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Posts Tagged ‘viandanti’

Non sono sempre belli i tempi passati ma non è su questo che qui ci si vuole soffermare. Di gente che attraversa la storia approfittandone è piena ogni epoca, non solo il cinquecento. Anche di interi popoli ancorché anonimi e non solo di orde barbariche e di stupri, poiché la gente può vivere bene anche senza guerra. Racconti dove non c’è necessariamente spazio per eroi o martiri, ma dove c’è sempre il becco e l’altro e spesso i ruoli si invertono e non fa nulla chi è l’uno e chi è l’altro. Le loro avventure sono narrate in molta letteratura, sia scritta che cantata. A volte da semplici testimoni, a volte da giullari in vena di facezie, altre volte dagli stessi protagonisti per vanto e senza rispetto. Come ad esempio nel caso sotto citato poiché il buon fra Giovanni era un gran chiacchierone e dopo qualche goto di vino non sapeva trattenere la lingua tra i denti:
«Durante il banchetto, frà Giovanni si rivolge ai pellegrini: “E i monaci, come se la passano? Corpo di Dio! Certo stan facendo la festa alle vostre donne, mentre voi ve ne andate pel mondo a fare i pellegrini!”
“Ché, ché” disse Gambastanca “della mia io non ho paura, perché chi la vedrà di giorno certo non si romperà il collo per andarla a trovare di notte”
“No, caro, sbagli la briscola” ribatté frà Giovanni. “Potrebb’essere più brutta di Proserpina[9], ma avrà sempre, perdio, la sua ripassata[10], finché ci sono dei frati nei dintorni: com’è vero che un buon artigiano sa mettere in opera tutto quel che gli viene alle mani. Che mi venisse la peste se non è vero che le troverete tutte gravide quando tornate a casa: perché dovete sapere che anche soltanto l’ombra del campanile di un’abbazia è feconda.”»[1]
Ma questa è una storia dei nostri giorni o quasi; vera o quasi. Storia di un personaggio minore di cui nessuno si sarebbe dato pena di ricordare il nome, piccolino anche in altezza. Lui non era né un pellegrino né un saltimbanco, tantomeno un monaco di cui non aveva né la vocazione né la pazienza, preferiva la bestemmia. Era un uomo semplice, sapeva a malapena leggere ed era ignaro di storie e leggende. Non stava andando né a Roma né a Velletri, che Roma non l’aveva nemmeno mai vista nemmeno da distante. Banalmente era di passaggio per trattare la vendita di pecore. Era un semplice viandante con quattro soldi in tasca e il bagaglio minimo per passare due giorni e una notte distante da casa. Per farla breve doveva passare a malincuore quell’unica singola notte in quel piccolo borgo.
La locanda era una sola e apriva la porta, sotto un lampione, proprio al centro della piazza. Il nome non ha alcuna importanza, servirebbe solo ad alimentare ulteriormente le chiacchiere paesane. Il vino si poteva bere e l’arrosto accompagnato con la polenta bollente non era poi così male e nemmeno troppo bruciato. A dirla tutta di quel vino l’ospite ne approfittò un po’ facendo due chiacchiere con l’albergatore. Non si vedevano spesso estranei da quelle parti. Era un uomo robusto, alto con la barba rada e le spalle larghe e una voce che sembrava tuonare dal profondo di una caverna, ma era gioviale. Al muro c’era un cartello che il viandante non riusciva a interpretare, ma del cui significato non ebbe l’ardire di chiedere al padrone: Chi si prende il latte si prende anche la vacca. Lui si intendeva solo di pecore ma sapeva, anche senza averlo letto, che la vacca è un animale docile e mansueto.
