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Posts Tagged ‘Pazza idea’

Mi metto fretta anche se non ne avrei. Sono perfettamente in orario. Ma sono un tipo ansioso. Accelero il passo. Lei mi aspetta. Salgo da lei. Non va avanti da molto, con Elena. Per quel poco che la conosco Elena è una donna che non lesina sulle parole, ma quando serve sa andare al sodo. E spesso riesce a sorprendermi. Non posso ancora dire di conoscerla. Mi aspetta in soggiorno. Oggi fa proprio un caldo afoso. Non so cosa aspettarmi da questo incontro. Non ci siamo detti niente. Niente impegni. E’ successo. Niente paranoie. Forse non è il tipo. Niente Follie. Niente di niente. Dopo la prima volta ci siamo scambiati i numeri. Come fosse. banale. E’ stata lei la prima a chiamare. Mi faceva sentire strano a fare il ragazzino. Mi faceva sentir bene. Per i primi giorni è stato così. Poi è stata ancora lei a dirmi: “Perché non ci vediamo da me”? Solo quelle parole. Forse un: “Una di queste volte”. Nemmeno il bisogno di un motivo. A casa è comodo. E non potevamo fare i ragazzini per molto. In giro mi conoscono. E forse anche lei… Mi son detto “Perché no”? –e l’ho detto anche a lei. “Bene, –dice– facciamo domani”. Insiste. Ci accordiamo per quando esco dal lavoro. Mi chiede “Vino o birra”? Non capisco subito la domanda. Lei scoppia a ridere e mette giù. In qualche modo ho aspettato questo momento. Aspettato e immaginato. Non capita così spesso nemmeno a me.
Resto in piedi. Lei si allontana come a farsi guardare. Mi lascia in piedi. Non mi piace quando mi chiama Carlo, ma cerco di non farglielo vedere. Temo però abbia già imparato ad interpretare tutte le mie facce. Ha una faccia estranea. Si è già tolta la vestaglia. Tutto come fosse la cosa più naturale. Prima ancora che me ne renda conto. Sotto non ha niente. Non è un bel pensiero ma è più bella quando è vestita. Quando non è così completamente nuda. Me ne vergogno. Non mi fa onore. Non che sia brutta, anzi. Ma è come se ci fosse in lei qualcosa che non va. Anche nel suo sorriso. Nella sua aria che è diventata allegra, e un po’ sorniona. Ma che torna a sembrare non partecipare. Forse è il seno. Forse è la posizione. Ed è come se non ci fossi. Per lei è così naturale. Va alla finestra per chiuderla. Il rumore delle macchine è assordante. E si ferma lì, immobile.
Non fare quella faccia. Scusa. E ora vieni qui. Dai che mi faccio perdonare. Ma chi vuoi che ci guardi. Sei sempre il solito. Perché dovrebbero guardare proprio noi. Mica siamo chissà chi. Dei famosi. Magari ci fanno anche una foto. Sei proprio curioso. Come se stessero tutti lì. No! nessuno. Ah! quello? quello è solo Maurizio. Maurizio è solo un ragazzino. Lascia che guardi. Sai che ti dico? Magari impara qualcosa. E’ un tipo strano. Non l’ho mai visto con una ragazza. Ma sta lì sempre a guardarmi. Non te l’avevo detto? Come non te ne ho mai parlato? Non fare quella faccia. Me ne sarò scordata. Non ne avrò avuto il tempo. L’occasione. Non è poi una cosa importante. Solo un guardone alle prime armi. Inesperto. E dai… orsetto. Quasi quasi gli faccio segno. Lo saluto. Lui crede che non me ne sia mai accorta. Si vergogna, il piccolo. E intanto mi spia. Almeno stavolta gli è servito. Almeno oggi vede qualcosa. Che tante volte… Gli avrei fatto vedere solo per fargli vedere. Solo per non deluderlo. Perché non se ne fosse stato lì per nulla. Ma poi non mi sembrava bello. Mi pareva quasi di imbrogliarlo. E di imbrogliarmi. E persino di fare un torto a te. Ma oggi sono con te. Tutto questo non conta. Sono fisime di una ragazza. Scusami. Sai che ti voglio bene. E forse, quasi quasi, non mi dispiace. Anzi… ti dirò, forse… Guarda che faccia che ha. Povero piccolo. Mi sembra di essere in tre. Non che… nemmeno per idea. Cosa vado a pensare. A volte… E’ che mi chiedo come si può. Nemmeno per sogno. Come una donna possa. Magari gli piace. E’ nascosto dietro la tenda. E se gli piace? Mi capisci? Ecco… non so. Io non ne avrei colpa. Non è come se tradissi. Non credi. Pensavo… è strano. Fosse vero, è lui. E’ lui che lo fa con me. Ma io mica lo sto facendo con lui. Io sono qui con te. Eppure in un certo senso sembra di essere in tre. Neppure per tutto l’oro del mondo. Dì qualcosa”.
