideali, impegno, fatica, scevra da interessi personali. Meglio senza zavorra inutile. Magari in giro ci saranno anche rifondaroli che sono compagni, magari anche tra quelli del fantomatico Partito Comunista, qui a Spinola no. Massimo si possono sopportare in quanto pensionati. Pensionati dal lavoro, se mai l’hanno conosciuto, e dalla ragione.
Sì! tanto vale, con un po’ di arroganza, provare a vincere. Anzi evitare di perdere. Lo propongo a Lei. Lei la prende per burla. Poi sospetta. Poi nicchia. Infine, forse per sfinimento, dice sì. Poi si lascia contagiare, si fa prendere dal mio stesso entusiasmo. Si lancia. E’ da Lei. Lei è una che se le cose le fa le fa fino in fondo. Un po’ ci somigliamo. Certo non fisicamente. Anche perché lei è donna, è minuta, piccolina, è soprattutto carina. Siamo come dei “gemelli diversi”.
L’avevo detto sin dall’inizio. Cerchiamo un accordo per il governo della città con il PD. Martino presuppone della superbia, da parte loro; sono il partito decisamente più pesante dell’intero panorama politico locale (38 e rotti% a quelle stesse politiche). Noi siamo di sinistra. Loro, quelli del PD, mi conoscono. Sanno che se dico che mi muovo mi muovo. I numeri li ho sempre portati. Tre volte mi sono mosso e tre volte ho messo insieme buoni numeri. La prima quelli che bastavano a vincere. Tre esperienze ognuna diversa. Ci accolgono con tutto il rispetto che si deve a un tuo pari. Siamo ancora quattro amici del bar e nemmeno ci siamo dati un nome. In compenso abbiamo le idee chiare e la voglia di fare. Spiego a quell’elefante che è il PD che noi abbiamo un candidato che migliore non si può e che se vogliono fare le primarie allora ci costringeranno a vincere le primarie. La nostra ambizione è riunire tutta la sinistra mandando a fare in culo chi crede che la sinistra sia solo una sigla e una tessera. Compreso chi spaccia per rivoluzionario promettere chimere.
Ho polemica e parole infinite e appassionate per tutti, soprattutto per chi le cerca. Meglio gli intelligenti al governo e gli stupidi all’opposizione. Non mi credo ma non mi faccio problema se sono gli altri a credere in me. E questi mesi, intensi, sono stati una grande esperienza umana.
Torna a suonare la nostra canzone [Audio “http://www.fulminiesaette.it/_uploads/musica/rock_mus/Mannoia – La storia.mp3”] Fiorella Mannoia: La storia
1] Quella che in questi giorni racconta la storia, spacciandolo per Enrico, è Lei; sarebbe un ottimo candidato sindaco. Lui, Martino, il segretario dei socialisti, sarebbe un ottimo capolista. Dovevo già farli incontrare da prima, comunque. Due amici che valgono più di qualsiasi vincita alla lotteria (e con Gaetano siamo a tre). Detto: fatto! Beh, forse non proprio così semplice. Il tempo di convincerli, soprattutto la Lei. Ora Lei è la mia proposta di candidato e lui, Martino, di capolista.
Dell’impegno
Posted in Lettere, Politica, Tutti pazzi di Lei, tagged amore, appagamento, associazioni, bellezza, comitati, commento, condivisione, consigli, coppia, dialogo, diario, felicità, Fiorella Mannoia, Franca, ironia, Lei, lui, Musica, passione, Politica, pudorfe, ricette, Rossana, Rossaura Shani, Sally, scrittura, sensibilità, vissuto, viverew on 12 luglio 2011| 2 Comments »
Cara Meravigliosa Compagna
Già mi sembra stuzzicante e gradevole cominciare così una lettera, e dico stuzzicante e gradevole per non usare toni da iperbole. Inoltre mi sembra assolutamente poco frequentato. C’è una gran voglia di vivere nel dettato delle mie parole. Sentimenti forti. E lo faccio seppure l’argomento mi crei sempre, come sai, un certo imbarazzo. Il timore del rischio di usare le parole per farsi bello (belli?). E denuncio la presenza sempre di una componente di ironia nel contesto. Io ripeto che non ho ricette e non posso suggerire la mia che è solo mia e funziona solo alle nostre condizioni. Quello che per noi è sogno potrebbe non esserlo per gli altri. Soprattutto IO come sogno mi sembra una bestemmia. Anche per un comune senso del pudore. Ma perché una lettera? Perché parliamo e parliamo cominciando a farlo presto il mattino, con una gran voglia di “trovarci” e comunicare. Di cosa si parlava stamattina? ah sì! del debito. Ma non abbiamo barzellette migliori da raccontarci? A volte scopriamo spazi che ci sembrano adatti ad essere poi comunicati. Così abbiamo fatto dopo una conversazione, che poteva sembrare faceta, sull’uso che fanno le donne del bikini. Era, lo ribadisco, un pretesto. Così hai fatto nel tuo