Quello che un poco lo infastidiva in quell’uomo era solo la risata grassa e divertita e che alla fine gli appioppasse delle gran pacche sulle spalle che gli rimbombavano persino in testa. Come aveva immaginato avevano ancora una stanza libera, l’unica dell’immobile. La locandiera uscì dalla cucina e salì per andare a rassettare la camera e a rifare il letto. Gli occhi del padrone la seguirono attenti in ogni movimento ma lei aveva lasciato solo uno sguardo rapido al tavolo. Portava una gonna lunga e un corsetto. Non si poteva dire fosse una donna bella. Era alta e in carne e anche lei con le spalle larghe e due seni gonfi e appena penduli. I lineamenti e le movenze un po’ volgari e dozzinali. Ma non l’aveva osservata che per quel breve attimo in cui era passata.
Un po’ per il cibo abbondante e il vino, un po’ per il viaggio, un po’ per le chiacchiere, un po’ perché si doveva levare presto pagò cena e stanza in anticipo e decise di ritirarsi. Salì la scala traballante e scricchiolante di legno e prese possesso del suo alloggio. Poggiò per terra il piccolo bagaglio. La stanza non era nemmeno troppo piccola nonostante quel letto enorme e il grande armadio. A lui sarebbe bastato anche un singolo a una piazza ma come detto nell’albergo c’era solo quella a disposizione. Un fuoco scoppiettante ravvivava il caminetto e le coperte sembravano sufficienti e ben imbottite. Si lavò mani e viso nel catino, poi uscì per servirsi del bagno in corridoio. Aveva veramente sonno perciò si sbrigò in fretta e si rifugiò sotto la trapunta con un sospiro di soddisfazione rilassando le stanche membra.
Doveva essersi addormentato subito di un sonno profondo senza sogni poiché non udì cigolare la scala. Pensava che nulla lo avrebbe disturbato, come lo aveva rassicurato l’oste, ma udì nel silenzio e ancora mezzo intontito aprirsi e socchiudersi la porta per colpa di cardini vecchi e un poco arrugginiti. Non aveva chiuso a chiave giacché gli sembrava di potersi fidare ed era certo che non si trattasse della sua porta, invece si sbagliava. Allora si ritrovò all’improvviso ben sveglio e si fece attento. Sentì il frusciare sull’impiantito di pochi passi trascinati e attenti. Dopo un attimo sentì scostarsi e sollevarsi le coperte. Si fece sul bordo e sentì il tepore di un corpo scivolare al suo fianco.
Dai capelli riccioluti e lunghi, dalle dimensioni dello spazio di cui abbisognava e dall’odore d’arrosto riconobbe che si doveva trattare della locandiera; della moglie dell’oste, ne era quasi certo. Lei si fece vicina senza fare un fiato e gli mise un dito sulle labbra per far tacere anche lui. Non aveva più la gonna né il corsetto né nient’altro addosso. Aveva sentito il fruscio degli abiti che scendevano quando era stata vicina al letto ma non lo aveva identificato o non ci aveva pensato. Ancora un po’ stava dormendo e un po’ si stava interrogando. Non fu capace di ubbidire del tutto a quella donna ed esclamò solo sorpreso, seppure piano: “Corpo di Bacco”.
Nel buio le donne non sono né belle né brutte, sono solo donne. E un po’ di ciccia in più non da fastidio, anzi. E’ tutta abbondanza e calore e morbidità. I tempi cambiano ma gli uomini no, e nemmeno le donne. Era meglio non pensarci e non pensare al dopo, limitarsi solo al presente. E allora di quei seni larghi e appiattiti nella posa se ne riempì le mani con entusiasmo e cominciò a impastarli come si fa per fare il pane. Lei gli regalò un risolino sottile e silenzioso e allegro. Gli domandò cosa lo avesse spinto là, da loro. Gli chiese se gradiva vederla e si interessò per le sue preferenze. Lui rispose a tutto con dei silenzi disponibili e accondiscendenti. Allora lei lo cercò senza mettere a lui né a sé fretta né ansia. Gli disse piano che era piccolo poi gli sussurrò con ammirazione che era grande. Lo abbracciò stretto affogandolo in sé e… Proprio in quel preciso istante, prima ancora che veramente cominciasse a consumarsi il fattaccio, spalancò la porta e irruppe nella stanza e accese la luce accecante lo sposo della donna, il grande e grosso albergatore sbraitando: “Te l’avevo detto o no? Ti avevo avvertita. Non ci si può mai fidare dei forestieri”.
