Un giorno, prendendomi sul serio, mi piacerebbe parlare di quegli anni, del nostro ultimo dopoguerra, ma so già che non corro nessun pericolo di farlo cioè di prendermi sul serio. Mi piacerebbe parlarne perché credo che ci sia ancora quasi tutto da dire e perché mi piacerebbe rintracciare alcune di quelle piccole storie che hanno fatto quella storia. Io credo che nessuno possa smentire che in quegli anni si sia avuta una sorta di rinascimento culturale che ha cambiato alle fondamenta il nostro paese. Dietro alcune monumentali facciate sopravissute alla rovina della guerra c’era una Italia arretrata e arrancante, era tutto da ricostruire. Si trattava di ridare dignità alle persone, di trasformarLa in un paese moderno, di trarLa dall’analfabetismo, di cambiare il “villano” in “cittadino” cioè un “popolo bue” in soggetto di diritto. E’ per questo che ho deciso di “incollare” questa vecchia canzone senza tempo fin troppo nota in molte mirabili interpretazioni.
Basta osservare gli autori per capire immediatamente come allora tutto il nostro mondo intellettuale si stesse impegnando in questa ricostruzione culturale, ma soprattutto morale, del paese. Anni di grande dibattito sulla cultura e il potere gli anni del neorealismo, ma anche gli anni del ricupero del patrimonio della nostra cultura orale, di epocali cambiamenti, di fermenti in teatro e in musica e in pittura e in tutte le arti, gli anni dei giornali murali e di riviste come Il Politecnico e non solo e nuove editrici come le Edizioni del Gallo e tutto quello che girava attorno all’allora Partito Comunista come gli Editori riuniti e i Dischi del sole. Sarebbe da stupidi pensare che si potesse cominciare completamente da zero ma, nonostante lo scontro ideologico in atto, si stava costruendo questa Italia. Se il risultato di oggi non è esaltante non si può scaricare tutta la colpa su quegli anni.
Qui ho scelto di inserire Ma mi, che Jannacci incide per la prima volta nel 1964, nell’interpretazione di un gruppo cabarettistico storico dell’area milanese di quegli anni: I Gufi. [Audio http://se.mario2.googlepages.com/Mami.mp3%5D
Ma mi di G. Strehler – F. Carpi (versione originale in dialetto milanese) |
Ma mi (traduzione in Italiano) |
Serom in quatter col Padola, el Rodolfo, el Gaina e poeu mi: quatter amis, quatter malnatt, vegnu su insemma compagn di gatt. Emm fa la guera in Albania, poeu su in montagna a ciapà i ratt: negher Todesch del la Wermacht, mi fan morire domaa a pensagh! Poeu m’hann cataa in d’una imboscada: pugnn e pesciad e ‘na fusilada…Rit. Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta nott, A San Vittur a ciapaa i bott, dormì de can, pien de malann!… Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta nott, sbattuu de su, sbattuu de giò: mi sont de quei che parlen no!El Commissari ‘na mattina el me manda a ciamà lì per lì: “Noi siamo qui, non sente alcun- el me diseva ‘sto brutt terron! El me diseva – i tuoi compari nui li pigliasse senza di te… ma se parlasse ti firmo accà il tuo condono: la libertà! Fesso sì tu se resti contento d’essere solo chiuso qua ddentro…”Rit. Sont saraa su in ‘sta ratera piena de nebbia, de fregg e de scur, sotta a ‘sti mur passen i tramm, frecass e vita del ma Milan… El coeur se streng, venn giò la sira, me senti mal, e stoo minga in pee, cucciaa in sul lett in d’on canton me par de vess propri nissun! L’è pegg che in guera staa su la tera: la libertà la var ‘na spiada! Rit. (gridando) Mi parli no! |
Eravam in quattro col Padola, il Rodolfo, il Gaina e poi io: quattro amici, quattro malnati, cresciuti insieme compagni ai gatti. Abbiam fatto la guerra in Albania, poi su in montagna a prendere i ratti*: neri tedeschi della Wermacht, mi fan morire solo a pensar! Poi m’han preso in un’imboscata: pugni e pedate e una fucilata…Rit. Ma io, ma io, ma io, quaranta giorni, quaranta notti, a San Vittore a prender le botte, dormir da cani, pien di malanni!… Ma io, ma io, ma io, quaranta giorni, quaranta notti, sbattuto di sopra, sbattuto di sotto: io sono di quelli che non parlano!Il Commissario una mattina mi manda a chiamar lì per lì: “Noi siamo qui, non sente nessuno- mi diceva ‘sto brutto terrone! Mi diceva – i tuoi compagni noi li prendiamo senza di te… ma se parli, ti firmo qua il tuo condono: la libertà! Sciocco sei tu se sei contento d’essere solo, chiuso qui dentro…”Rit. Son chiuso dentro questa rattiera piena di nebbia, di freddo e di scuro, sotto a questi muri passan i tram, fracasso e vita del mio Milano… Il cuor si stringe, scende la sera, mi sento male e non sto mica in piedi, accucciato sul letto in un cantone mi par di non essere proprio nessuno! E` peggio che in guerra star sulla terra: la libertà vale una spiata! Rit. (gridando) Io non parlo! |
* “A ciapaa i ratt”, letteralmente tradotto “a prendere i ratti” è usato nel territorio milanese per indicare qualcosa di inutile, tra l’altro “Ma va’ a ciapaa i ratt!” è il modo di dire usato per “mandare a quel paese” qualcuno. Testo inserito da L. rintracciato nel sito canti di lotta.
L’ho scritto da qualche parte che la storia più bella e più vera l’ho imparata da sola, leggendo quello che il più delle volte a scuola non ti dicono e di cui i classici libri di storia non parlano. La storia vera è quasi sempre fatta di piccole storie.. Avanti… Sarebbe davvero bello che ti prendessi sul serio e soprattutto interessante…
La canzone ero sicura di non conoscerla, poi quando ho ascoltato il ritornello mi è sembrata familiare ma non saprei dire di più.. Gli autori e l’interprete li conosco ma un pò da lontano.. Il testo è bello e mi ha ricordato ancora una volta il dialetto dei nonni… 🙂
Buona giornata
Julia