C’è anche troppa luce. Nessuna intimità. Lei non la cerca. Pare soddisfatta così. Io mi provo anche ad obiettare: “Perché non vieni tu”?
Ho la sensazione di non aver usato le parole giuste. La mia voce ha un suono come sconveniente. Mi sento in un leggero imbarazzo. Forse è la sua risata. Comunque non vuole sentire ragione. Non vuole sentire discussioni. In realtà devo ammettere che vederla mi eccita. E’ il vederla così. Senza pudore. L’averla davanti. Senza il tempo di pensare. Veramente i miei pensieri si affollano e mi confondono. Cerco di guardarmi intorno. Di guardare la stanza. E’ come se avessi ancora tempo. Se mi prendessi tempo. Sono come indeciso. In fondo è una bella ragazza. E’ giovane. Forse non potrei chiedere di più. Non posso farla aspettare. E so che ci sa fare, anche se con lei è sempre come la prima volta. In realtà è quasi una prima volta. Potrei dire che ci conosciamo appena. Tra le mie braccia lei è sempre stata una donna e una bambina. Non so chi delle due mi è piaciuta di più, da subito. Fin dall’inizio. Mi chiedo quant’è. Poco. Troppo poco per trovare delle scuse. Ma non ho bisogno di scuse. Nemmeno io posso aspettare. Lei se n’è già accorta e ne è soddisfatta.
Non vorrai mica che faccia da sola. Non mi lascerai… So che non sei così. Che ne hai voglia anche tu. Non puoi essere così crudele. Sono giorni e giorni che sta incollato a quella finestra. Non puoi essere così cattivo. E poi ormai mi ha vista. Magari non è una grande novità, è sempre lì, ma ha capito che sono con te. Mica posso chiudergli le tende in faccia. E poi… che sarà mai. Non che io… è che è semprew lì. Anche quando esco dalla doccia. Me lo trovo già lì il mattino. Pare che nemmeno dorma. Ti vergogni? Fai finta che non ci sia. Dai, togliti e vieni qui. Vedrai che poi ti dimentichi di tutto. Pensa che sei con me. Pensa che siamo solo noi. Vedrai, non ci disturberà. Non è la prima volta. Lo so. Non cambia nulla. Non ci darà nessun fastidio. Anzi. Magari ti senti anche più… Insomma ti fai vedere. Gli fai vedere. Non è così per voi maschietti? Non siete sempre pronti. Non siete sempre in competizione. E non ti preoccupare, dopo ti preparo qualcosa. Sono brava, sai. Dai, portalo qui”.
Non mi posso fermare. Devo tornare a casa”.