Lei balzò seduta cercando di coprirsi per quanto potesse con le mani le tette: “Non è come credi”.
Lui si rintanò sotto le coperte che si tirò fin quasi agli occhi cercando di farsi piccolo e cercò di spiegare mentre gli passava all’istante la voglia: “Stavo trattando con la qui presente signora sua moglie, la quale mi aveva assicurato d’esser d’accordo con lei, un buon affare per due pecore e un agnello allor quando la signora ha avuto un mancamento e allora… solo per farla respi”…
Voleva spiegare che lui non aveva assolutamente nessuna colpa e che non era successo niente. Preferì non continuare e tacere seguitando a cercare di nascondersi. L’omone doveva sentirsi esser preso per stupido e si infuriò ancor di più anche se il contadino non era convinto che quella fosse la prima volta che il marito si trovava in quelle circostanze. Gli occhi della moglie non riuscivano ad interpretare bene e in modo convincente almeno una parvenza minima di vergogna, anzi lei sembrava sul punto di scoppiare a ridere. L’ospite temeva potesse finire a legnate. Il gigante non riuscì a trattenersi e si vide costretto a ricorrere ad essere scurrile e volgare Rivolgendosi prima alla donna e poi all’uomo pagante: “Questa volta è l’ultima volta. E tu, nel cartello c’era scritto chiaro, chi la munge si prende anche la vacca”. Lui avrebbe voluto solo obbiettare che non serviva prendersela così tanto e che certe parole non stavano bene nella bocca di un galantuomo né tantomeno davanti ad una donna poiché potevano giustamente offendere le sue orecchie; ma l’oste se n’era già andato.
Lui e lei si guardarono negli occhi e finalmente poterono liberare la risata che covavano da tempo. Quando si fu ricomposta lei gli chiese senza darsi pena ne preoccupazione: “Dove si va? Pazienza. Quando si va? Ero stanca di rifare il letto degli altri. Dove stai mio bel principe? Quante pecore hai? Ce l’hai qualche coniglio”? Lui pensò che forse aveva sbagliato a pagare tutto in anticipo. Lui pensò a cosa avrebbe potuto raccontare al suo ritorno che non aveva concluso nessun affare e si portava dietro quella donna una spanna più alta di lui. Cercò di consolarsi pensando che l’ostessa poteva valere anche come un intero gregge ben nutrito di pecore e che potesse fruttare ben più della lana che lui poteva tosare, anche se non l’aveva nemmeno assaggiata, e che in più sapeva anche far da mangiare. Lui e lei si rintanarono sotto le coperte e tornarono a spegnere la luce rimandando il resto al mattino. In fondo forse si sarebbe reso conto di aver fatto un buon commercio e spense la luce.
Tutto ciò che avvenne dopo i fatti narrati non è dato sapere e il pudore comunque consiglierebbe se non proprio proibirebbe di raccontarlo. Si sa solo che nella notte si sentì tuonare e una piccola frana scorticò sette pini e scosse un casolare là sul crinale. Che il viandante si trovò sul lunotto una multa per divieto di sosta. Che il nome della piccola pensione cambiò dall’irriverente «Il montone impazzito; carne di cinghiale» al più sintetico e meno tronfio «Al cervo reale» e che venne sostituita la cuoca. Che non si trovavano più monaci disposti a incarcerarsi al convento. Che il cartello alla fine del paese era lo stesso anche per l’inizio e che il ritorno fu meno faticoso e noioso del viaggio di andata tenendosi per mano e guardandosi negli occhi sognanti. Che invece gli occhi che li avevano guardati partire erano curiosi ma già pregustavano come raccontare quella nuova storia. Che la nerina per quell’anno non avrebbe partorito un agnello, ma che la casa sarebbe stata rallegrata presto da un pargoletto. Il qui presente autore si ferma e tace sulla probabile non certa origine del padre del nascituro. A volte quando si chiude una porta si apre un portone.