ultimo post. Forse quel post avrebbe dovuto chiamarsi “Amore e impegno”, oppure “Eros e Titoli di Stato”. E dell’amore, più che altro dell’amore, si è parlato; anzi io ho parlato soprattutto di quello. Non diffusamente, certo confusamente, ed era un po’ voluto, con molti omissis, ma di quello. Ma i termini da te posti erano due ed erano, in quel contesto, indissolubili. Condividere interessi e ideali è certo un grande aiuto all’interno di una coppia, di un rapporto. Non scordando l’influenza e l’ingerenza della fortuna e di una grande spinta di attrazione che trascina l’uno verso l’altro, e tracima, cerco di vedere il territorio infido in cui ci inoltriamo. Dire di amare la lettura non ha un valore qualitativo. Può dire di amare la lettura chi ritiene, come me, Kafka il più grande scrittore del novecento e chi ritiene Faletti, il nome è preso a caso tra gli autori che si potrebbero definire da spiaggia (senza offesa), il più grande romanziere a cavallo del secolo. Possono dire di amare il cinema quelli che cercano in un film un impegno civile, politico, stilistico, narrativo o comunque un impegno e quelli che fanno la coda davanti alle sale quando proiettano i “film panettone” e/o i famosi colossal; etc. Chi ha ragione? I termini non stanno qui. Io non mi sento un “impegnato”. Indulgo spesso vittima della mia pigrizia. Mi distrae questo nostro amore di cui vorrei non perdere un solo attimo. Mi impaccia un momento della “Politica”, e dico Politica con la maiuscola e per intendere quella scienza degli ideali ma del possibile, molto difficile e di crisi. Essere impegnati trova significato nella parola stessa. Non basta essere attenti, non basta essere sensibili a questo e/o a quello, impegnarsi è partecipare. E’ dedicare tempo e fatica e con una certa continuità. E non è facile. I partiti stanno sempre più diventando dei contenitori vuoti atti a distribuire solo privilegi. Creano impacci e difficoltà di movimento quanto di identificazione. Frustrazione. Sai che mi sto interrogando su quali nuovi strumenti possono essere adatti e sul come metterli in atto. E perciò che mi sento di dire che nell’amore metto tutto il mio impegno, ma il mio impegno “civile” mi pare oggi, non solo per mia colpa, alquanto carente. Ancora, ma forse ancora per poco, i partiti restano i soggetti adatti a veicolare le politiche e a farsi portatori di esse. Alla fine il militante del voto si rifugia nella pancia molle dei grandi partiti. Cosa distingue uno dall’altro però è sempre più difficile da individuare. Eppure non possono omologarsi tra loro, non possono appiattire le differenze, sarebbe quella crisi epocale della politica spesso paventata. In una condizione simile definirsi “impegnati” rende il pregiudizio di portare ad una rendita snobistica. Se proprio debbo scegliere rischio di preferire quegli incontri fatti per spettegolare di certe riunioni politiche dove tutti hanno l’aria d’essere portatori di una propria grande verità e solo loro capaci di cambiare le cose e il mondo. Spesso alcuni nostri amici sono distratti per impegni personali gravi ed improrogabili, e “stanchi”. Non so fargliene una colpa. Essere così, noi, a volte ci rende ciechi e ci fa credere che il mondo sia così; non vediamo il disimpegno. Ignoriamo alcuni confini del dolore? Tutti tendono a creare un’immagine del mondo simile alla loro piccola fetta di mondo. Parlare all’alba dell’intimità della nostra cameretta del Debito non aiuta il debito e il mondo non sa nemmeno che ne abbiamo parlato. Non dico che dovremmo parlare meno in quella nostra camera con vista solo su noi. E allora, riprendendo senza polemica un frammento di commento, siamo tutti interisti. Il mondo invece è colà. Allora e spesso siamo stati stupidi. Non lo dico per riportare l’argomento sul tema degli affetti. Lo affermò perché alla fin fine è stata probabilmente l’unica volta in cui ho militato in una maggioranza. Il resto della mia storia è fatto di minoranze. A volte è stato accompagnato dall’impegno. Prima di questo noi, e di quello di allora, da un impegno sordo e non condiviso; vissuto intorno quasi alla stregua di una perdita di tempo. Quasi sempre vissuto e pagato con entusiasmo. Ma non è l’impegno l’asse portante di tutta l’architettura del discorso se è meraviglioso, per esempio, recarsi ad un concerto per provare le stesse emozioni. Ti saluto oggi con due parole d’ordine:
RESTIAMO UMANI.
OGGI E SEMPRE RESISTENZA.
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