Voi uomini siete sempre fatti così. Tutti. Fedeli fino alla morte. Anche quando state nel letto di un’altra. Letto si fa per dire. Non credo di doverlo spiegare a te. Che aspetti, ancora così? Vedrai che è comodo; anche di più. Guarda come mi guarda. E se si fosse innamorato. Ma no! è solo un ragazzo. Potrei essere… sua sorella più grande. Se ti da fastidio non ne parlo più. Tu che ne dici? Vedi… te l’avevo detto. Dai, portamelo qui da me. Mica c’è bisogno di tante parole. Quando due si vogliono bene. Vieni qui. Voglio scordarmi di tutto. Vieni qui e baciami. Voglio scordarmi del mondo. Voglio che mi fai felice. La via non è sempre facile per nessuno. E tu… lo sai che mi sei piaciuto fin dal primo istante? Mica lo so perché. Eppure sapevo che sarebbe successo. Prima ancora di quella volta. Io lo sapevo e poi è successo. Devo dire che sei stato bravo. Sei stato bravo ad approfittarti di me. Forse sono ancora troppo ingenua. Dovrei girare al largo dagli uomini maturi. Da quelli come te. Non ti lasciano nemmeno il tempo di pensare e già ti hanno portata e letto. Insomma… Ché poi ci perdo la testa. Perché io amo veramente. E credo di provare già qualcosa per te. Ma non sono una che soffoca. Parlo troppo? E’ che… sono così. Oggi sono così”.
Finisco di spogliarmi senza entusiasmo. Non sono mai stato bravo ad arrendermi. Non credo che accetterà ormai di abbassare la persiana. Comincio a pensare che questa storia non potrà durare.

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Foto di una scollatura con collanaSi chiamava Erika. Ma perché devo essere sempre così laconico? Si chiamava Erika, sì! con la Kappa. Cioè si chiama Erika e la conoscono tutti. Di un rosso vivo e falso ha sempre un sorriso e una battuta per ognuno. Ma forse quella kappa era stata solo un suo vezzo, una delle sue tante civetterie, che poi si è trovata addosso. Sposata con due figli ormai grandicelli, maschio e femmina, pare non volersi liberare di quella patina da ragazza impertinente.
Erika doveva essere stata una bella donna, certamente lo era stata ma gli anni non perdonano nessuna distrazione, ma è ancora oggi una donna con un suo intrigante fascino, un sorriso malizioso sempre pronto e una sua grande sicurezza, insomma è simpatica e divertente. E’ così con tutti ovvero ogni suo gesto è colmo di quella provocazione femminile e le sue parole piene di più o meno sfacciati e sfaccettati sottintesi. Provocare le è naturale come tante cose che entrano dentro nella pelle e si fanno come parte di te senza nemmeno lasciarti il tempo di accorgertene. Le è facile entrare in confidenza e giocare con senso di complicità e di intimità.
Avevo sentito delle chiacchiere nei suoi confronti ma io non sono tipo da dar retta alle chiacchiere e avevo sempre pensato che il suo era solo tanto fumo; fumo senza arrosto. Lei cura ancora molto la sua persona e anche il suo vestire che spesso sembra studiato ad attirare la curiosità maschile e soprattutto ad imbarazzare e provocare; a mostrare magari quanto più si può senza raggiungere la sconvenienza ma esaltando le sue grazie. Magari cose corte e/o attillate, bottoni che sono rimasti come casualmente slacciati, malizie tutte al femminile anche un po’ inadatte alla sua età, ma non è raro trovare nelle donne vanità simili. Lei è sempre al centro di ogni occasione così come in queste parole che girano su loro stesse. Pareva allora inoltre divertirsi particolarmente con me. Per dirla tutta spesso avevo avuto l’impressione che si spingesse anche un po’ oltre, ma alla sua allegria viene perdonato quasi tutto. Ne avevo parlato in varie occasioni, ora non più, con Vittoria, mia moglie, certo glissando su alcune cose o senza scendere troppo nei particolari; parlarne non mi sarebbe stato comunque facile, soprattutto con una donna e ancora di più con una moglie, ma i miei dubbi restavano. Non era insolito che le sentissi fare apprezzamenti pesanti, allusioni a prestazione e cose di questo genere, con quell’espressione soddisfatta in volto, quasi in una sfida. Ma perché parlare tanto, troppo, di lei quando nella realtà lei è sempre una che va direttamente al nocciolo delle cose, pronta a dire pane al pane, eccetera? Perché per lunghi tratti del nostro lavorare nella stessa sede lei mi è stata parecchie volte di vero imbarazzo e non solo se restavamo un attimo da soli. Come quando sembrava fantasticare proprio su di me o mi provocava chiedendomi “non vuoi vedere cosa ho indossato sotto? son certa ti piacerebbe.” o altre amenità simili come quando mi assicurava che lei era rossa naturale e mi chiedeva se non le credevo e se volevo controllare.
