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Posts Tagged ‘nozze’

Fortuna vuole che non solo di guerra e morte si parli in questa Storia; nella Storia. Qualche volta c’è anche qualche bella notizia. Come quella di Isacco e Rebecca. Come sappiamo il deserto è un grande mare ma di sabbia, senza acqua. Come il mare è pieno di onde. Per quella sabbia scorrono fiumi di sangue. Per una donna ne potrebbero scorrere altrettanti, come raccontano bene quelli che credono agli dei. Noi, che non ci crediamo, per ora parliamo solo dell’amore e della gioia degli sposi. E fortuna che son finiti i tempi in cui anche a parlarne era pronto il patibolo.

fulmine24. Qui le cose vengono raccontate così come si sono state tramandate, per filo e per segno. Parola del Signore, cioè parole al posto di quelle del Signore: 61«Il servo prese con sé Rebecca e partì. 62Intanto Isacco rientrava dal pozzo di Lacai-Roì; abitava infatti nella regione del Negheb». Non c’è verso di scoprire un minimo di arte della sintesi. Va ben bene la precisione ma Isacco non s’era mai mosso ed era sempre lì. Lì dove ancora tutto è deserto. Bighellonando senza costrutto 63«Isacco uscì sul far della sera per svagarsi in campagna e, alzando gli occhi, vide venire i cammelli». Proprio in quel mentre, manco farlo apposta, 64«Alzò gli occhi anche Rebecca, vide Isacco e scese subito dal cammello». 65«E disse al servo: «Chi è quell’uomo che viene attraverso la campagna incontro a noi?». E alzarono gli occhi anche i cammelli volgendoli al cielo. «Il servo rispose: «È il mio padrone». Allora ella prese il velo e si coprì. 66Il servo raccontò a Isacco tutte le cose che aveva fatto. 67Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l’amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre».
Ora perché tra tanta compagnia il Servo avesse preso con sé Rebecca è argomento di lungo contendere. E di maldicenze. Ai quali noi non daremo seguito. E perché non avesse preso con sé altri, ad esempio le ancelle, o quella vecchia arpia della nutrice, non è certo. Ciò che successe durante quel viaggio non è mai stato preso in considerazione dalla grande cronachistica della voce delle indiscrezioni. Ciò che conta è che la fortuna arrise loro e arrivarono tutti sani e salvi. Isacco vide quella donna dal volto coperto, ma tanta era la sua brama che non aspettò nemmeno se lo togliesse. Più che portarla la trascinò nella sua tenda, ed è comprensibile visto che il giovane aveva ormai raggiunto l’età di quarant’anni e anche la sua curiosità sulle donne aveva avuto modo di diventare matura. Lui recava in fondo al cuore ancora la perdita della mamma; povero cocco. E non si venga qui a paragonarlo a quella leggenda di Edipo. Quello era greco e si sa com’erano i greci; dei gran sporcaccioni. E poi quella era leggenda e questa è Storia, e per di più Sacra Storia. Così Isacco prese in moglie Rebecca e solo dopo i piccioncini pensarono al matrimonio. Non si sa se Rebecca avesse conservato quel Dono di Dio: la verginità. Maligni sostengono che ci troveremmo davanti ad un altro dei tanti misteri. Il primo ma non l’ultimo del genere.
Soprattutto con questi narratori, meticolosi, puntigliosi, minuziosi, pignoli, pedanti, parolai, sarebbe inutile parlare delle nozze. Le nozze sono nozze. Vista una viste tutte. Non ci sono nozze sacre e nozze profane. Anzi c’è il rischio che anche la prima notte si divertano più gli altri degli sposi. Si sperpera un capitale per dar da mangiare ad una ciurma di affamati. Si soppesano i regali e si accatastano in attesa di farne l’inventario e di trovar loro un posto. Si corre su e giù ad accogliere gli ospiti, che solo all’ora ci si rende conto: paiono un mare. In burrasca. Con le famiglie numerose e feconde è sempre così. Sai quanti parenti hai solo quando te li vedi piombare in casa, cioè in tenda, tutti assieme. Quando devi dar loro da mangiare. Allora si gira intorno a vigilare per evitare il più possibile gli infiltrati. Gli uomini ridono e le donne piangono; chi dei due sia più realista è il più grande e inviolato degli enigmi. Qualcuno fa sulla sposa pensieri immondi. Qualcuna e qualcuno li fa sullo sposo, ma pare pochi e con poca fortuna. Tutti la baciano, la sposa, e qualcuno prova a baciarla di più. Qualcuno si prova a cantare, ed allora si capisce che sarebbe l’ora di dar fine alla festa. Il solito stupido cialtrone grida “Bacio! bacio!” incitando al coro. Chi finisce sotto il tavolo in preda all’effetto vigliacco dell’uva fermentata. Gli sposi allora scappano giusto in tempo per la loro ora di gloria. Stanchi da far pietà. Al lumicino delle loro forze. E le testimonianze del dopo sono sempre soggette all’ombra del dubbio. Inoltre Dio non ne vuole sapere di quelle cose.