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Fran%C3%A7ois_Rabelais
(François Rabelais, Gargantua, Libro primo, capitolo XLV)
L’immagine di campanile col significato di fallo è l’ultima: «anche soltanto l’ombra del campanile di un’abbazia è feconda».

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fulmine«Quando il profeta parlerà’ per nome del Signore e la cosa non accadrà, quella parola non l’ha detta il Signore, l’ha detta il profeta per presunzione: di lui non devi avere paura.»[1]

Ovvero “Meglio viver 100 giorni da leone e mangiarsi le pecore”.
Questa indagine cognitiva, che ficca le sue radici sul terreno che nutre il grande Credo, fin troppo si è soffermata su fatti di relativa importanza, spandendo un piccolo borgo ad universo. Chiedendo ragione al nulla. Elencando liste di perlopiù anonimi contadini e allevatori, elevandoli a condottieri e guide, quando non ad interi popoli. Anche laddove il popolo altro non era che uno sparuto gruppetto famigliare o di goduriosi bisbocciatori. Dove tutti tradiscono tutti e le donne non sono che un mero mezzo passivo della procreazione, più che oggetti solo cose. Dove il sospetto è di la da venire e il dubbio non ha mai fatto la sua omicida comparsa. A questo mondo ancora senza luce, acqua, gas e televisione. Questa indagine chiede che alla Storia siano dati i tempi della storia. Chiede fatti. E ricorda che il mondo, il creato, è molto più grande. Molto più vasto.
 25. Come abbiamo già avuto modo di dire Abramo, vecchia lenza e gran tempra di filibustiere, nonché avventuriero, a differenza del figlio, visse centosettantacinque anni e, sistemato Isacco, pensò bene di sposare «Keturà. 2Ella gli partorì Zimran, Ioksan, Medan, Madian, Isbak e Suach. 3Ioksan generò Saba e Dedan, e i figli di Dedan furono gli Assurìm, i Letusìm e i Leummìm. 4I figli di Madian furono Efa, Efer, Enoc, Abidà ed Eldaà. Tutti questi sono i figli di Keturà». Tutti gli altri ventri invece che fecondò erano di concubine e i dintorni furono presto colmi di voci di bimbi, più o meno contenti. Gli illegittimi meno. Allora un po’ per la confusione, un po’ perché non voleva sentire lagnanze e un po’ perché non amava vederli bighellonare senza costrutto, questi li mandò 5«»verso il levante, nella regione orientale». Ma dopo tanta fatica il povero vecchio giunse stanco ma soddisfatto alla fine dei suoi giorni.
9«Lo seppellirono i suoi figli, Isacco e Ismaele, nella caverna di Macpela, nel campo di Efron, figlio di Socar, l’Ittita, di fronte a Mamre. 10E’ appunto il campo che Abramo aveva comprato dagli Ittiti: ivi furono sepolti Abramo e sua moglie Sara». Di dove fosse sbucato tale Ismaele nessuno fa menzione. Forse imboscato al banchetto di nozze ed in amicizia con quello che chiamava fratello. Forse un illegittimo che furbescamente s’era guadagnato la simpatia di quel padre. Forse semplicemente un viandante. Si fanno ipotesi ma non di più. Certo è che Isacco non era tipo da badarsi da solo e perciò allora 11«dopo la morte di Abramo, Dio benedisse il figlio di lui Isacco e Isacco abitò presso il pozzo di Lacai-Roì»; dove il servo aveva incontrato sua moglie Rebecca, prima ancora che lui la conoscesse, e dove abitava il padre di lei, nonché suo zio.
Solo in seguito si venne a sapere che Ismaele era figlio di 12«Agar l’Egiziana, schiava di Sara» e concubina del vecchio. Quello stesso figlio che era stato dal padre cacciato e costretto prima nel deserto e poi in Egitto. Spero il lettore non me ne voglia se ci risparmieremo l’elenco dei figli generati da quel figlio di illegittima di Ismaele. Quel figlio che si sospetta accelerò la dipartita di quello stinco di santo del padre. Ai fini della comprensione dei fatti vi è la nuova credenza che quella lista sia un’inutile perdita di tempo e una sfida alla pazienza. Basti sapere che vennero elencati 16«secondo i loro recinti e accampamenti»; e che «Sono i dodici prìncipi delle rispettive tribù». Perché dodici figli mise al mondo anche quella lenza di Ismaele che pare avesse preso dal padre, dal padre in età avanzata. Altrettanta poca rilevanza ha che 17«La durata della vita di Ismaele fu di centotrentasette anni», infatti lui morì giovane. Tali meticolosità possono essere utili solo agli storici che di meticolosità sono già adusi da sé e per disciplina. E possono esser sopportate solo dagli stoici.
Per una sorta di destino anche Rebecca era sterile, come prima Sara, e anche Isacco chiese aiuto al Signore; anche perché erano passati ormai vent’anni e lui non ne poteva più di sentirsi dar la colpa. Ancora una volta Quello si spazientì ma ancora una volta decise di aiutare il giovane. Però questa volta preferì non mandare né viandanti né angeli, non per sfiducia, ma per sospetti. E dopo l’intervento del Signore 21«Rebecca divenne incinta» per un parto gemellare; non di due figli ma di due popoli. Difatti 25ancor prima che il rossiccio Esaù, tutto pelo ed esuberanza, 26trascinasse alla vita il fratello Giacobbe afferrato al suo il calcagno, era chiaro che tra i due non ci sarebbe stata che discordia. Infatti Dio, o chi per Lui, aveva detto alla mamma: «Due nazioni sono nel tuo seno, e due popoli dal tuo grembo si divideranno; un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo». Il primo fu cacciatore e prediletto dal padre –più che quel figlio il padre in verità adorava la fettina– il secondo fannullone scioperato, sempre sotto la tenda, e perciò prediletto dalla madre. Mai che i due andassero d’accordo; come in ogni famiglia che si rispetti. Ma Giacobbe era un furbo di tre cotte e 29buon cuoco, mentre Esaù era tipo da vendersi anche l’anima 30.34per una minestra di lenticchie. Non c’era pace tra gli ulivi, cioè non era destinata quella terra, e quelle genti, a trovare pace.

Per l’immagine ringraziamo Enrico Mazzucato dal cui profilo Facebook l’abbiamo rubata. Come possiamo vedere tutta questa storia, e gli eventi narrati, e la terra promessa (da chi a chi?), e il popolo eletto stanno sotto il dito mignolo della mano destra del mondo.


[1] Da Wu Ming : Altai – © 2009 by Giulio Einaudi Editore s.p.a., Torino. Pag. 265

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