Non che fosse mai successo molto anzi nulla perché il suo sembrava restare un gioco e il suo divertimento non chiedere altro e non andare oltre. Infatti se si accorgeva che soffermavo troppo il mio sguardo dentro la sua scollatura o sulle sue gambe, invero un po’ massicce, o, che ne so? sulle natiche di quel suo sedere abbondante, non le sfuggivano certo le cose, o se nei miei occhi appariva, come diceva dopo lei, quell’interesse che sfiorava la libidine, lei non perdonava mai una virgola, prima ancora che completassi un gesto di allungare le mani o che ne so ma anche subito a ridosso delle sue più ardite provocazioni, lei scivolava via soddisfatta ridendo con quel suo singhiozzo cantilenante un po’ sguaiato canzonandomi dopo il suo solito “dimmi cosa mi faresti”?
Scappava; ed io restavo lì come un imbecille; questa è la sacrosanta assoluta verità. Un imbecille come un sedicenne e questo doveva divertirla molto. Mi son sempre chiesto se il mio atteggiamento partecipasse a quello che era lei, se in qualche modo collaboravo, magari inconsapevolmente, a quel suo gioco e se era quel rossore che riusciva a darmi a renderla così spavalda, persino sfacciata, perché le sue domande potevano diventare delle vere e proprie staffilate come quando mostrava curiosità indiscreta e spudorata delle mie intimità. Io non cerco casini perché di quelli ne ho già abbastanza ma mi sembra ancora che con gli altri non si spingesse a tanto, ma questa può essere solo una mia confortante considerazione. E’ per tutto questo e anche per quello che non ho ricordato di rammentare che sono restato di sasso ieri mattina quando le mie solite attenzioni su di lei, la scollatura era veramente generosa anche se il suo seno abbondante comincia a mostrare segni di cedevolezza, non hanno provocato la solita fuga. Tutto poteva rimanere in quell’atmosfera di eccitato solito cameratismo un po’ spinto invece… Me ne vergogno a raccontarlo perché io sono un uomo assolutamente discreto e del tutto diversamente da lei, ma tanta è stata la mia sorpresa quando è andata come al solito alla porta ma stavolta diversamente ha fatto girare la chiave nella toppa chiudendoci soli all’interno e stavolta non ha detto la solita frase lasciandomi allibito. Il suo sorriso era diverso ieri, in quel momento, era solo ammiccante e sembrava seriamente curiosa e dalle sue labbra è uscita come una promessa e una sfida stavolta una frase nuova il cui suono non le avevo mai sentito: “dimmi cosa mi farai!”. A dare ascolto le chiacchiere di prima avrebbe dovuto saperne una più del diavolo…

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Cara Rossana
bustaOra come allora. Lettere che si inseguono. Che ci cercano. Questo siamo stati. Questo siamo ora. Ah! Le nostre canzoni. E anche quelle che non lo sono mai stateInutile spiegare a noi. Proprio a noiInutili le domande che chiedono e non vogliono risposte. E quelle che nemmeno chiedono. Inutili i giochi col tempo. Quelle carte della cabala. Il tempo non parla. Il tempo non insegna. Il tempo. E le sue cose. C’era un tempo. C’è sempre un tempo. E ti dici che non può essere più. E sai già che sarà ancora lo stesso. Perché non c’è un tempo che insegni. Né un tempo che ci difenda da noi. Il tempo è immobile mentre trascorre. Allora. Perché parlare ancora di allora? Perché noi siamo di quella materia e di quel passato. Perché pensiamo di venire da una qualche parte. Di avere un destino. Di andare in qualche luogo. Non accettiamo. Non