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DiogenePuò finire così, una storia come questa? Una storia che non è nemmeno una storia? Devo essere pazza. Se lo sono lo sono sempre stata. Dovevo pensarci prima. Matteo sembra proprio un ometto. Dovrei farlo almeno per lui. Cuore di mamma. Ma lui ne aveva bisogno allora. Non sembra importargli. Cosa gli posso dare ora? Che senso ha, ora? Avrei creduto che sarebbe stato diverso. Più bello. Semplicemente bello. Stupida. Che succede? Ne hai Paura? Ora? Che senso ha? Esci da questa vasca. Non puoi restartene sempre qui; rintanata. Ti aspettano. Tutti ti aspettano. E lui è di la. Ma vorrei crederci. Non vorrei lo facesse solo per me. Ma chi sono io, per lui? Ancora a farmi queste domande. Lui è qui. Per un caso. Per la pioggia. Ma lui è qui. No! non pioveva. E’ la nostra storia. Forse non una bella storia. Forse me ne dovrei vergognare, ma è la nostra storia. No! è la sua storia. E’ solo mia. Che c’entra lui? E’ quello che hai voluto. Stupida. No! non credevo fosse così… così… poco. Infondo non me ne importa. Credevo fosse importante. Se lo è stato adesso non conta. Non ho bisogno di promesse. Di un’altra promessa. Lui non sa mantenere le promesse. Ma forse questa volta… La vita può essere diversa. E anche Matteo… Lui è mio figlio. Il mio bambino. E’ solo mio. Non voglio che lo sappia. Forse sono stata crudele. Cosa potevo fare. Non si può sempre tacere. Ora lo sai che è tuo. Come mi puoi capire? Come ti posso capire? Tu appartieni al tuo mondo. Io ero ragazza e tu già un uomo. Non sono gli anni a cambiarci. Sono gli anni ad essere cambiati. Ma a cosa servono tante parole. Non uscirò. Non uscirò mai. Vorrei tornare indietro. E sono stata io. Perché l’ho fatto. Perché glielo hai chiesto? E c’è anche mio padre ad aspettarmi. No! non mi importa nemmeno di lui. Mai un gesto. Sempre chiuso in sé. Nel suo ruolo. Lui era un padre. Anche lui, Michele, pare un padre. Non certo il mio. Era già padre. Un padre che non vuole essere padre. E allora perché? A che serve? E’ tardi? Quale favola ci raccontiamo? Ho perso le favole. Sei stata solo una stronza. Era finito. Il suo era un amore già finito. Ora ama me. Come fai a dirlo? Non dico nulla. Non ho più voglia di nulla. Non di parole. E’ passato tanto tempo. Nemmeno lo ricordo quel tempo. Se penso alle cose belle non ricordo cose belle. Sempre solo a farci del male. Perché? Povera stupida. Povera illusa. E’ questa la vita. L’amore non esiste. E allora perché non gli so dire di no? Perché non l’ho fatto? Non posso rimproverargli nulla. Infondo anche Matteo… è solo figlio mio. Io l’ho voluto. Ricordo ancora bene. Purtroppo ricordo tutto. Vorrei poter scordare. E quella passeggiata nel bosco. Non ci riesco. Ci devo provare. Chi può capire quanto è stato duro. E difficile. E chi può sapere quanto lo sarà, ancora. Perché siamo fatti di noi. Vorrei non essere. Vorrei assentarmi da me. Forse sono io che sono fatta male. Forse perché non ho voluto mai crescere. Ma è questo essere donna? Perché nessun addio è stato un vero addio? Rossana, svegliati. Lo senti che ti chiamano? No! non lo sento. Non lo voglio sentire. Non sento niente. Sento solo il tempo che si è fermato. Che non vuole passare. Ti prego, non entrare. E se immergessi la testa; nell’acqua? Tutto finirebbe presto. Sposa. Non mi vedo sposa. Moglie. Lui