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Archive for 18 ottobre 2008

Da domani non apparirà più il mio racconto mensile del 19 sul sito-rivista-amicale fulminiesaette; inutile andare a cercarlo. Scrivendo i racconti con largo anticipo sarebbe un peccato sprecarlo e allora, pur non essendo giorno di racconti, lo posto sotto.

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Lui era certo che fosse la sua battaglia e, tutto impegnato, cercava di abbattere le mura con la sola forza della parola. La sua determinazione veniva rafforzata leggendo negli occhi degli altri la meraviglia. Quegli occhi stupiti che nascondevano dietro sé il naturale compatimento per tutti quelli che si apprestano ad una battaglia illusoria come i grandi autori di fanfaronate.
Forse per umanità, o forse per impazienza, i suonatori di tromba imbracciarono i loro strumenti (seguirono le cornette e i tromboni). Si dice che un dio nero sistemò il charleston e prese lentamente posto dietro la batteria, ma questo non è certo. Superfluo sottolineare che era musica divina. Certo è che le trombe lanciarono suoni di cristallo contro il cielo e quelle pietre si sbriciolarono per diventare polvere. “Buon giorno sorella Maria e buongiorno fratello Giovanni, adesso comincia la storia“.

L’impresa successiva non poteva che consistere nella grande muraglia cinese ma quella aveva quei pertugi, la cosa non era per niente delle più semplici. Certo che sono le imprese epiche quelle che spettano agli eroi e li aspettano. Diversamente non sarebbero eroi, e poi le cose comuni le possono fare tutti. “Non so se vi ho mai parlato di Maria e Giovanni. Credo di no“. Ma forse i pazzi siamo noi.
Non è dato sapere perché i vecchi abbiano quella dolorosa e stanca necessità di raccontare e raccontarsi, cioè non è mai stata fatta nessuna seria ricerca in merito. Si sa solo che i vecchi sono vecchi e come unico carattere distintivo hanno quello dell’età. Lui portava pazienza con Tino ma anche la pazienza ha le sue condizioni e i suoi limiti. A volte richiede un certo stato d’animo o una particolare predisposizione. Spesso lo lasciava parlare ma non lo ascoltava e si soffermava in queste sue riflessioni silenziose mentre le parole dell’altro si facevano bisbiglio di sottofondo. “Quando trovarono il suo corpo cioè il corpo dell’uomo cioè di Giovanni. Se ricordo era di domenica. Faceva caldo. Erica era appena tornata dalla messa“. Così ragionano i vecchi: mescolando le cose, o almeno certi vecchi o almeno lui.
Limitiamoci ai fatti. Con una certa indulgenza si possono aggiungere i pettegolezzi, niente di più. Sarebbe inutile cercare di spiegare chi è la Maria di questa altra storia, non si può ridurre una vita in poche righe; soprattutto nel suo caso. Si può solo, con certezza, dire che Maria e Giovanni erano una coppia. Interessa lei. Lei lo amava, ma amava anche le borsette di Luigi Mengatti, e le scarpe coi tacchi, e la salsa di soia, e le calze a rete, e le baleari, e i reality show dove si poteva piangere e parteggiare e sentirsi buoni, e la viennese, e soprattutto amava l’amore. Non fin dall’inizio, anche quello si impara, e anche dell’amore ci si innamora, ma all’inizio di questa storia è la pura e sacrosanta verità.
Naturalmente il mistero era tutt’altro che un mistero, un po’ come ogni segreto di pulcinella, ci sarebbe arrivato anche un bambino. Chi è quel mentecatto che non lo sa: si è sempre vittima di chi si ama. Bastava cercare la donna. D’altro canto è assolutamente improbabile che venga uccisa una persona che non è viva. E la donna non era certo distante: per la cronaca stava sbocconcellando pasticcini tranquillamente seduta ai tavolini della più nota pasticceria della zona, le gambe accavallate e bene in mostra. E forse lì, per chi lei riteneva degno di giustificazioni, stava già elaborando la scusa che “la sua voglia troppo viva subito si esauriva, in quattro baci e una carezza“. Potremmo dire che non era così? In queste cose non vi è mai certezza, e non è mai elegante mettere il naso nelle faccende altrui.
Era una splendida giornata di marzo, per quanto può essere splendida, cioè buona, una giornata a marzo. Non sai mai cosa metterti addosso. Guardi il cielo e quello ti mente. Porta nubi e le spazza. Corre come non sarebbe d’obbligo correre. Come se anche le ore della sera avessero fretta. Finisce che ci si veste sempre troppo o troppo poco. Lei era vestita per uscire.
Da un po’ la carne stava lasciando Maria. La realtà è sempre stata che Maria non ha mai saputo essere una sola. Non era mai stata così bella, per il mare sarebbe stata pronta ma… forse aveva cominciato a preoccuparsi troppo presto. Un paio di chili; si era detta. Succede che le cose scappino di mano. Non avrebbe mai creduto ma il viso, quello si, era smunto; ingrigito. E gli occhi s’erano fatti un poco fondi. E dagli con il trucco e qualcosa si ottiene.
Ma Maria era una di quelle donne di cui si dice che si lasciano guardare. Non che fosse immune dalla testardaggine degli anni, ma era ancora solo un accenno, pareva a lei, ed era ancora una bella donna (questo lo potevano vedere tutti). A dirla tutta non c’era molto da vedere. Da un po’ era cambiata. Vestiva in un modo che non c’era più molto da lasciar vedere, che svelava ogni suo mistero, e che non lasciava posto ad alcuna fantasia. Due bottoni in più slacciati. Quelle gambe accavallate, lo abbiamo già detto, e la gonna che risaliva fin oltre a dove attaccavano le calze a fasciarle le cosce. Una vera manna per le ricamatrici di chiacchiericcio. Una vera distrazione per i presenti e i passanti. Le parole incespicavano e gli occhi vagavano errabondi e distratti anche per la ricerca di pudori e giustificazioni. Solo quelli di Gaetano, occhi, la sfidavano in un atteggiamento arrogante. Del caffè era stato versato sul bianco fresco di bucato di una camicia, naturalmente assolutamente maschile.
Arrivarono per dovere interrompendo l’interesse di tutti e fornendo nuovi argomenti, e anche nel caso specifico fu faticato dovere fatto malvolentieri. Arrivarono in un certo senso tardi (non è una novità) perché cominciava già da un pezzo a girare la voce che Maria era donna di molti.

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