ci rendiamo conto di essere immobili. Forse siamo solo delle pagine di un libro già scritto. Com’eravamo? Forse siamo solo noi capaci e incapaci di tradire noi stessi. E non ho bisogno di altri dubbi. So solo quello che sono. Che credo. Ora. Adesso. E più spesso siamo noi a non poter decidere. Così io non potevo non partire. Allora. «Non andare via». E la canzone, quella canzone, lo gridava con noi. Per noi. Dentro di noi. Ed era troppo presto. Doloroso e troppo presto. Doloroso di quel dolore che non si cancella. Doloroso in un abbraccio. Che ancora soffoca. Doloroso che nemmeno quell’abbraccio lo poteva lenire. Doloroso senza un vero addio. E tutto stava finendo. Si stava lentamente consumando. Ammalando. Un mondo intero. Si stava corrompendo. Lacrime le lacrime che annegavano i sogni. Che toglievano la luce. Che ci raccontavano oltre a quello che il pudore permetteva. Nel dolore. Nel pianto. Oltre ogni barriera. Più di quanto noi avremmo voluto. E testardi non volevamo mostrarle, quelle lacrime. Le abbiamo pagate. E abbiamo pagato la nostra ignoranza. E la nostra arroganza. Dove tutto si paga. Nel silenzio. Nel vuoto. Ancora. E ancora.
E poi una vita si può raccontare in una infinità di modi. Dire “non sapevo”. Fingere di non aver saputo. O semplicemente di non voler capire. Leggere i minuti da soli. Dialogare di niente. Cercare un alibi. Perché siamo solo distratti viandanti. E non abbiamo mai smesso di parlarci. Nemmeno quando lo facevamo nel silenzio. Non certo quando il dolore si cangiava di rabbia. Non quando ancora potevamo guardarci negli occhi. Non quando il suono di ogni parola si tingeva in una offesa. Suonava di rancore. Ci strappava la pelle a brandelli. La mia rabbia. Il tuo torto. Il torto di aver creduto. Creduto troppo. Di esserti lasciata ingannare. E non volerlo ammettere. Tradire lentamente. Di piccoli frammenti quasi insignificanti. Di sillabe. Di ammiccamenti. Di false promesse. Di promesse nemmeno promesse. Non dette. Di dubbio. Di dubbi insinuati. Mal riposti. Riscritti. Riportati. Semplici dubbi che si fanno corrosivi. Che non ti aspetti. Non in quelle labbra. Che diventano architettura. Timore. Poi paura. Bisogno. Gran brutto male la solitudine. Gran brutta compagna. E i bisogni. Il bisogno di esser giovani. Sentimenti contrastanti. Il bisogno di crescere. Di sentirsi grandi. Accettati. Voluti. Amati. Desiderati. Semplicemente accarezzati. Di andare. Nulla può garantire per la novità. No! non eri noia. Non hai fatto a tempo ad essere abitudine. Sapere è ricordare. Sapere e ricordare. Se è questo è anche quello. Se tu sapevi lo sapevi. E sbagliavi decisa a sbagliare. Se la memoria ricorda lo sapevamo; entrambi. L’abbiamo tradita entrambi. Allo stesso modo. Nello stesso momento. Colpevoli di colpe che non avevamo. Colpevoli solo di non conoscere colpa. Colpevoli in quanto nudi. Colpevoli eppure. E la tenerezza si era ormai stemperata nella disperazione. Il piacere nel bisogno. E anche il bisogno s’era fatto timore. Timore del futuro. Timore di ciò che non si conosce. Di quello conosciuto come ignoto. L’ignoto dentro di noi. Del chi siamo? A guardare chi eravamo, cosa, viene tenerezza.
Persino una canzone. Persino una stupida canzone. Anche una canzone sapeva quello che non volevamo sapere. Ora che lo sappiamo tutto sembra stupido. Puerile. Ora. E non è ancora tardi. Non voglio più essere Michele. Nemmeno non essere.
Michele

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