ce l’ha già una moglie. Cioè l’aveva. Non lo è. Ma non mi sento più. Non sento le braccia. Come dovrei farmi chiamare? Chiamami Rossana. Ma chiamami come non mi hai mai chiamata. Non usare quel tono che usi con tutto. E con le altre. Vorrei essere qualcuna. Ma non basta un vestito per cambiarsi. Per crescere. Non sono altro che una ragazzina. Ma non ne ho più l’età. E abbiamo già un figlio. Io ho un figlio. Lui poteva continuare a fregarsene. Chissà se lo fa per me o per lui. Perché non allora? Forse per paura. Perché non ci credeva più. Non avrò mai le risposte, ma non uscirò mai di qua. Cosa dicono? Cosa gridano? Hanno solo voci. Non ho bisogno di nessuno. Io basto a me. A me e a Matteo. Forse avrebbe meritato di più. Ho cercato di essere madre e padre. Ho cercato. Sono stata stupida. Ancora una volta, stupida. Per l’ultima volta. Non sarò ancora stupida. L’acqua si sta freddando. E’ così dolce starsene qua. Vorrei poter non pensarci. Vorrei non essere qua. Dove? Che ne so. Non ho pensieri.
Lo so che non posso scappare. Non ci sono mai riuscita. Rossana, esci da quella vasca. E’ facile solo da dire. Lui infondo è migliore di sé. No! non entrare. E fuori c’è il sole. Dovrei essere felice. Non so se ne sono capace. Cosa vuol dire: essere felice? Sembra facile da dire. So solo che non avrei mai pensato che sarebbe stato tutto così… Così… So solo che sono solo una stupida. Ha ragione. Hai ragione Michele. Ma cosa ne sai tu, di me. Ancora un attimo. Un attimo e per sempre. Si! scusami. E’ solo colpa mia. Come ti posso guardare? Questo è amore? Non ho bisogno di nulla. Mi basto. Per piacere, vattene. Non sono pronta. Non sarò mai pronta. Non c’è nessun sogno. Cosa fai qui, tutto vestito? Come fosse una festa. Quale festa. Non è la mia festa. Lasciami stare. Dov’è quel vestitino di velluto bianco, o panna? E la pelliccia bianca? A cosa pensi stupida? Avevo scordato tutto. Tutto è così lontano, diverso. E il velo in testa, ricamato a fiori? E le calze di merlo, e scarpette baby, anche quelle bianche? Non è più tempo di sognare. E il bouquet di bucaneve, o roselline, o mughetti, o non-ti-scordar-di-me, legati dal nastro di velluto? E i miei guantini bianchi? Tutto è così distante; perduto. Tutto. E il bianco è un colore accecante. Ero solo una stupida ragazzina, allora. Lo sei ancora. Niente è mai come te l’aspetti. E ci arrivo già donna. Già mamma. Cosa vai a pensare, a ricordare? Non hai più tempo. E’ finito. Non sono mai stata così nuda. In questa vasca. Nel nostro giorno. Nel giorno più bello. Pazza, sono solo pazza. Non è forse questo che hai sempre voluto? No! non sapevo. Non è questo quello che volevo. Che tutto fosse come un sogno. Forse non so più sognare. Non ho mai saputo quello che voglio. Sì! è vero, gliel’ho chiesto io. Lo so che lo voleva. Però. Nemmeno questo. Nemmeno questo ha fatto. Non ho avuto. Non ho dato. Questa è la verità. Arriva sempre il momento dei conti. Niente è stato come dovrebbe. Vorrei avere una vita. Vorrei indietro la mia vita. E le mie lacrime. Tutte. Dimmi almeno: grazie. Il male l’ho pagato col male. Siamo pari. Lo siamo mai stati? Vattene. Per piacere, vattene. Diodiodio! Non guardare i miei occhi con i tuoi occhi. Non dire niente. Ti prego.
“Esci da là, stupida; perché ti amo”.
(finalmente l’ha detto)

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